L’intreccio narrativo permette infatti di rispettare il carattere dinamico della vita pulsionale ed emotiva dei protagonisti, conservandone le ambivalenze e le contraddizioni, senza peraltro nulla togliere alla chiarezza dei concetti.

Dalla prima e tanto attesa risposta data da Julie alla dichiarazione amorosa di Saint-Preux, si delinea il conflitto che, come abbiamo già accennato, percorre tutto il romanzo: quello tra la passione e la virtù, tra l’amore e la morale (Parte prima, lettera IV). Conflitto dunque, e non opposizione: dove questo preannuncia l’impossibilità di una vera e propria soluzione a favore dell’una o dell’altra polarità.

I termini che Julie usa per descrivere il proprio sentimento – «funesta passione», «veleno che mi corrompe sensi e ragione»46 – lasciano subito intravvedere una visione negativa dell’amore-passione in contrasto con la tradizione cortese e neoplatonica, nella quale l’amore veniva concepito come «dono» e «generosità» e fonte di perfezione morale.47 Ancora viva nella «galanteria» seicentesca, come pure nel teatro di Corneille e nell’Astrée di H. d’Urfé,48 quella tradizione aveva trovato il primo, decisivo momento di crisi nella Principessa di Clèves di Mme de La Fayette, nella quale l’amore si configura come una pericolosa «inclinazione» («inclination») che sottrae all’Io il dominio di sé e produce conseguenze distruttive, alimentando la gelosia, l’alienazione, l’inganno. Esso sembra essere l’espressione di un Io che ha perso le proprie certezze «cartesiane» e la capacità di scelta nei confronti del proprio mondo pulsionale; e che da questo si ritrae, per non esserne sopraffatto, aderendo alle spinte difensive e conservative dell’amor-proprio (amour-propre): cioè di quel «fondo oscuro di tutte le passioni» che la riflessione filosofica della seconda metà del ’600, da La Rochefoucauld a Pascal, farà oggetto principe della critica morale.49

L’amor-proprio è infatti alla base della sfiducia nella durata dell’amore e della paura del «malheur», che provocano la resistenza di Mme de Clèves alla passione per Nemours ed infine il suo rifiuto di sposarlo. L’amore non regge alla prova del tempo e destina quindi all’infelicità chi osa abbandonarsi alle sue illusorie e potenti seduzioni. L’opposizione amore/matrimonio, che nell’erotica cortese tendeva all’esaltazione assoluta della passione in quanto libera da ogni vincolo istituzionale e normativo, trae qui origine, al contrario, da una profonda sfiducia del soggetto nella vita emotiva e dalla paura di esporsi alle rischiose conseguenze dell’adesione totale al sentimento.

Questi temi saranno di nuovo presenti nella Nuova Eloisa, ma rielaborati all’interno di un codice semantico profondamente mutato.

In primo luogo, Julie vive la passione. Senza mai smettere di esortare Saint-Preux alla virtù, essa si concede volontariamente all’amante; sebbene ciò avvenga in uno stato di permanente lacerazione e conflittualità che le fa vivere il momento del «possesso» fisico come una «crisi», una caduta, la quale provoca la definitiva perdita dell’innocenza (Parte prima, lettera XXIX). Ma la passione non ha nulla di degradante; essa è tutt’al più frutto dell’errore, e non del vizio; e se è vero che infrange la purezza, essa tuttavia non corrompe la virtù e lascia intatte le qualità dell’anima, come Claire non manca di ricordare all’amica inconsolabile (Parte prima, lettera XXX). Quando ha i caratteri di un autentico trasporto, la passione è amabile nelle sue stesse illusioni (Parte prima, lettera XLVI) ed è l’espressione di anime nobili (Parte seconda, lettera VI).

Considerazioni analoghe saranno ribadite nell’Emilio attraverso le parole del precettore: «Il vero amore, checché se ne dica, sarà sempre onorato dagli uomini: poiché quantunque i suoi impeti ci turbino, benché esso non escluda dal cuore che lo sente qualità odiose, e perfino ne produca, ne suppone pertanto sempre delle stimabili, senza le quali non si sarebbe in grado di sentirlo».50

Questa sia pur parziale assoluzione della passione allontana Rousseau dalla fosca visione della Principessa di Clèves e della morale tardo-seicentesca per collocarlo invece all’interno della tradizione settecentesca di riabilitazione della natura umana e della vita emotiva. Dal Diderot dei Pensieri filosofici a d’Holbach, da Helvétius a Vauvenargues, il ’700 riscopre la positività delle passioni in quanto fattore dinamico della vita psichica, etica e sociale51 e soprattutto quali espressioni della «sensibilità» («sensibilité»): cioè di quell’insieme di caratteristiche fisiche, psicologiche e morali in base alle quali si ridefinisce l’identità dell’Io e si pongono le basi di una nuova antropologia. Ma, come è stato giustamente osservato, la rivalutazione della passione da parte dei philosophes avviene sulla base di una duplice operazione di «moralizzazione della natura» e «naturalizzazione della morale» che consente di approvare la natura, le emozioni, i sentimenti solo spogliandoli dei loro aspetti eccessivi e distruttivi e ponendoli in armonia con la natura.52 Rousseau recupera invece un concetto forte di passione teso a riconoscerne, pur senza condannarli, gli aspetti negativi e minacciosi per la coesione dell’Io e per la sua configurazione etica e sociale. La stessa «sensibilità» assume caratteri estremi e si fa, soprattutto in Saint-Preux che la definisce «fatale dono del cielo»,53 espressione di sentimenti assoluti e incontrollabili.

Questa sorta di ambivalenza della visione rousseauiana della passione trova la sua spiegazione nell’opposizione passione/natura che la morale settecentesca tendeva invece a negare o ad attenuare. Sebbene l’origine delle passioni sia «naturale», tanto da poter affermare che esse sono «i principali strumenti della nostra conservazione», esse subiscono un processo di alterazione che le snatura, rendendole nocive: «Le nostre passioni naturali sono molto limitate; esse sono gli strumenti della nostra libertà, e tendono a conservarci. Tutte quelle che ci soggiogano e ci distruggono ci vengono da altra parte; la natura non ce le fornisce, ce le appropriamo noi a suo danno».54

È soprattutto Julie a farsi sostenitrice del contrasto tra la passione e la natura, la quale viene simboleggiata dai genitori e dal legame di sangue che essi incarnano. Julie sa bene, come la saggia e lucida Claire le ricorda, che il barone d’Etange non consentirà mai a dare la sua unica figlia ad un «borghesuccio senza fortuna».55 Ella sa dunque che, scegliendo di aderire alla propria inclinazione, provocherebbe la sofferenza di coloro che le hanno dato la vita, infrangendo così i «sacri diritti» della legge naturale (Parte prima, lettera XXXVII; Parte seconda, lettere IV, VI ecc.).

Se Julie osa opporsi a quelli che considera i «pregiudizi» del padre (Parte prima, lettera LXIV), non può in alcun modo tollerare il dolore muto della madre, che rappresenta il più profondo e diretto legame con la natura.56 «Dando retta all’amore o alla natura, non posso fare a meno di ridurre l’uno o l’altro alla disperazione»,57 scriverà Julie a Claire, esprimendo la sua intima lacerazione tra sentimenti incompatibili. Ma la morte della madre la indurrà alla scelta definitiva e alla rinuncia alla passione per Saint-Preux, il quale, pur rivendicando, diversamente da Julie, i diritti «naturali» della passione e la sua assoluta legittimità (Parte prima, lettera XXXI; Parte terza, lettera VI), accetta di obbedire; e delega alla donna, secondo una modalità propria di tutto il percorso autobiografico di Jean Jacques, ogni decisione.

Da un lato quindi, Rousseau ci parla di un’origine naturale delle passioni, dall’altro egli ne vede il processo di degenerazione che le pone in contrasto con la legge di natura. Responsabile di questo processo e delle modificazioni artificiali subìte dalle passioni è la facoltà dell’immaginazione, la quale rompe il «limite» (borne) tracciato dalla natura ed accresce in modo distorto i sentimenti originari, trasformando il loro carattere naturale e conservativo in innaturale e distruttivo, e mettendo così l’uomo «in contraddizione con se stesso»:58

«La sorgente di tutte le passioni è la sensibilità; l’immaginazione determina la loro inclinazione [...] Sono gli errori dell’immaginazione che trasformano in vizi le passioni di tutti gli esseri limitati...».59

Nel Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza, Rousseau ci presenta l’immaginazione come una facoltà che, assente nello stato di natura, presiede all’ingresso degli uomini nella condizione sociale e morale.60 Essa si sviluppa, insieme alla «riflessione», all’interno del processo di «perfettibilità», col quale condivide la duplice funzione di emancipazione e corruzione, in quanto sottrae gli uomini allo stato di non-essere psicologico e morale della vita naturale, ma li scaglia, contemporaneamente, nel mondo delle passioni, del desiderio, del male.61

Questa funzione ambigua è quanto mai evidente nel caso dell’amore. L’immaginazione ha l’effetto positivo, come accade ad Emile, di preservarlo dall’indiscriminato e promiscuo richiamo dei sensi; ma, allo stesso tempo, essa genera illusione, esponendolo, quando cade il «velo» che aveva inizialmente avvolto l’oggetto amato, al rischio dell’infelicità e della delusione.62 A causa della sua natura immaginaria, la passione amorosa è dunque fatalmente destinata a spegnersi nel tempo. È questo, essenzialmente, che la rende incompatibile con l’istituzione matrimoniale. Il matrimonio, infatti, come scriverà Julie stessa a Saint-Preux dopo la scelta coniugale con Wolmar, è «uno stato di pacifico godimento»,63 indissociabile dai doveri della vita civile e collettiva; ed è fondato non sul «cieco trasporto dei cuori appassionati», ma sull’«invariabile e costante affetto»64 di due persone ragionevoli e prive di reciproche proiezioni.

Vediamo dunque che alla preoccupazione morale si sovrappone quella della durata dell’amore, che ci impone, di conseguenza, di leggere l’opposizione amore/matrimonio piuttosto nei termini di un conflitto tra due sentimenti, cioè tra l’amore-passione e l’amore coniugale. Si tratta di una preoccupazione peculiarmente moderna,65 cui Julie darà tuttavia una risposta molto più complessa e articolata dello sterile ritiro della Principessa di Clèves: da un lato, essa sceglie il matrimonio con Wolmar fondato, come vedremo, sull’amore coniugale, cioè su un sentimento tenero e amichevole atto a reggere la prova del tempo e a formare la base affettiva della società ideale; dall’altro, essa propone di «depurare» l’amore per Saint-Preux, distillandone gli aspetti naturali e virtuosi, per poterne garantire la durata e permettere l’armonica fusione nell’organismo collettivo ed etico che essa aspira a costruire.

L’intera operazione si fonda a sua volta su di una precisa condizione: quella di riportare la passione al suo nucleo naturale originario, precedente all’insorgere dell’immaginazione e rimasto intatto, come la statua di Glauco giacente sul fondo marino,66 sotto le successive sedimentazioni prodotte dallo sviluppo della società. Questo nucleo naturale altro non è che l’amore di sé (amour de soi), la tendenza innata all’autoconservazione in cui Rousseau aveva visto, accanto alla «pietà», uno dei due principi prerazionali che regolano la vita degli uomini nello stato di natura.67

L’«amore di sé» è la fonte di tutte le passioni, la «passione» primitiva che suggerisce il «limite» oltre il quale l’uomo va incontro alla perdita di sé, al conflitto e alla corruzione: «La sorgente delle nostre passioni, – dice il precettore di Emilio – l’origine e il principio di tutte le altre, la sola che nasce con l’uomo e non l’abbandona mai finché è in vita, è l’amore di sé: passione primitiva innata, anteriore ad ogni altra, e di cui tutte non sono, in un certo senso, che delle modificazioni».68

Solo l’amore di sé è in grado di contrastare la forza distruttiva delle passioni, ed in particolare il potere alienante e disgregante dell’amore. Diviene allora chiaro il principio generale della teoria rousseauiana delle passioni, secondo il quale «la passione si supera attraverso se stessa»: «Non si ha presa sulle passioni – osserva ancora il precettore nell’Emilio – se non per mezzo delle passioni; è mediante il loro impero che bisogna combattere la loro tirannia, ed è sempre dalla natura medesima che bisogna trarre gli strumenti adatti a regolarla».69

Pur insistendo, molto più dei philosophes e della «morale del sentimento», sulla forza e la pericolosità delle passioni, Rousseau è ben lungi dal sostenere una soluzione repressiva nello stile della tradizione religiosa di matrice agostiniana; ma non mostra neppure fiducia nel modello stoico di un dominio razionale delle passioni. Egli sembra piuttosto riproporre quel principio di «controbilanciamento» delle passioni in cui A.O. Hirschmann, facendolo risalire a Spinoza, vede con ragione il nucleo fondativo della «teoria delle passioni» tra il ’600 e il ’700.

Di questo principio, Julie è una convinta sostenitrice. Esso sottende, fin dall’inizio, alla sua ricerca del «vero amore» («véritable amour»), cioè di un sentimento che scaturisce dal saper ritrovare le radici naturali dell’amore attraverso la «depurazione» degli aspetti che compromettono e minacciano la «virtù»; la quale è da intendersi, come si è già accennato, come la somma delle qualità morali che danno all’Io il senso permanente di sé, permettendone il costruttivo inserimento nell’universo collettivo e sociale fondato sul rispetto della legge naturale.70

Alla convinzione ripetutamente espressa da Julie, fanno eco le dichiarazioni di Wolmar:

«... soltanto le anime di fuoco sanno combattere e vincere. Tutti i grandi sforzi, tutte le azioni sublimi sono opera loro; la fredda ragione non ha mai compiuto alcun fatto illustre, e non si trionfa delle passioni che opponendole tra loro. Quando s’alza quella della virtù, essa domina incontrastata e tiene tutto in equilibrio; ecco in che modo si forma il vero saggio, che non è al riparo dalle passioni più degli altri, ma che solo è capace di vincerle per mezzo loro: come un pilota sa navigare pur coi venti opposti».71

Fatte da Wolmar, queste osservazioni hanno però il suono metallico di un principio matematico. Osservatore distaccato ed imparziale, «occhio vivente» (Parte quarta, lettera XII), Wolmar è l’uomo «senza passioni» (Parte quarta, lettera VII), delle quali vede e conosce tuttavia il gioco sottile e la tenacia. Non su di sé, ma sugli altri egli applica il principio di «combattere le passioni con le passioni», dominando con lo sguardo scientifico del naturalista la scena delle emozioni umane, come vedremo in particolare a proposito del suo «metodo», teso a guarire Julie e Saint-Preux dal loro antico amore.