Cosa lugubre a dirsi, e che abbiamo già indicato, a otto anni aveva il cuore freddo. Non era colpa sua, non era la facoltà d'amare che le mancava; ahimè! era la possibilità. Così, fin dal primo giorno, tutto ciò che sentiva e pensava in lei si mise ad amare quel brav'uomo. Provava ciò che non aveva mai provato, una sensazione di rigoglio.
Il buonuomo non le faceva nemmeno più l'impressione di essere vecchio, né di essere povero. Trovava Jean Valjean bello, come trovava accogliente il tugurio.
Son questi effetti d'aurora, d'infanzia, di gioventù, di gioia. La novità della terra e della vita v'ha la sua parte. Nulla è affascinante come il riflesso colorante della felicità sulla soffitta. Abbiamo tutti nel nostro passato un abbaino azzurro.
La natura, cinquant'anni di intervallo, aveva posto una separazione profonda fra Jean Valjean e Cosette; questa separazione fu colmata dal destino. Il destino unì bruscamente e fidanzò con la sua irresistibile potenza quelle due esistenze sradicate, diverse per l'età, simili per il dolore. L'una, in effetti, completava l'altra. L'istinto di Cosette cercava un padre come l'istinto di Jean Valjean cercava un figlio. Incontrarsi fu trovarsi. Nel momento misterioso in cui le loro mani si toccarono, esse si saldarono. Quando quelle due anime si scorsero, si riconobbero come necessità reciproca e si abbracciarono indissolubilmente.
Prendendo le parole nel loro senso più comprensivo e più assoluto, si potrebbe dire che, separati da tutto da muri di tomba, Jean Valjean era il Vedovo come Cosette era l'Orfanella. Questa situazione fece sì che Jean Valjean divenisse in maniera celeste il padre di Cosette.
E, in verità, l'impressione misteriosa prodotta su Cosette, nel folto del bosco di Chelles, dalla mano di Jean Valjean che afferrava la sua nel buio, non era un'illusione ma una realtà. L'ingresso di quell'uomo nel destino di quella bambina era stato l'avvento del buon Dio.
Peraltro, Jean Valjean aveva ben scelto il proprio asilo. Lì stava al sicuro in un modo che poteva sembrare completo.
La camera con stanzino che occupava con Cosette era quella la cui finestra dava sul viale. Quella finestra essendo unica nella casa, non c'era da temere alcuno sguardo di vicini, né di lato né di faccia.
Il pianterreno del numero 50-52, sorta di tettoia in sfacelo, serviva da magazzino ad alcuni orticoltori, e non aveva nessuna comunicazione col primo piano. Ne era separato dal pavimento che non aveva né botole né scala, ed era come il diaframma della catapecchia. Il primo piano conteneva, come abbiamo detto, molte camere e qualche abbaino, di cui uno soltanto era occupato da una vecchia che faceva le pulizie per Jean Valjean. Tutto il resto era disabitato.
Era stata questa vecchia, insignita del titolo di principale locataria e in realtà incaricata delle funzioni di portinaia, che gli aveva affittato quell'alloggio nel giorno di Natale. Egli si era presentato come un possidente rovinato dai Buoni di Spagna, che veniva ad abitare lì con sua nipote. Aveva pagato sei mesi anticipati e incaricato la vecchia di ammobiliare la camera e lo stanzino come abbiamo visto. Era stata quella buona donna ad accendere la stufa e a preparare tutto la sera del loro arrivo.
Le settimane si susseguirono. Quei due esseri conducevano in quel tugurio miserabile un'esistenza felice.
Fin dall'alba Cosette rideva, cicalava, cantava. I bambini hanno il loro canto mattutino come gli uccelli.
Capitava talvolta che Jean Valjean le prendesse la manina rossa e screpolata dai geloni e la baciasse. La povera bambina, abituata ad essere picchiata, non sapeva cosa significasse, e se ne andava tutta vergognosa.
A tratti diventava seria e considerava il suo abitino nero. Cosette non era più in cenci, era in lutto. Usciva dalla miseria ed entrava nella vita.
Jean Valjean si era messo a insegnarle a leggere. Talvolta, facendo compitare la bambina, pensava che era stato con l'idea di fare il male che aveva imparato a leggere in prigione.
1 comment