Ma il rumore della moneta da cinque franchi che lasciò cadere fu notato dalla vecchia, la quale, sentendo maneggiare denaro, pensò che si preparasse ad andarsene e si affrettò ad avvertire Javert. Alla sera, quando Jean Valjean uscì, Javert l'aspettava dietro gli alberi del viale con due uomini.
Javert aveva chiesto manforte alla prefettura, ma non aveva detto il nome dell'individuo che sperava di prendere. Era il suo segreto; e l'aveva mantenuto per tre ragioni: primo, perché la minima indiscrezione poteva dar l'allarme a Jean Valjean; secondo, perché metter le mani su un ex forzato evaso e ritenuto morto, su un condannato che i rapporti giudiziari avevano classificato per sempre tra i malfattori della specie più pericolosa, sarebbe stato un magnifico successo che gli anziani della polizia parigina non avrebbero certo lasciato a un nuovo venuto come Javert, e temeva che gli avrebbero sottratto il suo galeotto; infine, perché Javert, essendo un artista, aveva il gusto dell'imprevisto. Odiava quei successi annunciati che vengono deflorati parlandone troppo tempo prima. Ci teneva a elaborare i suoi capolavori nell'ombra e a svelarli poi bruscamente.
Javert aveva seguito Jean Valjean di albero in albero, poi di cantonata in cantonata, e non l'aveva perso di vista un istante; anche nei momenti in cui Jean Valjean si credeva più al sicuro, l'occhio di Javert era su di lui. Perché Javert non arrestava Jean Valjean? Il fatto è che dubitava ancora.
Bisogna ricordare che a quell'epoca la polizia non era precisamente a suo agio; la stampa libera la metteva in imbarazzo. Alcuni arresti arbitrari, denunciati dai giornali, erano rimbalzati fino alle Camere, e avevano reso timida la prefettura. Attentare alla libertà individuale era un fatto grave. Gli agenti avevano paura di sbagliare; il prefetto se la sarebbe presa con loro; un errore significava la destituzione. Figuratevi l'effetto che avrebbe prodotto a Parigi questo trafiletto riprodotto da venti giornali: «Ieri, un anziano signore dai capelli bianchi, un rispettabile possidente che passeggiava con la sua nipotina di otto anni, è stato arrestato e condotto alle carceri della Prefettura come forzato evaso!».
Ripetiamo inoltre che Javert aveva i suoi scrupoli personali; le raccomandazioni della sua coscienza si aggiungevano alle raccomandazioni del prefetto. Dubitava realmente.
Jean Valjean gli dava la schiena e camminava al buio.
La tristezza, l'inquietudine, l'ansia, l'esaurimento, quella nuova sventura d'essere costretto a fuggire di notte e a cercare un asilo a caso in Parigi per Cosette e per sé, la necessità di regolare il suo passo su quello di una bambina, tutto questo, a sua stessa insaputa, aveva mutato l'andatura di Jean Valjean e impresso al suo aspetto una tale senilità che la polizia stessa, incarnata da Javert, poteva ingannarsi, e s'ingannò. L'impossibilità di avvicinarsi troppo, i suoi abiti da vecchio precettore emigrato, la dichiarazione di Thénardier che lo rendeva nonno, infine la credenza della sua morte all'ergastolo, aggiungevano altre incertezze a quelle che s'infoltivano nella mente di Javert.
Ebbe per un istante l'idea di chiedergli bruscamente i documenti. Ma se quell'uomo non era Jean Valjean, e se non era un buon vecchio possidente onesto, era probabilmente qualche furfante profondamente e sapientemente immischiato nella trama oscura dei misfatti parigini, qualche pericoloso capobanda, che faceva l'elemosina per nascondere gli altri suoi talenti, vecchio trucco. Aveva dei fidi, dei complici, dei rifugi in cui andava senza dubbio a nascondersi. Tutte quelle giravolte che faceva per le strade sembravano indicare che non fosse un semplice vecchio innocuo. Arrestarlo troppo presto significava «uccidere la gallina dalle uova d'oro». Non c'erano inconvenienti ad aspettare. Javert era ben certo che non gli sarebbe sfuggito.
Camminava dunque assai perplesso, ponendosi cento domande su quel personaggio enigmatico.
Non fu che molto tardi, in rue de Pontoise, che grazie alla viva luce proveniente da un'osteria riconobbe senza incertezze Jean Valjean.
Vi sono in questo mondo due esseri che trasaliscono profondamente: la madre che ritrova suo figlio, la tigre che ritrova la sua preda. Javert ebbe quel trasalimento profondo.
Appena ebbe sicuramente riconosciuto Jean Valjean, il temibile forzato, si accorse che erano solo in tre, e fece chiedere rinforzi al commissario di polizia della rue de Pontoise. Prima di impugnare un bastone spinoso, si mettono i guanti. Quel ritardo e la sosta all'incrocio Rollin per concertarsi con gli agenti rischiarono di fargli perdere la pista. Tuttavia indovinò rapidamente che Jean Valjean avrebbe voluto mettere il fiume tra sé e i suoi cacciatori. Chinò la testa e rifletté, come un segugio che mette il naso a terra per essere sulla traccia giusta. Javert, con la sua possente esattezza d'istinto, andò diritto al ponte d'Austerlitz. Una parola al casellante lo mise al corrente: «Avete visto un uomo con una bambina?». «Gli ho fatto pagare due soldi», rispose il casellante. Javert arrivò sul ponte in tempo per vedere dall'altra parte dell'acqua Jean Valjean attraversare con Cosette per mano lo spiazzo illuminato dalla luna. Lo vide infilare rue du Chemin-Vert-St-Antoine; pensò al vicolo cieco Genrot disposto là come una trappola e all'unico sbocco di rue Droit-Mur sul vicolo Picpus. Tagliò le vie di scampo, come dicono i cacciatori; mandò in fretta per una via laterale uno dei suoi agenti a vigilare quello sbocco. Requisì una pattuglia di passaggio che rientrava al posto di guardia dell'Arsenale e si fece accompagnare.
1 comment