Sono miei buoni amici. Pastori mansueti e onesti. Hanno la proprietà di una capra su trenta che ne custodiscono, fanno dei bei cordoni di lana di vari colori, suonano ariette rustiche con dei piccoli flauti a sei fori. Hanno bisogno che qualcuno parli loro del buon Dio ogni tanto. Che cosa direbbero di un vescovo che ha paura? Che cosa direbbero se non ci andassi?».

            «Ma, monsignore, e i briganti?».

            «Toh! ora che ci penso. Avete ragione: potrei incontrarli. Anch'essi potrebbero aver bisogno che si parli loro del buon Dio».

            «Ma è una banda, monsignore! Sono un branco di lupi!».

            «Signor sindaco, forse Gesù mi vuole pastore in quel branco. Chi conosce le vie della Provvidenza?».

            «Ma vi deruberanno, monsignore!».

            «Non ho nulla».

            «Vi uccideranno».

            «Un povero prete che passa borbottando le sue sciocchezze?... Via! A che scopo?».

            «Ah!... E se li incontrate?».

            «Domanderò loro l'elemosina per i miei poveri».

            «Non ci andate, monsignore. In nome del cielo!... Rischiate la vita...».

            «È solo per questo, signor sindaco?», disse il vescovo. «Non vivo per conservare la mia vita, ma per custodire le anime».

            Bisognò lasciarlo fare. Egli partì, accompagnato soltanto da un ragazzo che gli faceva da guida. La sua ostinazione fece rumore nel paese e impressionò. Non volle condurre con sé né la sorella, né la signora Magloire. Attraversò la montagna a dorso di mulo senza incontrare nessuno e giunse sano e salvo presso «i suoi buoni amici», i pastori. Rimase presso di loro quindici giorni, predicando, amministrando, insegnando, catechizzando. Prima di prendere la via del ritorno avrebbe voluto cantare il Te Deum pontificale. Ne parlò al curato. Come fare? Non c'erano i paramenti episcopali. Non si poteva mettere a sua disposizione se non una modesta sacrestia di villaggio, con qualche vecchio piviale di damasco, ornato di false passamanerie.

            «Bah!», disse il vescovo. «Signor curato, annunciamo intanto dal pulpito il Te Deum... In qualche modo si provvederà».

            Si cercò nelle chiese dei dintorni. Tutte le ricchezze di quelle parrocchie riunite non sarebbero bastate a vestire convenientemente un cantore di cattedrale. Mentre ci si chiedeva come fare, due cavalieri sconosciuti portarono al presbiterio una grande cassa per monsignor vescovo e si allontanarono di gran carriera. La cassa fu aperta: conteneva un piviale di stoffa ricamato in oro, una mitra tempestata di diamanti, una croce arcivescovile, un pastorale magnifico e tutte le vesti pontificali rubate un mese prima dal tesoro di Notre-Dame d'Embrun. Sul fondo della cassa c'era un foglietto sul quale era scritto: Cravatte a Monsignor Bienvenu.

            «Lo dicevo io che tutto si sarebbe accomodato!», disse il vescovo. Poi sorridendo aggiunse:

            «A chi s'accontenta d'una cotta da curato, Dio manda un piviale da arcivescovo».

            «Monsignore», mormorò il curato scuotendo il capo con un sorriso, «Dio o il diavolo».

            Il vescovo guardò fisso il curato e ripeté: «Dio!».

            Mentre ritornava a Chastelar, e lungo tutta la strada, la gente accorreva curiosa di vederlo. Al presbiterio di Chastelar trovò Baptistine e la signora Magloire che lo aspettavano e disse a sua sorella:

            «Non avevo forse ragione?...