I fanciulli e i vecchi uscivano sulla soglia della porta soltanto per il vescovo e per il sole. Benediceva ed era benedetto. La gente indicava la sua casa a chiunque avesse bisogno di qualcosa.

            Qua e là si fermava, parlava ai ragazzi e alle bambine, sorrideva alle madri. Finché aveva denaro, visitava i poveri, quando non ne aveva più faceva visita ai ricchi.

            Siccome faceva durar a lungo le tonache e non voleva che qualcuno se ne accorgesse, quando usciva in città usava sempre la sopravveste viola. Che d'estate dava un po' fastidio.

            Rincasando, pranzava. Il pranzo assomigliava alla colazione.

            La sera, alle otto e mezza, cenava con sua sorella, e la signora Magloire, in piedi alle loro spalle, li serviva. Nulla di più frugale di quel pasto. Se però il vescovo aveva a cena uno dei suoi curati, la signora Magloire ne approfittava per servire a monsignore ottimi pesci di lago o della selvaggina di montagna. Ogni curato diventava pretesto per una buona cena; e il vescovo lasciava fare. Altrimenti il suo pasto consisteva di verdura lessata e di una minestra con l'olio. Perciò in città si diceva: quando il vescovo non fa vita da curato, fa vita da trappista.

            Dopo cena s'intratteneva per una mezzoretta con la signorina Baptistine e con la signora Magloire; poi rientrava in camera sua e si rimetteva a scrivere su dei foglietti sciolti o in margine a qualche in-folio. Era letterato e anche un po' erudito. Ha lasciato cinque o sei manoscritti curiosi; fra questi una dissertazione sul versetto della Genesi: Al principio lo spirito di Dio galleggiava sulle acque. Si tratta di un confronto tra questo versetto e tre testi: il versetto arabo che dice: I venti di Dio soffiavano; Flavio Giuseppe che dice: Un vento dall'alto precipitava sulla terra; infine la parafrasi caldea di Onkelos: Un vento che veniva da Dio soffiava sulla superficie delle acque. In un'altra dissertazione esaminava le opere teologiche di Hugo, vescovo di Tolemaide, lontano prozio di chi scrive questo libro, e affermava che gli si debbono attribuire i vari opuscoli pubblicati nel secolo scorso sotto lo pseudonimo di Barleycourt.

            A volte durante una lettura, quale che fosse il libro che aveva fra le mani, piombava improvvisamente in una meditazione profonda, dalla quale usciva solo per scrivere qualche riga sulle pagine del volume stesso. Queste righe spesso non hanno alcuna relazione col libro che le accoglie. Abbiamo sott'occhio una nota scritta da lui in margine a un in-quarto intitolato: Corrispondenza di lord Germain coi generali Clinton, Cornwalis e gli ammiragli della stazione d'America. A Versailles, presso Poinçot, libraio, e a Parigi, presso Pissot, libraio in lungosenna degli Agostiniani.

            Ecco questa nota:

            «O voi, chi siete?

            «L'Ecclesiaste vi chiama Onnipotente, i Maccabei vi chiamano Creatore, l'Epistola agli Efesii vi chiama Libertà, Baruch vi chiama Immensità; i Salmi vi chiamano Saggezza e Verità, Giovanni vi chiama Luce, i Re vi chiamano Signore, l'Esodo Provvidenza, il Levitico vi chiama Santità, Esdra vi chiama Giustizia, il Creato vi chiama Dio, l'uomo vi chiama Padre, ma Salomone vi chiama Misericordia, ed è questo il più bello di tutti i vostri nomi».

            Verso le nove di sera le due donne si ritiravano e salivano nelle loro camere, al primo piano, lasciandolo al pianterreno, solo, fino al mattino.

            A questo punto è necessario dare un'idea esatta dell'abitazione del vescovo di D.

 

VI • A CHI MONSIGNOR BIENVENU AVESSE AFFIDATO LA CUSTODIA DELLA PROPRIA CASA    (torna all'indice)

 

            La casa che abitava, lo abbiamo già detto, si componeva di un pianterreno più un solo piano: tre stanze in basso, tre di sopra, sotto un granaio. Dietro la casa il giardino, un quarto di iugero. Le due donne occupavano il primo piano, il vescovo il pianterreno. La prima stanza, che si apriva sulla strada, serviva da sala da pranzo, la seconda da camera da letto e la terza da oratorio. Non si poteva uscire dall'oratorio senza attraversare la camera da letto, né uscir dalla camera da letto senza attraversare la sala da pranzo. In fondo all'oratorio c'era un'alcova chiusa, con un letto per gli ospiti. Monsignor vescovo teneva questo letto per i curati di campagna che andavano a D. per faccende o per qualche necessità della parrocchia.

            La farmacia dell'ospedale, un piccolo edificio annesso alla casa, s'era trasformata in cucina e cantina. Nel giardino c'era anche una stalla che era stata la cucina dell'ospedale e il vescovo ci teneva due vacche. Quale che fosse la quantità di latte che ne ricavava, non mancava di mandarne la metà, ogni mattina, agli ammalati dell'ospedale. «Pago la mia decima», diceva.

            La sua camera era abbastanza grande, non troppo facile a riscaldare durante l'inverno; e poiché la legna a D. costava cara, egli aveva avuto la buona idea di far costruire, nella stalla, un localino chiuso da un cancelletto di tavole, dove passava le sue serate quando il freddo era pungente. Lo chiamava la sua sala d'inverno.

            Anche in questo, come nella sala da pranzo, la mobilia consisteva in un tavolo quadrato di legno chiaro, e quattro seggiole impagliate.