I Masnadieri

PREFAZIONE DELL’AUTORE

 

 

 

Quae medicamenta non sanant, ferrum sanat

quae ferrum non sanat, ignis sanat.

Ippocrate

 

Questo dramma dev’essere valutato come una storia drammatica e niente più, che utilizza le infinite risorse consentite dalla scena per penetrare nelle operazioni, complesse e misteriose, dello spirito. È una storia che rifiuta comunque di assoggettarsi ai limiti imposti da un’opera di teatro e non si propone il traguardo, peraltro problematico, dell’utile derivante dalla rappresentazione. Mi auguro che venga obiettivamente riconosciuta l’assurdità di una pretesa che postula di indagare a fondo, in poche ore, il destino di tre personaggi di statura eccezionale, la cui attività dipende da migliaia di minuscole ruote allo stesso modo che si rivela impossibile, nello stato di natura, che tre personaggi eccezionali riescano ad essere conosciuti e sondati nelle minime pieghe dal più eminente specialista del cuore umano. In questa storia c’erano tante realtà diverse indissolubilmente concatenate che non era possibile ridurle negli scarni confini tracciati da Aristotele e da Batteux. Ora, non è tanto la complessità della mia opera quanto il suo contenuto ciò che gli preclude la via del palcoscenico. La sua concezione imponeva la presenza di personaggi che ferivano i teneri sentimenti della gioventù, e irritavano le nostre gentili e radicate consuetudini. Chiunque voglia raffigurare la realtà dell’animo umano diviene suddito di questa severa Necessità quando si propone di descrivere fedelmente il mondo reale e non vuole fornirne un’idealistica contraffazione ad uso e consumo della società. Purtroppo questa oggi è la moda imperante: i buoni risaltano solo in opposizione ai malvagi, e la virtù si esalta a dismisura solo se la si accosta al vizio o se gli viene contrapposta. Chi si è assunto il compito di abbattere il vizio e di vendicare in modo esemplare presso i suoi nemici l’etica, la religione e le leggi della società civile, deve additare il vizio integralmente, nell’immensità del suo orrore, e costringere l’umanità a constatarne l’immane grandezza, deve entrare nei labirinti della notte, non deve esitare a percorrerli, deve imporre a se stesso di penetrare fino in fondo nel cuore dei sentimenti che suscitano nel suo spirito una cupa avversione. In questo dramma il vizio viene pazientemente illustrato e analizzato nel funzionamento di ogni suo minimo addendo. Nel personaggio di Franz il vizio stempera ogni confuso, quasi imprevedibile sussulto della coscienza in astrazioni assolute, isterilisce il senso del giudizio, e la voce alta e solenne della religione si trasforma in feroce sarcasmo.

Chi è riuscito (è una supremazia che non gli invidio) a rendere sempre più acuminata e diritta la propria capacità di giudizio a spese dei moti e dei trasporti del cuore, non riterrà sacro più nulla, l’umanità e la religione non conteranno più nulla per lui, e questi due mondi perderanno qualsiasi importanza ai suoi occhi. Ho cercato di tracciare un ritratto fedele e pertinente di questo tragico aborto dell’umanità, di esaminare obiettivamente una per una ogni articolazione che compone il gigantesco meccanismo dei suoi vizi, e di verificarne l’impatto e l’incidenza alla luce della verità. Giudicate voi come e in quale misura abbia tenuto fede a questo impegno nel corso della storia. Io ritengo di essere penetrato nel cuore della natura. Accanto a questa tipologia umana ce n’è un’altra che dovrebbe costituire un problema per molti dei miei lettori: parlo di uno spirito che il vizio estremo eccita per la grandezza che vi è insita, per la forza che il vizio stesso impone e determina, per i rischi che si accompagnano all’azione. Un uomo dotato d’intelligenza, di forza e di una personalità originale può diventare, a seconda dell’impulso che riceve, sia un Bruto che un Catilina. Un caso infelice lo spingerà ad assumere quest’ultimo aspetto, mentre si identificherà col primo solo al termine di una lunga serie di errori. Delle opinioni errate nei confronti delle attività e degli svariati influssi cui è sottoposto, una sovrabbondanza di forze che irrompe e cozza contro qualsiasi legge, non potevano che opporsi violentemente alle condizioni di vita borghese. A questi miraggi entusiastici di attivismo e di grandezza non poteva che associarsi una amarezza crescente contro l’universo idealista: ecco l’origine di quel bizzarro Don Chisciotte che noi amiamo e disprezziamo insieme, che ammiriamo e compiangiamo nel masnadiero Karl Moor. Spero di non essere, ancora una volta, costretto a sottolineare che questo ritratto non riguarda soltanto i masnadieri, come la satira dello scrittore spagnolo non riguarda solo i cavalieri. Attualmente l’imperativo del giorno sembra essere quello di un acre umorismo a spese della religione, e si è considerati un genio a patto che ci si diverta a prendere in giro le verità più sacre. La nobile ingenuità della Sacra Scrittura deve tollerare di essere impunemente ridicolizzata dai quotidiani consessi dei begli spiriti mentre - ed è questa la domanda che ci poniamo - cosa c’è al mondo di sacro o di serio che non diventi spaventosamente ridicolo, se lo si collochi in una prospettiva distorta? Quindi, mi è consentito sperare di non aver preso volgarmente le difese della religione e dell’autentica moralità, se addito alla pubblica riprovazione, nelle vesti dei miei orribili masnadieri, questi nemici accaniti e irriguardosi della Sacra Scrittura. Ma c’è ben altro. Gli uomini di cui parlavo prima, quelli che hanno abiurato la morale, hanno ottenuto comunque un credito immenso da una parte, ovvero hanno guadagnato a livello di spirito quello che hanno perso a livello di cuore. Raffigurandoli, non ho fatto altro che copiare la Natura, parola per parola.

Su ognuno di loro, anche sul più ignobile, è impresso il sigillo del Figlio dell’Uomo, e probabilmente il più feroce criminale deve percorrere un cammino assai meno lungo dell’uomo onesto per abbracciare il campo opposto della virtù. Perché l’etica si sviluppa in concomitanza con le forze vitali dell’uomo, e più le capacità sono grandi tanto più aumenta il loro colpevole abuso e tanto più colpevole appare la loro progressiva distorsione. L’Adramelek di Klopstock desta in noi un sentimento complesso in cui la ripugnanza si alterna all’ammirazione. In preda al fascino e all’orrore, seguiamo nei suoi caotici labirinti il Satana di Milton. La Medea dei drammi classici è sempre degna d’ammirazione, nonostante tutti i suoi orrori, e il Riccardo di Shakespeare suscita una profonda ammirazione nel lettore che tuttavia lo respingerebbe con astio se gli comparisse, vivo, davanti agli occhi. Quando io mi assegno il compito di rappresentare gli uomini nella loro assoluta integrità, devo essere disposto ad accettarne anche i lati positivi, che non sono assenti nemmeno nella creatura più depravata.