In quelle partite di caccia i soldati sono gli assi nella manica. Del resto è il principio venatorio: per venire a capo di un cinghiale ci vuole scienza di cacciatore e una quantità di cani. Prese queste disposizioni, sentendo Jean Valjean chiuso tra il vicolo cieco Genrot a destra, il suo agente a sinistra, e lui stesso alle spalle, Javert fiutò una presa di tabacco.
Poi si mise a giocare la partita. Ebbe un istante incantevole e infernale; lasciò andare il suo uomo davanti a sé, sapendo di tenerlo, ma desiderando rimandare il più possibile il momento dell'arresto, felice di sentirlo preso e di vederlo libero, covandolo con lo sguardo con la voluttà del ragno che lascia svolazzare la mosca e del gatto che lascia correre il sorcio. Le grinfie e gli artigli hanno una sensualità mostruosa; è il movimento oscuro della bestia imprigionata nella loro morsa. Che delizia quel soffocamento!
Javert gioiva. Le maglie della sua rete erano solidamente fissate. Era sicuro del successo; ora non aveva che da stringere la mano.
Accompagnato com'era, l'idea stessa di una resistenza era impossibile, per quanto energico, vigoroso e disperato fosse Jean Valjean.
Javert avanzò lentamente, sondando e frugando al suo passaggio tutti i recessi della strada come le tasche di un ladro.
Quando arrivò al centro della tela, non vi trovò più la mosca.
Si immagini la sua esasperazione.
Interrogò la sua vedetta all'angolo tra rue Droit-Mur e rue Picpus; quell'agente, rimasto imperturbabile al suo posto, non aveva visto passare l'uomo.
Capita talvolta che un cervo scappi pur avendo la muta addosso; e allora i più vecchi cacciatori non sanno che dire. Duvivier, Ligniville e Desprez rimangono sbalorditi. In un disappunto del genere, Artonge esclamò: Non è un cervo, è uno stregone.
Javert avrebbe volentieri lanciato la stessa esclamazione.
La sua delusione giunse per un attimo alla disperazione e al furore.
È certo che Napoleone commise errori nella campagna di Russia, che Alessandro commise errori nella campagna d'India, che Cesare commise errori nella guerra d'Africa, che Ciro commise errori nella guerra di Scizia, e che Javert commise errori in quella campagna contro Jean Valjean. Ebbe torto forse a esitare nel riconoscere l'ex galeotto. La prima occhiata avrebbe dovuto bastargli. Ebbe torto a non arrestarlo puramente e semplicemente nella stamberga. Ebbe torto a non arrestarlo quando lo riconobbe con certezza in rue de Pontoise. Ebbe torto a concentrarsi con i suoi ausiliari in pieno chiar di luna nell'incrocio Rollin; certo i pareri sono utili, ed è bene conoscere e interrogare i cani che meritano fiducia. Ma il cacciatore non prende mai troppe precauzioni quando caccia animali inquieti come il lupo e il forzato. Javert, preoccupandosi troppo di mettere i segugi della muta sulla traccia giusta, allarmò la selvaggina facendole fiutare i cacciatori e inducendola ad allontanarsi. Ebbe torto soprattutto, quando ebbe ritrovato la traccia al ponte d'Austerlitz, a giocare quel gioco formidabile e puerile di tenere un tal uomo appeso a un filo. Si ritenne più forte di quanto non fosse, e credette di poter giocare al sorcio con un leone. Nel contempo, si ritenne troppo debole quando giudicò necessario chiamare rinforzi. Precauzione fatale, perdita di tempo prezioso. Javert commise tutti questi errori, ed era nondimeno uno degli agenti più esperti e più corretti che siano mai esistiti. Era, in tutta la forza del termine, ciò che nell'arte venatoria si chiama un cane sapiente. Ma chi è perfetto?
I grandi strateghi hanno le loro eclissi.
Le grosse sciocchezze sono spesso fatte, come le grosse corde, da una moltitudine di fili. Prendete la corda filo per filo, prendete separatamente tutti i motivi determinanti, spezzateli uno dopo l'altro, e direte: tutto qui! Intrecciateli e torceteli insieme, è un'enormità: è Attila che esita tra Marciano a Oriente e Valentiniano a Occidente; è Annibale che s'attarda a Capua; è Danton che si addormenta ad Arcis-sur-Aube.
Comunque, nel momento stesso in cui si accorse che Jean Valjean gli sfuggiva, Javert non perse la testa. Sicuro che il forzato evaso non poteva essere lontano, dispose sentinelle, organizzò trappole e imboscate e batté il quartiere tutta la notte. La prima cosa che vide fu il disordine del lampione la cui corda era stata tagliata. Indizio prezioso che tuttavia lo ingannò e fece deviare tutte le ricerche verso il vicolo cieco Genrot. In quel vicolo ci sono muri molto bassi che danno su giardini le cui recinzioni confinano con immensi terreni incolti. Jean Valjean aveva dovuto evidentemente fuggire di là.
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