Poi egli andò in città a diffondere la notizia che i bambini del Sindaco erano già abbastanza maleducati, e che Werther finiva di guastarli!
Sì, mio caro Guglielmo, i bambini sono particolarmente cari al mio
cuore. Quando li osservo, e vedo in quei piccoli esseri il germe di ogni virtù e di ogni forza che un giorno sarà loro necessaria, quando
nell'ostinazione io scopro la futura costanza e fermezza di carattere, nella vivacità il buon umore e la facilità con la quale passeranno fra i pericoli della vita… e tutto questo così puro e completo, sempre io ripeto le auree parole del Maestro degli uomini: guai a voi se non diverrete come uno di costoro! Eppure noi trattiamo come sudditi questi che sono nostri simili e che dovrebbero essere i nostri modelli. Essi non devono avere nessuna 21
volontà… E noi forse non ne abbiamo? e perché dobbiamo essere privile-giati? Forse perché siamo più vecchi e più abili? Buon Dio, dal tuo cielo tu non vedi che vecchi e bambini, niente altro! e tuo figlio da lungo tempo ci ha detto quali ti danno maggiore gioia. Ma essi credono in lui e non lo ascoltano - anche questa è cosa vecchia - e formano i loro bambini a lo-ro immagine e somiglianza, e… addio Guglielmo: non voglio a questo
proposito delirare di più!
Primo luglio.
Che cosa deve essere Carlotta per un malato, io lo sento nel mio pove-ro cuore, che è più sofferente di uno che giaccia in un letto di dolore. Lei passerà qualche giorno in città, da una buona signora che, secondo quanto dicono i medici, non ha più molto da vivere e che in questi ultimi momenti vuole avere Carlotta presso di sé!
La settimana scorsa andai con lei a far visita al Parroco di San… ; è un paesello fra i monti, a un'ora di qui. Arrivammo circa alle quattro; Carlotta aveva preso con sé la sorella minore. Quando entrammo nel cortile della canonica, ombreggiato da due alberi di noce, il buon vecchio sedeva su di una panca dinanzi alla porta di casa, e appena vide Carlotta sembrò rinascere a nuova vita, dimenticò il suo nodoso bastone, e osò muoversi per venirle incontro. Lei corse verso di lui, lo obbligò a sedersi mettendoglisi vicino, gli portò molti saluti del padre, e abbracciò un fanciullo brutto e sudicio, il bimbo più piccolo del pastore, il figlio della sua vecchiaia! E avresti dovuto vedere quale cura prese del vecchio: come alzava la voce perché giungesse chiara al suo orecchio mezzo sordo, come gli raccontava di persone giovani e robuste, e pure morte improvvisamente, come gli vantava l'efficacia di Carlsbad lodando la sua decisione di passarvi l'estate e come badava a ripetergli che trovava il suo aspetto migliore e più vivace dell'ultima volta che lo aveva visto. Nel frattempo io avevo presentato i miei omaggi alla moglie del pastore. Il vecchio era del tutto rianimato e poiché io non seppi trattenermi dal lodare i begli alberi di noce che ci davano ombra così grata, egli cominciò, benché con qualche difficoltà, a narrarcene la storia.
"Non sappiamo chi abbia piantato il più vecchio, - disse - chi nomina l'uno e chi l'altro pastore. Ma il più giovane ha proprio l'età di mia moglie: cinquant'anni in ottobre. Suo padre lo piantò la mattina, e lei nacque la sera. Fu il mio predecessore nel presbiterio e non si può dire quanto l'albero gli fosse caro: né lo è meno a me. Mia moglie sedeva su una 22
panca, alla sua ombra, e lavorava di calza, quando io, ventisette anni fa -
ero allora un povero studente - entrai per la prima volta in questo
cortile".
Carlotta gli domandò di sua figlia; rispose che era andata in un prato vicino, con il signor Schmidt, a vedere gli operai, e il vecchio proseguì il racconto: disse come il suo predecessore avesse preso a volergli bene, e così pure la figlia di lui, e come egli fosse diventato dapprima il suo vica-rio e poi il suo successore. La storia era appena finita quando la figlia del pastore venne col signor Schmidt, attraversando il giardino: accolse Carlotta con calda espansione, e devo dire che non mi dispiacque affatto: è una brunetta vivace e ben fatta che deve rendere molto piacevole il tempo a chi lo passi con lei in campagna. Il suo innamorato (come tale si presentò subito il signor Schmidt) era una persona fine, ma silenziosa, e non volle prender parte alla nostra conversazione, benché Carlotta ve lo spin-gesse continuamente. E io rimasi turbato, potendo vedere dal suo viso che non per mancanza d'intelligenza egli se ne stava appartato, ma per capriccio e cattivo umore. E questo apparve in seguito anche più evidente, giacché‚ quando passeggiando Federica si trovò con Carlotta e, ca-sualmente, anche con me, il viso di quel signore, già naturalmente bruno, divenne così cupo che era proprio tempo che Carlotta mi tirasse per la manica e mi avvertisse che ero troppo gentile con Federica. Ora, nulla mi urta tanto quanto vedere gli uomini tormentarsi l'un l'altro, specie quando sono giovani che potrebbero godere di tutte le gioie e che invece si amareggiano i pochi giorni buoni concessi e troppo tardi si accorgono della loro irreparabile prodigalità. Questo proprio mi tormenta, e la sera quando ritornammo al presbiterio e fummo seduti attorno a una tavola dove ci servirono del latte, allorché la conversazione cadde sui dolori e le gioie della vita, non potei trattenermi dal cogliere la palla al balzo e parlare con tutta l'anima contro il cattivo umore.
"Spesso noi ci lamentiamo, dissi, perché pochi sono i giorni buoni e molti quelli tristi, ma abbiamo torto, a quel che mi sembra. Se avessimo sempre il cuore aperto e pronto a godere il bene che Dio ogni giorno ci concede, avremmo poi forza sufficiente per sopportare il male quando viene".
- Ma noi non siamo padroni del nostro umore - disse la moglie del pastore - molte volte esso dipende dalla salute! quando si è sofferenti si sta male dovunque. -
Le diedi ragione, ma aggiunsi: - Ebbene, consideriamo la cosa come
una malattia, e vediamo se non esistono dei rimedi.
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- È giusto, disse Carlotta, credo che molto dipenda da noi, a giudicare da me stessa. Quando qualcosa mi turba e minaccia di mettermi di cattivo umore, corro in giardino canticchiando qualche ballabile, e tutto passa.
- È proprio quello che volevo dire, ripresi, avviene per l'umore come per la pigrizia: anzi è proprio una specie di pigrizia. Per natura vi siamo molto inclinati, ma se una volta abbiamo la forza di vincerla, il lavoro ci pare facile e troviamo nell'attività un vero piacere". Federica ascoltava at-tentamente, e il giovane si rivolse a me dicendo che non si è padroni di se stessi, e che tanto meno si può comandare ai propri sentimenti. "Ma in questo caso, replicai, si tratta di una sensazione spiacevole, di cui ciascuno si libererebbe volentieri; e nessuno sa fin dove arrivano le sue forze se non le ha prima sperimentate: eppure, chi è ammalato, consulterà certo tutti i medici e con grande rassegnazione prenderà le medicine più amare per riacquistare la desiderata salute".
Osservai che il nobile vecchio tendeva l'orecchio per prender parte alla conversazione; allora alzai la voce, e rivolsi a lui il mio discorso: "Si predica contro tanti vizi, dissi, ma ancora non ho sentito dire che dal perga-mo si sia levata la voce contro il cattivo umore".
- "Questo tocca ai pastori delle città, disse lui; i contadini non conosco-no il cattivo umore; eppure se io lo facessi non sarebbe male: potrebbe se non altro servire di lezione a mia moglie e al signor Sindaco". -
Tutti risero, ed egli pure rise di cuore, finché un colpo di tosse lo prese, e interruppe per un poco il nostro discorso. Poi il giovane prese la parola: "Voi chiamate il cattivo umore un vizio; mi sembra che siate eccessivo".
"A me non sembra, risposi; se qualcosa nuoce a noi stessi e agli altri, merita senz'altro tale nome. Come se non bastasse il non poterci render felici l'un l'altro, dovremmo anche rapirci il piacere che talvolta il nostro cuore sa procurarsi? E trovatemi un uomo di cattivo umore che sia così bravo da nasconderlo, da sopportarlo solo, senza turbare la gioia che lo circonda! O piuttosto non deriva la nostra inquietudine da un'intima coscienza della nostra indegnità, da uno scontento di noi stessi, che sempre si collega con l'invidia e con una pazza vanità? Noi vediamo felici delle persone che non ci debbono la loro felicità, e questo non possiamo
sopportarlo!".
Carlotta mi sorrise, vedendo la commozione con la quale parlavo, e
una lacrima di Federica mi spinse a continuare: "Guai a coloro, dissi, che si servono dell'influenza che hanno su di un cuore per rapirgli le semplici gioie che esso sa procurare a se stesso! Tutti i doni, tutte le premure 24
della terra non compensano un istante di spontaneo piacere, rapitoci dalla gelosa importunità del nostro tiranno!"
Il mio cuore era gonfio in quel momento; tutti i ricordi del passato si affollavano nell'anima mia, e gli occhi mi si riempivano di lacrime. Tutti ogni giorno dovrebbero dirsi: tu non puoi far altro per i tuoi amici che lasciar loro le gioie che hanno, e render più vivo il loro piacere, godendone con essi.
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