Vi aggiunsi la siepe che era vicina, una porta di fienile e alcune ruote rotte, così com'erano disposte, e dopo un'ora trovai che avevo fatto un disegno ordinato e interessante senza avervi messo nulla di mio. Questo mi ha confermato nel mio proposito di attenermi per l'avvenire unicamente alla natura. Essa soltanto è infinitamente ricca, essa sola forma il grande artista. Si può dir molto in favore delle regole; all'incirca quello che si può dire in lode della società civile: un uomo for-matosi secondo le regole non farà mai nulla di assurdo e di cattivo, come chi si modella sulle leggi della buona creanza non sarà mai un vicino insopportabile, né potrà divenire un vero scellerato; ma tutte le regole, si dica quello che si vuole, distruggono il vero sentimento e la vera espressione della natura.
Questo è troppo - dirai tu - esse non fanno che moderare, recidere i ra-mi esuberanti eccetera. Caro amico, devo servirmi di un paragone? È co-me l'amore! Un giovane si dedica completamente a una ragazza; passa
tutte le ore del giorno presso di lei, usa tutte le sue forze e le sue facoltà per mostrarle che le appartiene interamente. Viene allora un filisteo, un uomo che occupa una carica importante, e gli dice: Mio carissimo signore: amare è umano, ma voi dovete amare virilmente! Dividete le vostre ore, datene alcune al lavoro, e dedicate alla fanciulla che amate quelle che vi restano libere. Contate i vostri averi e, con quello che vi rimane dopo aver provveduto al necessario, non vi proibisco di fare a lei un regalo, ma non troppo spesso, per esempio nel suo giorno natalizio e per il suo onomastico. Se il giovane segue il consiglio, potrà diventare un uo-mo utile e consiglierei al Principe di dargli un impiego. Ma è finita per il suo amore, e per la sua arte se egli è artista. Oh amici miei! perché il torrente del genio così raramente straripa, così raramente spumeggia in grandi flutti e scuote le vostre anime stupite? Cari amici, è perché sulle due rive abitano dei tranquilli signori, di cui le casette campagnole, le aiuole di tulipani e gli orti sarebbero devastati, ed essi sanno preservarsi dal minaccioso pericolo con argini e fosse costruite in tempo.
27 maggio.
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Mi accorgo di esser caduto in estasi, paragoni e declamazioni e ho dimenticato di raccontarti quello che è poi accaduto dei due bambini. Rimasi per ben due ore seduto sull'aratro, tutto preso dal sentimento pitto-rico che ti descrive la mia frammentaria lettera di ieri. A sera una giovane donna venne verso i fanciulli che intanto non si erano mossi: aveva un cestello infilato al braccio e gridava da lontano: Filippo, sei stato proprio bravo! Mi salutò, io ricambiai il saluto e, alzandomi, mi avvicinai a lei e le chiesi se fosse la madre dei due bimbi. Mi disse di sì e, mentre dava al più grande una mezza ciambella, prendeva in braccio il piccolo e lo ba-ciava con tenerezza tutta materna.
"Ho affidato il mio piccino a Filippo - mi disse - e sono andata in città col più grande per comprare pane bianco, zucchero e un tegamino di
terra".
Vidi tutto questo nel paniere, di cui era caduto il coperchio.
"Ora voglio cuocere una minestra per stasera al mio Giovanni (era il nome del più piccolo), quel birichino del mio figliolo maggiore mi ha rotto ieri il tegame, disputandosi con Filippo gli avanzi della pappa".
Domandai del maggiore, e lei mi aveva appena detto che era nel prato a correr dietro a due oche, quando il fanciullo arrivò saltellando e portando al secondo un ramo di nocciolo. Mi intrattenni ancora con la donna e seppi che era la figlia del maestro elementare, e che il marito era in viaggio in Svizzera dove si era recato per raccogliere l'eredità di un cugino.
"Volevano ingannarlo - mi disse - e non rispondevano alle sue lettere; così è andato di persona. Purché non gli sia accaduto nulla di male; io non ho avuto sue notizie!".
Mi fece pena staccarmi da quella donna: diedi un soldo a ciascuno dei bimbi, e uno a lei perché comprasse per il piccolo un panino da aggiungere alla pappa, quando sarebbe andata in città.
Ti assicuro, mio caro, che quando non riesco a frenare i miei sensi, calma il mio tumulto la vista di una creatura come questa, che trascorre in una felice tranquillità la stretta cerchia della sua esistenza e vive giorno per giorno, e vede cadere le foglie pensando soltanto che l'inverno si avvicina. Da allora io vado spesso laggiù. I fanciulli hanno fatto amicizia con me, hanno lo zucchero quando io bevo il caffè e la sera dividono con me il pane e burro e il latte quagliato. La domenica non manca mai il loro kreuzer, e se io non mi trovo lì all'ora della preghiera, l'ostessa ha l'ordine di distribuirlo.
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Essi sono pieni di espansività, mi raccontano ogni cosa, e io godo specialmente di osservare le loro passioni e l'esplosione dei loro desideri quando si riuniscono molti bambini del villaggio.
Ho durato gran fatica a persuadere la madre la quale temeva che i
bambini potessero dar fastidio al signore.
30 maggio.
Quello che ti dicevo recentemente a proposito della pittura, può anche riferirsi alla poesia: si tratta soltanto di saper riconoscere quello che c'è di meglio e di osare esprimerlo: certo questo si chiama dir molto in poche parole. Oggi ho assistito a una scena che, ben descritta, formerebbe il più bell'idillio del mondo: ma che importa dire poesia, scena, idillio? perché bisogna sempre agghindarsi quando si vuole interessarsi a una manifestazione di natura?
Se ti aspetti, dopo questo esordio, qualcosa di elevato e di eccezionale, t'inganni. È semplicemente un contadino che mi ha destato questa viva simpatia. Come al solito io racconterò molto male e, come al solito, io penso, tu mi troverai esagerato: è ancora Wahlheim, e sempre Wahlheim che produce queste meraviglie.
Una comitiva era riunita sotto i tigli a bere il caffè: poiché non mi pia-ceva gran che, presi un pretesto per rimanere isolato.
Un contadino uscì da una casa vicina e si mise ad accomodare qualco-
sa all'aratro che io avevo recentemente disegnato. Il suo aspetto mi piacque, gli parlai, gli domandai delle sue condizioni; la conoscenza fu ben presto fatta e, come mi avviene con quella gente, divenne intimità.
Mi raccontò che era al servizio di una vedova e che ne era trattato molto bene. Mi parlò tanto di lei e ne fece tali lodi che io potei subito capire come egli le fosse completamente devoto. Diceva che lei non era più giovane, che il primo marito l'aveva fatta soffrire e che non voleva più spo-sarsi; dal suo racconto traspariva chiaramente quanto egli la trovasse bella e affascinante, quanto desiderasse di essere prescelto a cancellare il ricordo dei torti del primo marito, e io dovrei ripeterti il suo discorso parola per parola per darti un'idea della pura inclinazione, dell'amore e della fedeltà di quell'uomo. Dovrei possedere le facoltà di un gran poeta per poterti ripetere al vivo l'espressione dei suoi gesti, l'armonia della sua voce e il fuoco che si rivelava nel suo sguardo. No, le parole non potrebbero mai esprimere la tenerezza che si manifestava nel suo essere e nel suo aspetto: sarebbe scialbo, incolore tutto quello che io potrei dire. Specialmente mi commoveva il suo timore che io potessi dubitare della
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correttezza dei suoi rapporti con lei. Soltanto nell'intimo dell'anima mia io posso ripetere il fascino da cui ero preso sentendolo parlare
dell'aspetto di lei, del suo corpo che lo attirava potentemente e lo avvin-ceva, pur essendo privo dello splendore della giovinezza. Nella mia vita non mi è mai accaduto di vedere un desiderio, una calda, nostalgica passione accompagnata da tanta purezza; devo dire anzi che non ho saputo neppure pensare e sognare così puramente. Non rimproverarmi se ti di-co che al ricordo di quell'innocenza e di quella sincerità d'affetto l'anima mia arde, che mi segue dovunque il ricordo di quella fedeltà e di quella tenerezza e che, come se io stesso fossi innamorato, languisco e mi con-sumo.
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