Lei si limitò a tirare la falda della finanziera di Jean Valjean. Si sentiva sempre più distintamente il rumore della pattuglia che si avvicinava.
«Papà», disse sottovoce, «ho paura. Chi è che sta venendo, laggiù?».
«Zitta!», rispose l'infelice, «è la Thénardier».
Cosette trasalì. Egli aggiunse:
«Non dire niente. Lasciami fare. Se strilli, se piangi, la Thénardier ti sente. Viene a riprenderti».
Allora, senza affrettarsi, ma senza perdere un istante, con una precisione ferma e concisa, tanto più notevole in un momento simile in cui la pattuglia di Javert poteva sopravvenire da un istante all'altro, egli si snodò la cravatta, la passò attorno al corpo di Cosette sotto le ascelle, avendo cura che non facesse male alla bambina, fissò quella cravatta a un capo della corda per mezzo di quel nodo che gli uomini di mare chiamano nodo di rondine, prese l'altro capo della corda tra i denti, si tolse le scarpe e le calze gettandole al di là del muro, salì sul blocco di muratura e cominciò a salire nell'angolo formato dal muro e dal pignone con tanta solidità e sicurezza come se avesse avuto dei gradini sotto i piedi e sotto i gomiti. Non era passato mezzo minuto che era in ginocchio sul muro.
Cosette lo fissava con stupore, senza dire una parola. La raccomandazione di Jean Valjean e il nome della Thénardier l'avevano gelata.
D'un tratto intese la voce di Jean Valjean che le gridava, pur bassissima:
«Addossati al muro!».
Ella obbedì.
«Non dire una parola e non aver paura», riprese Jean Valjean.
Ed ella si sentì sollevare da terra.
Prima che avesse il tempo di raccapezzarsi, era in cima al muro.
Jean Valjean l'afferrò, se la mise sulle spalle, le prese le due manine nella sua mano sinistra, si mise ventre a terra e strisciò sul muro fino alla rientranza. Come aveva indovinato, lì c'era un edificio il cui tetto partiva dalla cima della chiusura di legno e scendeva molto vicino a terra, seguendo un piano inclinato assai dolcemente, sfiorando il tiglio.
Circostanza fortunata, perché il muro era molto più alto da quel lato che dalla parte della strada. Jean Valjean vedeva il terreno molto lontano sotto di sé.
Era arrivato al piano inclinato del tetto e non aveva ancora lasciato la cresta del muro, quando un violento vocìo annunciò l'arrivo della pattuglia. Si sentì la voce tonante di Javert:
«Frugate il vicolo cieco! La rue Droit-Mur è sorvegliata, il vicolo Picpus anche. Scommetto che è nel vicolo!».
I soldati si precipitarono nel vicolo cieco Genrot.
Jean Valjean si lasciò scivolare lungo il tetto, sempre sostenendo Cosette, raggiunse il tiglio e saltò a terra. Per terrore o per coraggio, Cosette non aveva fiatato. Aveva le mani un po' scorticate.
VI • INIZIO DI UN ENIGMA (torna all'indice)
Jean Valjean si trovava in una specie di giardino molto vasto e d'aspetto singolare; uno di quei giardini tristi che sembrano fatti per essere guardati d'inverno e di notte. Quel giardino era di forma oblunga con un filare di grandi pioppi in fondo, fustaie abbastanza alte negli angoli e uno spazio senz'ombra al centro, dove si distingueva un altissimo albero isolato, poi alcune piante da frutta contorte e irte come roveti, appezzamenti di legumi, una poponaia le cui campane luccicavano sotto la luna e un vecchio pozzo a perdere. Qua e là c'erano panchine di pietra che sembravano nere di muschio. I viali erano bordati da piccoli arbusti scuri e diritti. L'erba ne invadeva la metà e una muffa verde copriva il resto.
Jean Valjean aveva accanto a sé la costruzione il cui tetto gli era servito per scendere, un mucchio di fascine, e dietro le fascine, addossata al muro, una statua di pietra il cui viso mutilato non era più che una maschera informe che appariva vagamente nell'oscurità.
L'edificio era una sorta di rovina in cui si distinguevano camere smantellate, una delle quali, tutta ingombra, pareva servire da deposito.
Il grande casamento di rue Droit-Mur che faceva gomito sul vicolo Picpus sviluppava su questo giardino due facciate a squadra. Queste facciate interne erano più tragiche ancora di quelle esterne. Tutte le finestre erano munite di sbarre. Non vi si intravedeva alcuna luce. Ai piani superiori c'erano bocche di lupo come nelle prigioni. Una di quelle facciate proiettava sull'altra la sua ombra che ricadeva sul giardino come un immenso drappo nero.
Non si scorgevano altre case. Il fondo del giardino si perdeva nella foschia e nella notte. Tuttavia vi si distinguevano confusamente dei muri che si incrociavano come se al di là ci fossero altre colture, e i tetti bassi di rue Polonceau.
Non si poteva immaginare nulla di più selvatico e di più solitario di quel giardino. Non c'era nessuno, cosa ovvia a causa dell'ora; ma non sembrava che quel posto fosse fatto perché qualcuno vi si aggirasse, anche in pieno giorno.
La prima preoccupazione di Jean Valjean era stata di ritrovare le scarpe e di rimetterle, poi di entrare nel deposito con Cosette. Colui che evade non si crede mai abbastanza nascosto. La bambina pensava sempre alla Thénardier, condividendo il suo istinto di occultarsi il più possibile.
Cosette tremava e si stringeva a lui. Si sentiva il rumore tumultuoso della pattuglia che rovistava il vicolo cieco e la strada, i colpi di mazza contro le pietre, gli appelli di Javert alle vedette che aveva appostato e le sue imprecazioni miste a parole che non si distinguevano.
In capo a un quarto d'ora parve che quella specie di brontolio temporalesco cominciasse ad allontanarsi.
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