I Giuochi Della Vita
I giuochi della vita
di Grazia Deledda
INDICE
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Per riflesso
Freddo
Per la sua creatura
Pasqua
La morte scherza
I giuochi della vita
Padre Topes
Il vecchio servo
Il fermaglio
Lo studente e lo scoparo
Colpi di scure
Mentre soffia il levante
PER RIFLESSO
Da lunghi anni nessun fatto interessante turbava la pace dello stazzo [1] di Larentu Verre, quando accadde un avvenimento straordinario.
Era una giornata calda di ottobre. Le donne, Coanna la vecchia serva e Millèna la giovane padrona, facevano il pane; zio Larentu era appena rientrato dai campi e se ne stava ritto vicino alla porta spalancata, accomodando la correggia di un fucile.
— Io ho fame — diceva alla giovane moglie, mentre stava tutto intento al suo lavoro. — Cosa mi daresti, Millè?
— Cosa? — domandò Millèna, volgendosi alla domestica.
Le due donne si guardarono bene in viso, interrogandosi a vicenda; poi Coanna si alzò e disse gravemente:
— Vorresti un pane col lardo?
— Benissimo! — esclamò il padrone. Allora zia Coanna tagliò una fetta di lardo sull'asse che serviva per preparare il pane, e ne fece tanti pezzettini che dispose sopra un pane crudo, largo e rotondo; poi mise il pane a cuocere dentro il forno.
E serva e padrona stettero attente, col volto curvato sulla bocca del forno, premurose che la cosa riuscisse bene.
Ma da qualche minuto Larentu Verre aveva dimenticato il suo appetito, e trascurato il suo fucile, e guardava fuor della porta, lontano, con la stessa attenzione con cui le donne guardavano dentro il forno. Ad un tratto gridò:
— Coanna! Vieni a vedere una cosa!
La vecchia gli fu tosto vicina.
— M'ingannano gli occhi? — chiese il padrone.
— Gli occhi non t'ingannano.
— Viene qui?
— Qui viene. Va e nasconditi; resto io! — disse fieramente la donna.
— Io non devo nascondermi! — gridò non meno fieramente il padrone. —
Nasconditi tu, se vuoi!
— Non c'è ragione perché io debba nascondermi, Larentu Verre!
— E neppur io!
Intanto Millèna aveva ritirato il pane col lardo sull'orlo del forno, e dopo averci soffiato sopra per toglier la cenere, veniva anch'essa a vedere.
— Cosa è? Chi è? — domandò, guardando fuori. E tosto si turbò.
Vedeva una donna e un fanciullo venire alla volta dello stazzo, attraverso il sentiero tracciato tra il verde tenero della pianura: la donna indossava un costume povero, di panno scuro, il fanciullo un modesto vestitino di fustagno.
Millèna riconobbe tosto nella donna una povera parente di suo marito, che undici o dodici anni prima era stata serva nello stazzo, e aveva avuto un figlio da Larentu Verre. Tutti sapevano che solo per le istigazioni e i pettegolezzi di zia Coanna, che da quarant'anni dominava nello stazzo, il padrone, non più giovane, non aveva sposato Andreana Verre. E pei maneggi di zia Coanna, egli aveva invece tolto in moglie una parente della vecchia serva, di vent'anni più giovane di lui.
Dopo le loro nozze, Millèna non aveva mai veduto Andreana nello stazzo, né si era accorta che il marito ricordasse la donna e il fanciullo che ora venivano, quieti e composti, attraverso il sentiero soleggiato.
— Perché viene? Cosa vuole colei? Vattene, Larentu Verre, va e nasconditi: resto io, va! Viene certamente a chiederti del danaro! — borbottava la vecchia serva.
— Dio mio, Gesù mio, Dio mio... — diceva timidamente Millèna, sospirando.
Larentu si volse: guardò il viso infantile di sua moglie, guardò il volto bianco e rugoso di zia Coanna; poi si mise a ridere, ma tosto parve pentirsi di aver riso, e disse rudemente:
— Tornate al vostro lavoro, donne!
Millèna tornò subito verso il forno, ma zia Coanna non si mosse.
— Va là, vecchia, fa il fatto tuo!
— Larentu Verre!
— Va là, fa il fatto tuo! Saprò arrangiarmi da me! Va!
La vecchia s'allontanò a malincuore; ma pur stando in fondo alla cucina guardava attraverso la porta, e borbottava.
— Non vuoi dunque mangiare? — domandò Millèna a suo marito.
Zio Larentu non rispose.
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