-

  E poi:

                               L'ALLODOLA

  - Uid uid! anche tu ci fai guerra?

tu che ci assomigli pur tanto,

col nido tra il grano, per terra,

ma sopra le nubi, col canto?

  Te rode una cura segreta;

tu cerchi l'oblìo de' tuoi mali.

Ma sei come tutti, o poeta?

  Tu piangi il tuo povero nido

per terra... Ma vieni, ma sali,

ma lancia nel sole il tuo grido! -

  Cara allodola! - E dopo? - Dopo? Impugno

l'hammerless e... ritorno via. Si rischia

d'infreddare: gennaio non è giugno.

Tra i ginepri c'è un merlo che mi fischia.

  E un forasiepe: - Eh! tu torni... so dove.

Oh! il tuo bel nido, che nemmen ci piove!

 

 

6. Nebbia

 

  Nascondi le cose lontane,

tu nebbia impalpabile e scialba,

tu fumo che ancora rampolli,

                su l'alba,

  da' lampi notturni e da' crolli

                d'aeree frane!

  Nascondi le cose lontane,

nascondimi quello ch'è morto!

Ch'io veda soltanto la siepe

                dell'orto,

la mura ch'ha piene le crepe

                di valeriane.

  Nascondi le cose lontane:

le cose son ebbre di pianto!

Ch'io veda i due peschi, i due meli,

                soltanto,

che dànno i soavi lor mieli

                pel nero mio pane.

  Nascondi le cose lontane

che vogliono ch'ami e che vada!

Ch'io veda là solo quel bianco

                di strada,

che un giorno ho da fare tra stanco

                don don di campane...

  Nascondi le cose lontane,

nascondile, involale al volo

del cuore! Ch'io veda il cipresso

                là, solo,

qui, solo quest'orto, cui presso

                sonnecchia il mio cane.

 

 

7. I due girovaghi

               

  Siamo soli. Bianca l'aria

vola come in un mulino.

Nella terra solitaria

siamo in due, sempre in cammino.

Soli i miei, soli i tuoi stracci

per le vie. Non altro suono

che due gridi:

                - Oggi ci sono

e doman me ne vo...

                - Stacci!

stacci! Stacci!

  Io di qua, battendo i denti,

tu di là, pestando i piedi:

non ti vedo e tu mi senti;

io ti sento, e non mi vedi.

Noi gettiamo i nostri urlacci,

come cani in abbandono

fuor dell'uscio:

                - Oggi ci sono

e doman me ne vo...

                - Stacci!

stacci! stacci!

  Questa terra ha certe porte,

che ci s'entra e non se n'esce.

E` il castello della morte.

S'ode qui l'erba che cresce:

crescer l'erba e i rosolacci

qui, di notte, al tempo buono:

ma nient'altro...

                - Oggi ci sono

e doman me ne vo...

- Stacci!

stacci! stacci!

  C'incontriamo... Io ti derido?!

No, compagno nello stento!

No, fratello! E` un vano grido

che gettiamo al freddo vento.

Né c'è un viso che s'affacci

per dire, Eh! spazzacamino!...

per dire, Oh! quel vecchiettino

degli stacci...

                degli stacci!...

                - stacci! stacci!

 

 

8. Il brivido

 

  Mi scosse, e mi corse

le vene il ribrezzo.

Passata m'è forse

rasente, col rezzo

dell'ombra sua nera

la morte...

                Com'era?

  Veduta vanita,

com'ombra di mosca:

una ombra infinita,

di nuvola fosca

che tutto fa sera:

la morte...

                Com'era?

  Tremenda e veloce

come un uragano

che senza una voce

dilegua via vano:

silenzio e bufera:

la morte...

                Com'era?

  Chi vede lei, serra

né apre più gli occhi.

Lo metton sotterra

che niuno lo tocchi,

gli chieda - Com'era?

rispondi...

                com'era? -

 

 

9. L'or di notte

 

  Nelle case, dove ancora

si ragiona coi vicini

presso al fuoco, e già la nuora

porta a nanna i suoi bambini,

uno in collo e due per mano;

  pel camino nero il vento,

tra lo scoppiettar dei ciocchi,

porta un suono lungo e lento,

tre, poi cinque, sette tocchi,

da un paese assai lontano:

  tre, poi cinque e sette voci,

lente e languide, di gente:

voci dal borgo alle croci,

gente che non ha più niente:

- Fate piano! piano! piano!

  Non vogliamo saper nulla:

notte? giorno? verno? state?

Piano, voi, con quella culla!

che non pianga il bimbo... Fate

piano! piano! piano! piano!

  Non vogliamo ricordare

vino e grano, monte e piano,

la capanna, il focolare,

mamma, bimbi... Fate piano!

piano! piano! piano! piano!

 

 

10. Notte d'inverno

               

  Il Tempo chiamò dalla torre

lontana... Che strepito! E` un treno

là, se non è il fiume che corre.

  O notte! Né prima io l'udiva,

lo strepito rapido, il pieno

fragore di treno che arriva;

  sì, quando la voce straniera,

di bronzo, me chiese; sì, quando

mi venne a trovare ov'io era,

                squillando squillando

                nell'oscurità.

  Il treno s'appressa... Già sento

la querula tromba che geme,

là, se non è l'urlo del vento.

  E il vento rintrona rimbomba,

rimbomba rintrona, ed insieme

risuona una querula tromba.

  E un'altra, ed un'altra. - Non essa

m'annunzia che giunge? - io domando.

- Quest'altra! - Ed il treno s'appressa

                tremando tremando

                nell'oscurità.

  Sei tu che ritorni. Tra poco

ritorni, tu, piccola dama,

sul mostro dagli occhi di fuoco.

  Hai freddo? paura? C'è un tetto,

c'è un cuore, c'è il cuore che t'ama

qui! Riameremo. T'aspetto.

  Già il treno rallenta, trabalza,

sta... Mia giovinezza, t'attendo!

Già l'ultimo squillo s'inalza

                gemendo gemendo

                nell'oscurità...

  E il Tempo lassù dalla torre

mi grida ch'è giorno. Risento

la tromba e la romba che corre.

  Il giorno è coperto di brume.

Quel flebile suono è del vento,

quel labile tuono è del fiume.

  E` il fiume ed è il vento, so bene,

che vengono vengono, intendo,

così come all'anima viene,

                piangendo piangendo,

                ciò che se ne va.

 

 

11. Le ciaramelle

 

  Udii tra il sonno le ciaramelle,

ho udito un suono di ninne nanne.

Ci sono in cielo tutte le stelle,

ci sono i lumi nelle capanne.

  Sono venute dai monti oscuri

le ciaramelle senza dir niente;

hanno destata ne' suoi tuguri

tutta la buona povera gente.

  Ognuno è sorto dal suo giaciglio;

accende il lume sotto la trave;

sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio,

di cauti passi, di voce grave.

  Le pie lucerne brillano intorno,

là nella casa, qua su la siepe:

sembra la terra, prima di giorno,

un piccoletto grande presepe.

  Nel cielo azzurro tutte le stelle

paion restare come in attesa;

ed ecco alzare le ciaramelle

il loro dolce suono di chiesa;

  suono di chiesa, suono di chiostro,

suono di casa, suono di culla,

suono di mamma, suono del nostro

dolce e passato pianger di nulla.

  O ciaramelle degli anni primi,

d'avanti il giorno, d'avanti il vero,

or che le stelle son là sublimi,

conscie del nostro breve mistero;

  che non ancora si pensa al pane,

che non ancora s'accende il fuoco;

prima del grido delle campane

fateci dunque piangere un poco.

  Non più di nulla, sì di qualcosa,

di tante cose! Ma il cuor lo vuole,

quel pianto grande che poi riposa,

quel gran dolore che poi non duole;

  sopra le nuove pene sue vere

vuol quei singulti senza ragione:

sul suo martòro, sul suo piacere,

vuol quelle antiche lagrime buone!

 

 

12. Per sempre!

 

  Io t'odio?!... Non t'amo più, vedi,

non t'amo... Ricordi quel giorno?

Lontano portavano i piedi

un cuor che pensava al ritorno.

E dunque tornai... tu non c'eri.

Per casa era un'eco dell'ieri,

d'un lungo promettere. E meco

di te portai sola quell'eco:

                               PER SEMPRE!

  Non t'odio. Ma l'eco sommessa

di quella infinita promessa

vien meco, e mi batte nel cuore

col palpito trito dell'ore;

mi strilla nel cuore col grido

d'implume caduto dal nido:

                               PER SEMPRE!

  Non t'amo. Io guardai, col sorriso,

nel fiore del molle tuo letto.

Ha tutti i tuoi occhi, ma il viso...

non tuo.