E baciai quel visetto

straniero, senz'urto alle vene.

Le dissi: “E a me, mi vuoi bene?”

“Sì, tanto!” E i tuoi occhi in me fisse.

“Per sempre?” le dissi. Mi disse:

                               “PER SEMPRE!”

  Risposi: “Sei bimba e non sai

Per sempre che voglia dir mai!”

Rispose: “Non so che vuol dire?

Per sempre vuol dire Morire...

Sì: addormentarsi la sera:

restare così come s'era,

                               PER SEMPRE!”

 

 

13. La nonna

 

  Tra tutti quei riccioli al vento,

tra tutti quei biondi corimbi,

sembrava, quel capo d'argento,

dicesse col tremito, bimbi,

                sì... piccoli, sì...

  E i bimbi cercavano in festa,

talora, con grido giulivo,

le tremule mani e la testa

che avevano solo di vivo

                quel povero sì.

  , solo; , sempre, dal canto

del fuoco, dall'umile trono;

, per ogni scoppio di pianto,

per ogni preghiera: perdono,

                sì... voglio, sì... sì!

  , pure al lettino del bimbo

malato... La Morte guardava,

La Morte presente in un nimbo...

La tremula testa dell'ava

                diceva sì! sì!

  , sempre; sì, solo; le notti

lunghissime, altissime! Nera

moveva, ai lamenti interrotti,

la Morte da un angolo... C'era

                quel tremulo ,

  quel , presso il letto... E sì, prese

la nonna, la prese, lasciandole

vivere il bimbo. Si tese

quel capo in un brivido blando,

                nell'ultimo .

 

 

14. La canzone della granata

 

I

  Ricordi quand'eri saggina,

coi penduli grani che il vento

scoteva, come una manina

di bimbo il sonaglio d'argento?

  Cadeva la brina; la pioggia

cadeva: passavano uccelli

gemendo: tu gracile e roggia

tinnivi coi cento ramelli.

  Ed oggi non più come ieri

tu senti la pioggia e la brina,

ma sgrigioli come quand'eri

                saggina.

 

II

  Restavi negletta nei solchi

quand'ogni pannocchia fu colta:

te, colsero, quando i bifolchi

v'ararono ancora una volta.

  Un vecchio ti prese, recise,

legò; ti privò della bella

semenza tua rossa; e ti mise

nell'angolo, ad essere ancella.

  E in casa tu resti, in un canto,

negletta qui come laggiù;

ma niuno è di casa pur quanto

                sei tu.

               

III

  Se t'odia colui che la trama

distende negli alti solai,

l'arguta gallina pur t'ama,

cui porti la preda che fai.

 E t'ama anche senza, ché ai costi

ti sbalza, ed i grani t'invola,

residui del tempo che fosti

saggina, nei campi già sola.

 Ma più, gracilando t'aspetta

con ciò che in tua vasta rapina

le strascichi dalla già netta

                cucina.

               

IV

  Tu lasci che t'odiino, lasci

che t'amino: muta, il tuo giorno,

nell'angolo, resti, coi fasci

di stecchi che attendono il forno.

  Nell'angolo il giorno tu resti,

pensosa del canto del gallo;

se al bimbo tu già non ti presti,

che viene, e ti vuole cavallo.

  Riporti, con lui che ti frena,

le paglie ch'hai tolte, e ben più;

e gioia or n'ha esso; ma pena

                poi tu.

 

V

  Sei l'umile ancella; ma reggi

la casa: tu sgridi a buon'ora,

mentre impaziente passeggi,

gl'ignavi che dormono ancora.

   E quanto tu muovi dal canto,

la rondine è ancora nel nido;

e quando comincia il suo canto,

già ode per casa il tuo strido.

   E l'alba il suo cielo rischiara,

ma prima lo spruzza e imperlina,

così come tu la tua cara

                casina.

 

VI

  Sei l'umile ancella, ma regni

su l'umile casa pulita.

Minacci, rimproveri; insegni

ch'è bella, se pura, la vita.

   Insegni, con l'acre tua cura

rodendo la pietra e la creta,

che sempre, per essere pura,

si logora l'anima lieta.

   Insegni, tu sacra ad un rogo

non tardo, non bello, che più

di ciò che tu mondi, ti logori

                tu!

 

 

15. La voce

 

  C'è una voce nella mia vita,

che avverto nel punto che muore;

voce stanca, voce smarrita,

col tremito del batticuore:

  voce d'una accorsa anelante,

che al povero petto s'afferra

per dir tante cose e poi tante,

ma piena ha la bocca di terra:

  tante tante cose che vuole

ch'io sappia, ricordi, sì... sì...

ma di tante tante parole

non sento che un soffio... Zvanî...

  Quando avevo tanto bisogno

di pane e di compassione,

che mangiavo solo nel sogno,

svegliandomi al primo boccone;

  una notte, su la spalletta

del Reno, coperta di neve,

dritto e solo (passava in fretta

l'acqua brontolando, Si beve?);

  dritto e solo, con un gran pianto

d'avere a finire così,

mi sentii d'un tratto daccanto

quel soffio di voce... Zvanî...

  Oh! la terra, com'è cattiva!

la terra, che amari bocconi!

Ma voleva dirmi, io capiva:

- No... no... Di' le devozioni!

  Le dicevi con me pian piano,

con sempre la voce più bassa:

la tua mano nella mia mano:

ridille! vedrai che ti passa.

  Non far piangere piangere piangere

(ancora!) chi tanto soffrì!

il tuo pane, prega il tuo angelo

che te lo porti... Zvanî... -

  Una notte dalle lunghe ore

(nel carcere!), che all'improvviso

dissi - Avresti molto dolore,

tu, se non t'avessero ucciso,

  ora, o babbo! - che il mio pensiero,

dal carcere, con un lamento,

vide il babbo nel cimitero,

le pie sorelline in convento:

  e che agli uomini, la mia vita,

volevo lasciargliela lì...

risentii la voce smarrita

che disse in un soffio... Zvanî...

  Oh! la terra come è cattiva!

non lascia discorrere, poi!

Ma voleva dirmi, io capiva:

- Piuttosto di' un requie per noi!

  Non possiamo nel camposanto

più prendere sonno un minuto,

ché sentiamo struggersi in pianto

le bimbe che l'hanno saputo!

  Oh! la vita mia che ti diedi

per loro, lasciarla vuoi qui?

qui, mio figlio? dove non vedi

chi uccise tuo padre... Zvanî?... -

  Quante volte sei rivenuta

nei cupi abbandoni del cuore,

voce stanca, voce perduta,

col tremito del batticuore:

  voce d'una accorsa anelante

che ai poveri labbri si tocca

per dir tante cose e poi tante;

ma piena di terra ha la bocca:

  la tua bocca! con i tuoi baci,

già tanto accorati a quei dì!

a quei dì beati e fugaci

che aveva i tuoi baci... Zvanî!...

  che m'addormentavano gravi

campane col placido canto,

e sul capo biondo che amavi,

sentivo un tepore di pianto!

  che ti lessi negli occhi, ch'erano

pieni di pianto, che sono

pieni di terra, la preghiera

di vivere e d'essere buono!

  Ed allora, quasi un comando,

no, quasi un compianto, t'uscì

la parola che a quando a quando

mi dici anche adesso... Zvanî...

 

 

16. Il sole e la lucerna

 

I

  In mezzo ad uno scampanare fioco

sorse e batté su taciturne case

il sole, e trasse d'ogni vetro il fuoco.

  C'era ad un vetro tuttavia, rossastro

un lumicino. Ed ecco il sol lo invase,

lo travolse in un gran folgorìo d'astro.

   E disse, il sole: - Atomo fumido! io

guardo, e tu fosti. - A lui l'umile fiamma:

- Ma questa notte tu non c'eri, o dio;

e un malatino vide la sua mamma

  alla mia luce, fin che tu sei sorto.

Oh! grande sei, ma non ti vede: è morto! -

 

 II

  E poi, guizzando appena:

- Chiedeva te! che tosse!

voleva te! che pena!

  Tu ricordavi al cuore

suo le farfalle rosse

su le ginestre in fiore!

  Io stavo lì da parte...

gli rammentavo sere

lunghe di veglia e carte

piene di righe nere!

  stavo velata e trista,

per fargli il ben non vista. -

 

 

17. Il ciocco, Canto Primo

 

  Il babbo mise un gran ciocco di quercia

su la brace; i bicchieri avvinò; sparse

il goccino avanzato; e mescé piano

piano, perché non croccolasse, il vino.

Ma, presa l'aria, egli mesceva andante.

E ciascuno ebbe in mano il suo bicchiere,

pieno, fuor che i ragazzi; essi, al bicchiere

materno, ognuno ne sentiva un dito.

Fecero muti i vegliatori il saggio,

lodando poi, parlando dei vizzati

buoni; ma poi passarono allo strino,

quindi all'annata trista e tribolata.

E le donne ripresero a filare,

con la rócca infilata nel pensiere:

tiravano prillavano accoccavano

sfacendo i gruppi a or a or coi denti.

Come quando nell'umida capanna

le magre manze mangiano, e via via,

soffiando nella bassa greppia vuota,

alzano il muso, e dalla rastrelliera

tirano fuori una boccata d'erba;

d'erba lupina co' suoi fiori rossi,

nel maggio indafarito, ma nel verno,

d'arida paglia e tenero guaime;

così dalla mannella, ogni momento,

nuova tiglia guidata era nel fuso.

  Io dissi: “Brucia la capanna a gente!”

E i vegliatori, col bicchiere in mano,

tutti volsero gli occhi alla finestra,

quasi a vedere il lustro della vampa,

ad ascoltare il martellare a fuoco,

ton ton ton, nella notte insonnolita.

Non c'era nella notte altro splendore

che di lontane costellazioni,

e non c'era altro suono di campana,

se non della campana delle nove,

che da Barga ripete al campagnolo:

- Dormi, che ti fa bono! bono! bono! -

Non capparone ardeva per le selve,

zeppo di fronde aspre dal tramontano;

non meta di vincigli di castagno,

fatti d'agosto per serbarli al verno;

non metato soletto in cui seccasse

a un fuoco dolce il dolce pan di legno:

sopra le cannaiole le castagne

cricchiano, e il rosso fuoco arde nel buio.

Al buio il rio mandava un gorgoglìo,

come s'uno ci fosse a succhiar l'acqua.

Tutto era pace: sotto ogni catasta

sornacchiava il suo ghiro rattrappito.

In cima al colle un nero metatello

fumava appena in mezzo alla Grand'Orsa.

  Che bruciava?... La quercia, assai vissuta,

fu scalzata da molte opre, e fu svelta

e giacque morta.