Come tutte le pratiche, anche questa con l'abitudine diventa meccanica e capita che qualcuna dica: «Sempre sia!», prima che l'altra abbia avuto il tempo di dire, frase abbastanza lunga per la verità: «Lodato sia e adorato il Santissimo Sacramento dell'altare!».

            Dalle visitandine, invece, quella che entra dice: «Ave Maria», e quella nella cui stanza si entra dice: «Gratia plena». È come il loro buongiorno, «pieno di grazia» davvero.

            Durante il giorno, a ogni ora, la campana della chiesa del convento batte tre colpi in più. Allora priora, madri vocali, professe, converse, novizie, postulanti, interrompono i discorsi, le azioni, i pensieri e tutte insieme recitano, mettiamo che siano le cinque: «Alle cinque e a ogni ora, lodato sia e adorato il Santissimo Sacramento dell'altare!». E così via a seconda dell'ora.

            Questa usanza, che ha lo scopo di troncare il pensiero e di ricondurlo sempre a Dio, si ritrova in molte comunità: solo la forma è diversa. Al Gesù Bambino, per esempio si dice: «A quest'ora e a tutte le ore, amore di Gesù infiamma il mio cuore!».

            Le bernardine-benedettine di Martin Verga, in clausura al Petit-Picpus, cinquant'anni fa cantavano gli uffici su una salmodia grave di puro canto fermo, e sempre a voce spiegata, per tutta la durata dell'ufficio. Quando sul messale trovavano segnato un asterisco, facevano una pausa e dicevano a bassa voce: «Gesù, Giuseppe, Maria». Per l'ufficio dei morti tenevano un tono talmente basso che a fatica voci femminili possono raggiungerlo. Ne risultava un effetto avvincente e tragico.

            Quelle del Petit-Picpus avevano scavato sotto l'altar maggiore una cripta per la sepoltura della loro comunità. Il governo, come dicevano, non aveva dato il permesso di calare in questa cripta le bare. Da morte, quindi, dovevano uscire dal convento. E questa cosa le affliggeva e le addolorava come fosse un'infrazione alla regola.

            Avevano ottenuto di essere sotterrate a un'ora particolare e in un particolare angolo del vecchio cimitero Vaugirard, situato in un terreno che un tempo era appartenuto alla comunità.

            Tutti i giovedì le monache sentivano la messa solenne, i vespri, e tutti gli uffici quasi fosse domenica. Osservavano anche scrupolosamente tutte le piccole festività, sconosciute ai profani, delle quali la Chiesa era prodiga un tempo in Francia, e lo è tutt'ora in Spagna e in Italia. Le soste in cappella erano interminabili. Quanto al numero e alla durata delle preghiere, non potremmo darne idea migliore se non citando le candide parole di una di loro: «Le preghiere delle postulanti sono spaventose, le preghiere delle novizie peggio, le preghiere delle professe peggio ancora».

            Una volta alla settimana si radunava il capitolo: presiedeva la priora, le madri vocali assistevano. Tutte le monache, a turno, si inginocchiavano sulla nuda pietra, e confessavano ad alta voce, davanti a tutte, le colpe e i peccati commessi durante la settimana. Dopo ogni confessione le madri vocali si consultavano e infliggevano a voce alta le penitenze.

            Oltre alla confessione ad alta voce, riservata ai peccati più gravi, per i peccati veniali facevano la cosiddetta colpa. Fare la colpa consisteva nel prosternarsi bocconi davanti alla priora durante l'ufficio fintanto che quest'ultima, chiamata sempre e unicamente nostra madre, non dava il permesso di alzarsi battendo un colpettino sul legno dello stallo. Si faceva la colpa per niente, un bicchiere rotto, un velo strappato, il ritardo involontario di qualche secondo all'ufficio, una stonatura in chiesa, ecc., bastava questo per fare la colpa. La colpa era assolutamente spontanea: era la colpevole stessa (dal punto di vista dell'etimologia questa parola è proprio quella giusta) che si giudicava e se l'infliggeva. Nei giorni di festa e la domenica quattro madri cantore salmodiavano gli uffici davanti a un grande leggio a quattro posti. Un giorno una madre cantora intonò un salmo che cominciava con Ecce e, invece di Ecce disse ad alta voce queste tre note: Ut, si, sol; per quella distrazione subì una colpa durata per tutto l'ufficio. Ciò che rendeva la mancanza enorme era il fatto che tutto il capitolo ne aveva riso.

            Quando una monaca veniva chiamata in parlatorio, foss'anche la superiora, abbassava il velo in modo da lasciar scoperta soltanto la bocca.

            Alla superiora era permesso comunicare con quelli di fuori.

            Le altre potevano incontrare unicamente i parenti più prossimi, e molto di rado. Se per avventura qualcuno del mondo si presentava a visitare una monaca, un tempo conosciuta e amata, erano necessarie vere e proprie trattative. Se si trattava di una donna era possibile che qualche volta l'autorizzazione venisse accordata; la monaca arrivava e il colloquio avveniva attraverso le imposte, aperte solo nel caso la visitatrice fosse la madre o la sorella. Agli uomini, ovviamente, il permesso veniva rifiutato sempre.

            Questa è la regola di san Benedetto che Martin Verga fece ancor più severa.

            Quelle monache non erano affatto gioiose, colorite e fresche come sono spesso quelle degli altri ordini. Erano pallide e tristi. Dal 1825 al 1830 ne sono impazzite tre.

 

III • SEVERITÀ    (torna all'indice)

 

            Per due anni almeno, ma il più delle volte per quattro, restavano postulanti. I voti definitivi non venivano pronunciati prima dei ventitré, ventiquattro anni. Le bernardine-benedettine di Martin Verga non ammettevano nell'ordine le vedove.

            Nelle celle le monache si infliggevano molti e sconosciuti tormenti dei quali non dovevano far parola.

            Il giorno della professione la novizia veniva vestita con i suoi abiti più belli, incoronata di rose bianche sui capelli lucidi e arricciolati; si prosternava, le stendevano sopra un velo nero e cantavano l'ufficio dei morti. Le monache a questo punto si disponevano su due file; una fila passava accanto alla novizia dicendo con voce lamentosa: nostra sorella è morta e l'altra fila rispondeva con voce tonante: vive in Gesù Cristo!

            All'epoca in cui si svolge questo racconto al convento era annesso un pensionato.