Amico mio, ho bisogno di dire questo a te che tanto spesso ne hai sopportato il peso e che mi hai visto passare dall'affanno ai più arditi sogni e da una dolce malinconia alla più funesta passione? Di modo che io considero il mio cuore come un bambino ammalato; e gli concedo ogni capriccio. Ma non lo dire a nessuno: ci sarebbero persone che non me lo perdonerebbero.
15 maggio.
L'umile gente del villaggio ormai mi conosce, e tutti mi vogliono bene, specialmente i bambini. Sulle prime quando io mi univo a loro e li inter-rogavo amichevolmente su questo o su quello, alcuni credevano che io volessi prendermi gioco di loro e mi rispondevano bruscamente. Io non me ne ebbi a male, soltanto compresi più distintamente quanto spesso avevo già osservato: le persone di una certa condizione si tengono a una fredda distanza dal popolo, come se credessero di perdere qualche cosa avvicinandolo; vi sono poi giovani spensierati e malvagi burloni che 6
ostentano di abbassarsi, per far maggiormente sentire alla povera gente la loro superbia.
So bene che noi non siamo né possiamo essere tutti uguali; ma ritengo che colui il quale sente il bisogno di allontanarsi dalla cosiddetta plebe per averne il rispetto, è biasimevole quanto un codardo che si nasconda al suo nemico per tema di esserne ucciso.
Di recente andai alla fontana e trovai una giovane donna di servizio che aveva posato il secchio sull'ultimo scalino e guardava intorno per vedere se nessuna compagna venisse e l'aiutasse a posarselo sulla testa.
Io scesi e la guardai. - Posso aiutarvi? - le chiesi. Diventò rossa rossa e disse: - Oh no, signore. - Senza complimenti. - Si aggiustò il cercine e io l'aiutai. Mi ringraziò, e salì per la scala.
17 maggio.
Ho fatto conoscenze d'ogni specie, ma non ho ancora trovato la società.
Non so che cosa posso avere di attraente per questi uomini; molti di loro mi vogliono bene, mi seguono e a me dispiace quando la nostra via è comune solo per un piccolo tratto. Se tu mi domandi com'è qui la gente, dovrò risponderti: come dappertutto. La razza umana è cosa uniforme! I più passano la maggior parte del tempo lavorando per vivere e, nei brevi momenti di libertà che rimangono loro, si tormentano per cercare ogni mezzo per essere liberi. O destino degli uomini!
Del resto è proprio della buonissima gente. Talvolta io mi concedo un momento d'oblio e godo con loro le gioie che all'uomo sono concesse: sedere a una parca mensa con animo aperto e cordiale, fare una gita, di-sporre una ritmica danza, e simili cose; questo esercita allora su di me una benefica influenza: soltanto io non devo pensare a tante altre forze che sono latenti in me, e si corrompono inutilizzate, e che io devo accura-tamente nascondere. Il mio cuore ne è angosciato. Ma, pure, essere in-compresi è la sorte di tutti noi.
Se fosse qui l'amica della mia giovinezza, se io l'avessi conosciuta! Ma dovrei dire a me stesso: tu sei un pazzo, tu cerchi ciò che in nessun luogo si può trovare! Ma io l'ho avuta; ho sentito il suo cuore, la sua grande anima, e, al suo cospetto, mi sembrava di esser più di quello che io ero, perché ero tutto ciò che potevo essere.
Buon Dio! c'era allora una sola forza della mia anima che rimanesse
inattiva? non potevo io forse spiegare tutto il mirabile sentimento col quale il mio cuore comprende la natura? Non erano forse i nostri colloqui un eterno intrecciarsi del più elevato sentimento e del più acuto 7
intelletto, di cui le gradazioni fino a quelle del mal garbo erano segnate dall'orma del genio? E ora! La sua età, più grave della mia, l'ha condotta alla tomba più presto di me, e io non dimenticherò mai il suo forte sentire e la sua divina tolleranza.
Da pochi giorni ho incontrato un giovane B., dall'aspetto simpatico e aperto. Esce ora dall'Università, non si ritiene un dotto, ma crede di sa-perne più degli altri. Infatti per quel che ho potuto capire si è applicato a studi di ogni sorta e ha notevoli cognizioni.
Appena ha saputo che io disegno molto e che so il greco (due cose mi-racolose in questo paese), è venuto da me e ha fatto pompa di molta sa-pienza, da Batteux a Wood, da de Piles a Winkelmann; mi ha assicurato che egli ha letto tutta la prima parte della teoria di Sulzer, e che possiede un manoscritto di Heine sullo studio dell'antichità. Io l'ho lasciato dire.
Ho fatto conoscenza con un'altra brava persona: il borgomastro, uomo leale e schietto. Pare sia una vera gioia spirituale vederlo tra i suoi figli; ne ha nove, e specialmente si dice un gran bene della figliola maggiore.
Mi ha pregato di andarlo a visitare e vi andrò uno di questi giorni. Abita in una tenuta di caccia del principe, a un'ora e mezzo da qui: dopo la morte di sua moglie ha avuto il permesso di ritirarvisi perché il soggior-no in città e nella casa comunale gli faceva troppo male. Inoltre ho incontrato degli originali in cui tutto è spiacevole, e soprattutto insopportabili sono le manifestazioni di amicizia.
Addio; questa lettera, tutta storica, ti piacerà!
22 maggio.
Già qualcuno ha pensato che la vita dell'uomo sia soltanto un sogno, e questo sentimento si è impadronito anche di me. Quando io contemplo i confini nei quali stanno rinserrate le forze attive e speculative dell'uomo; quando vedo come ogni attività non mira che alla soddisfazione di bisogni i quali a loro volta non hanno altro scopo che di prolungare la nostra povera esistenza, e vedo inoltre che il tranquillizzarsi su alcuni punti della nostra ricerca spirituale non è che una fantastica rassegnazione di chi dipinga con svariate immagini e luminose vedute le pareti fra le quali è prigioniero, tutto ciò, mio caro Guglielmo, mi rende muto. Io rientro in me stesso e trovo un mondo, ma formato più di presentimenti e di cupi desideri che di immagini e di forze viventi. Allora tutto ondeggia davanti ai miei sensi, io sorrido e continuo a sognare nel mondo.
Tutti i più sapienti istitutori e maestri sono d'accordo nel dire che i fanciulli non sanno perché vogliono; ma anche i grandi, simili ai fanciulli, 8
barcollano su questa terra e, come quelli che non sanno donde vengono e dove vanno, non agiscono secondo uno scopo determinato e si lasciano governare da biscotti e dolci e vergate; questo invece nessuno lo vuol credere, eppure a me sembra sia una verità da toccare con mano.
Ammetto, perché so quali obiezioni tu potresti farmi, che sono proprio i più felici coloro che vivono giorno per giorno come i bambini, portando a spasso le bambole che vestono e spogliano, girando con gran rispetto intorno alla dispensa dove la mamma ha rinchiuso il pan dolce, e quando infine riescono a ottenere la ghiottoneria desiderata, la divorano e con la bocca piena gridano: ancora! Queste sono felici creature! E anche sono felici coloro che danno splendidi nomi alle loro frivole occupazioni o alle loro passioni e fanno credere al genere umano che siano queste opere gi-gantesche, dedicate alla sua salvezza e alla sua prosperità.
Felice chi può vivere così! Ma chi umilmente riconosce a che cosa tutto questo conduce, chi vede come ogni savio borghese possa, secondo che gli aggrada, trasformare il suo giardino in un paradiso, e come anche l'infelice continui il suo cammino sotto i fardelli e tutti siano egualmente interessati a vedere per un minuto di più la luce del sole, colui pure è tranquillo e forma il suo mondo in se stesso, ed è felice, perché è un uo-mo. E per quanto limitati siano i suoi confini, egli custodisce pur sempre nel cuore il sentimento della libertà e sente di potere, quando volesse, abbandonare questo carcere.
26 maggio.
Tu conosci da tempo la mia abitudine di costruire, di innalzare, a caso, in qualche luogo tranquillo una capanna e di vivere lì con ogni ristrettezza: anche qui ho trovato un posticino che mi è convenuto.
Circa a un'ora dalla città vi è un luogo chiamato Wahleim (nota
dell'autore: il lettore non si dia pena di ricercare i luoghi qui nominati: si è creduto necessario di cambiare i veri nomi che si trovano nell'originale.
Fine della nota). La sua posizione presso una collina è molto interessante e, quando si esce dal villaggio e si va su per un sentiero, si ha il colpo d'occhio di tutta la valle. Una buona ostessa che, pur essendo vecchia, è piacevole e vivace, offre vino, birra e caffè; ma, quello che più importa, sono due tigli che con i loro archi coprono la piccola piazza dinanzi alla chiesa che è circondata da case di contadini, fattorie, castelli. Non potrei facilmente trovare un posticino più intimo e segreto, di modo che
dall'osteria faccio portar fuori il mio tavolino e una sedia, e lì bevo il mio caffè e leggo Omero.
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La prima volta che per caso capitai sotto i tigli in un bel pomeriggio, trovai il luogo solitario. Tutti erano ai campi: soltanto un fanciullo di circa quattro anni sedeva per terra e fra le gambe ne teneva un altro di forse sei mesi, stringendolo con le braccia al petto in modo da fargli una specie di seggiola; e nonostante la vivacità con la quale egli volgeva attorno i suoi occhi neri, sedeva perfettamente tranquillo. Faceva piacere a vederlo; mi sedetti su un aratro che era lì di fronte e disegnai con vero godimento la scena fraterna.
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