In quel vecchio quartiere provinciale, nei recessi più selvaggi, spunta il selciato, i marciapiedi cominciano a serpeggiare e ad allungarsi, anche colà dove non ci sono ancora passanti. Una mattina, mattina memorabile, nel luglio 1845, si videro d'un tratto fumare le marmitte nere del bitume; quel giorno si può dire che la civiltà fosse giunta in rue l'Ourcine e che Parigi era entrata nel sobborgo St-Marceau.
II • NIDO PER GUFO E CAPINERA (torna all'indice)
Fu davanti a quella stamberga Gorbeau che Jean Valjean si fermò. Come gli uccelli selvatici, aveva scelto quel luogo deserto per farvi il suo nido.
Frugò nel panciotto, prese una sorta di passe-partout, aprì la porta, entrò, poi la richiuse con cura e salì la scala sempre portando Cosette.
In cima alla scala trasse di tasca un'altra chiave con cui aprì un'altra porta. La camera in cui entrò e che richiuse immediatamente era una specie di soffitta abbastanza spaziosa, ammobiliata con un materasso posato a terra, un tavolo e qualche sedia. In un angolo c'era una stufa accesa, in cui si vedeva la brace. Il lampione del viale illuminava vagamente quel povero interno. In fondo c'era uno stanzino con una branda. Jean Valjean portò la bambina su quel giaciglio e ve la depose senza che si svegliasse.
Batté l'acciarino e accese una candela; tutto ciò era già pronto in anticipo sul tavolo; e, come aveva fatto il giorno innanzi, si mise a considerare Cosette con uno sguardo colmo d'estasi in cui l'espressione della bontà e della tenerezza si spingeva quasi allo smarrimento. La piccina, con quella fiducia tranquilla che appartiene solo all'estrema forza o all'estrema debolezza, si era addormentata senza sapere con chi era, e continuava a dormire senza sapere dov'era.
Jean Valjean si chinò e baciò la mano della bambina.
Nove mesi prima baciava la mano della madre, che anch'essa si era addormentata.
Lo stesso sentimento doloroso, religioso, pungente, gli riempiva il cuore.
Si inginocchiò accanto al letto di Cosette.
A giorno fatto, la bambina dormiva ancora. Un pallido raggio del sole di dicembre attraversava la finestra dell'abbaino e tracciava sul soffitto lunghe ragnatele d'ombra e di luce. Tutt'a un tratto il carro di un cavapietre, pesantemente carico, che passava sulla carreggiata del viale, scosse la baracca come un rimbombo di temporale e la fece tremare da cima a fondo.
«Sì, signora!», gridò Cosette svegliata di soprassalto, «ecco, ecco!».
E si gettò dal letto, le palpebre ancora semichiuse per la pesantezza del sonno, tendendo le braccia verso l'angolo della parete.
«Ah, Dio! La mia scopa!», disse.
Aprì del tutto gli occhi, e vide il volto sorridente di Jean Valjean.
«Ah, sì, è vero!», disse la bambina. «Buongiorno, signore».
I bambini accettano subito e familiarmente la gioia e la felicità, essendo loro stessi naturalmente felicità e gioia.
Cosette vide Catherine ai piedi del letto, se ne impadronì, e giocando poneva queste domande a Jean Valjean: Dov'era? Era grande, Parigi? La signora Thénardier era lontana? Non sarebbe tornata? Eccetera. D'un tratto esclamò: «Com'è bello, qui!».
Era un tugurio spaventoso; ma lei si sentiva libera.
«Devo scopare?», riprese infine.
«Gioca», disse Jean Valjean.
La giornata passò così. Cosette, senza inquietarsi perché non capiva nulla, era inesprimibilmente felice tra quella bambola e quell'uomo.
III • DUE INFELICITÀ UNITE FANNO UNA FELICITÀ (torna all'indice)
L'indomani, allo spuntar del giorno, Jean Valjean era ancora accanto al letto di Cosette. Aspettava lì, immobile, e la guardò svegliarsi.
Qualcosa di nuovo gli entrava nell'anima.
Jean Valjean non aveva mai amato nulla. Da venticinque anni era solo al mondo. Non era mai stato padre, amante, marito, amico. Al bagno penale era malvagio, cupo, casto, ignorante e selvatico. Il cuore di quel vecchio forzato era pieno di verginità. Sua sorella e i figli di sua sorella non gli avevano lasciato che un ricordo vago e lontano che aveva finito per svanire quasi completamente. Aveva compiuto ogni sforzo per ritrovarli, e non essendo riuscito a ritrovarli li aveva dimenticati. La natura umana è cosiffatta. Le altre emozioni tenere della sua gioventù, se c'erano state, erano cadute in un abisso.
Quando vide Cosette, quando l'ebbe presa, portata via e liberata, si sentì smuovere le viscere. Tutto ciò che c'era di appassionato e di affettuoso in lui si risvegliò e si precipitò verso quella bambina. Andava accanto al letto in cui ella dormiva, e tremava di gioia: provava degli impeti d'affetto come una madre, e non sapeva cosa fossero; perché è una cosa ben oscura e ben dolce quel grande e strano sommovimento di un cuore che si mette ad amare!
Povero vecchio cuore rinnovato!
Soltanto, poiché egli aveva cinquantacinque anni e Cosette otto, tutto l'amore che avrebbe potuto esserci in tutta la sua vita si fuse in una sorta di bagliore ineffabile.
Era la seconda apparizione bianca che incontrava. Il vescovo aveva fatto levare al suo orizzonte l'alba della virtù; Cosette vi faceva levare l'alba dell'amore.
I primi giorni passarono in questo abbagliamento.
Dal canto suo, anche Cosette diventava un'altra, a sua insaputa, povera creatura! Era così piccola quando la madre l'aveva lasciata che non se ne ricordava più. Come tutti i bambini, simili ai giovani germogli della vite che si abbarbicano a tutto, aveva tentato di amare. Non c'era riuscita. Tutti l'avevano respinta, i Thénardier, le loro bambine, altri bambini. Aveva amato il cane, che era morto; dopodiché niente aveva voluto saperne di lei, e nessuno.
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