Egli fingeva di accomodare ancora la correggia del fucile, dandosi molto da fare; però guardava ogni tanto fuori, e provava una vaga inquietudine, o meglio una collera sorda e segreta.

— So perché quella donna e quel fanciullo vengono — pensava, annodan-do dispettosamente la correggia. — Ora cominciano a rompermi davvero le scatole. Ieri l'altro è stato il maestro, il quale mi ha fatto sapere che quel ragazzo è il primo della scuola, e che io devo mandarlo a studiare. Poi anche il parroco. Vadano al diavolo tutti! Ma che lo mettano a lavorar la terra o lo fac-ciano studiare a loro spese! E quella sfacciata che osa venir qui; ma guarda!

Ebbene, che venga! La piglio a calci!

Eppure, nonostante il suo coraggioso proposito, egli sentiva una strana tre-pidanza, non per sé, ma per sua moglie e per Coanna. Aveva paura della serva e vergogna della moglie, della quale egli amava la giovinezza e la bontà.

— Ebbene, che vengano! Calci quanti ne vogliono! — ripeteva fra sé, pensando ad Andreana ed a quel fanciullo che egli non amava: ma intanto avrebbe voluto andar loro incontro e pregarli di non avanzare. Per un momento sperò che la donna e il ragazzo passassero dritti davanti allo stazzo, ma quando li vide vicini e diretti alla sua porta egli si scostò, appese il fucile al solito posto, poi si avviò per uscire.

— Fa quell'altra bestialità — disse zia Coanna con disprezzo.

Egli si sentì inchiodato sul limitare. "Quei due" s'avanzavano; eccoli presso la siepe del cortile, eccoli davanti alla porta. Dietro la siepe i cani abbaiavano forte.

— Ave Maria — salutò umilmente la donna, sollevando verso Larentu i suoi limpidi occhioni.

Egli non rispose, ma quasi istintivamente si scostò per lasciar passare i visi-tatori.

Andreana non esitò un minuto ed entrò a viso alto in quella casa donde era uscita disonorata. Ella veniva per chiedere l'avvenire di suo figlio e sentiva un coraggio da leonessa. Ma il fanciullo guardò, coi suoi grandi occhi color nocciola, limpidi e un po' spauriti, quell'uomo piccolino, rossigno, dal viso malevolo, che con la sua sopragiacca di pelo rassomigliava ad una volpe maligna, e arrossì.

Nonostante tutto il suo ardire, sulle prime Andreana non vide nulla, e do-po aver salutato tacque, confusa e commossa.

Ma a poco a poco riprese coraggio e si guardò attorno. La cucina era ben sempre la stessa, intonacata con terra gialla, e quasi a metà occupata dal forno: nell'angolo dietro la porta pendeva sempre il fucile; un po' più in là stava attaccata ad un chiodo una gonna d'orbace della vecchia serva, vicino alla gonna un tagliere di legno con l'incavo per metterci il sale. Ecco, il focolare di granito era sempre nel centro della cucina; attraverso il vetro sporco della finestra si scorgeva uno dei pochi soveri che sorgevano per la pianura. I cani abbaiavano sempre. Ah, ecco, ella ricordava uno per uno i vecchi cani dello stazzo: quello che nell'abbaiare sembrava un fanciullo rauco piangente, era Maccioni, il cane rosso favorito di Larentu. Ah, le donne facevano il pane? El-la conosceva gli arnesi che adoperavano; solo una pala di legno bianco era nuova. E zia Coanna era sempre la stessa, la vecchia strega, con gli occhietti di faina e le mani adunche, gialle come zampe d'astore. Due persone sole erano nuove per Andreana, in quell'ambiente conosciuto: il piccolo Andrea sedutole accanto, e Millèna seduta davanti al forno. E sebbene il piccolo Andrea e Millèna, rossi e confusi, tenessero gli occhi bassi, erano le sole persone che davano soggezione alla madre coraggiosa.

Zio Larentu andava di qua e di là, come cercando qualche cosa che non rinveniva: e dovunque guardava vedeva due grandi occhi limpidi, color nocciola, che lo fissavano spauriti. Ad un tratto però incontrò davvero i piccoli occhi di zia Coanna e gli sembrò di scoppiare fra sé in una risata.