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Senza il vostro aiuto, a quest'ora nessuno di noi sarebbe in vita.
Le imbarcazioni erano giunte presso il vascello. La scala fu abbassata e l'ufficiale, Yanez, Ada, Sandokan e tutti gli altri salirono in coperta dove li attendevano ansiosamente il capitano e l'equipaggio.
L'ufficiale presentò Yanez al capitano del vascello, un bell'uomo sulla quarantina con due grossi mustacchi e la pelle abbronzata dal sole equatoriale.
- È una vera fortuna, signore, l'essere arrivato in così buon punto - disse il capitano stringendo vigorosamente la destra che il portoghese gli porgeva.
- Certamente, mio caro capitano. Mia sorella sarebbe morta.
- È vostra sorella, signor ambasciatore? - chiese il capitano, guardando la pazza che non aveva ancor pronunciato parola.
- Sì, capitano, ma l'infelice è pazza.
- Pazza?
- Sì, comandante.
- Così giovane e così bella! - esclamò il capitano guardando con occhio compassionevole la vergine della pagoda. - Forse sarà stanca.
- Lo credo, capitano.
- Sir Strafford, conducete la signora nella migliore cabina di poppa.
- Permettete però che il suo servo la segua - disse Yanez. - Accompagnala, Kammamuri.
Il maharatto prese per mano la giovinetta e seguì l'ufficiale a poppa.
- Anche voi, signore, dovete essere stanco e affamato - disse il capitano, rivolgendosi a Yanez.
- Non dico di no, capitano. Sono due lunghe notti che non si dorme affatto e due giorni che appena si assaggia cibo.
- Dove eravate diretti?
- A Sarawak. A proposito, permettetemi, capitano, di presentarvi S.A.R. Orango Kahaian fratello del sultano di Varauni - disse Yanez presentando Sandokan.
Il capitano strinse con entusiasmo la mano della Tigre della Malesia.
- By God! - esclamò. - Un ambasciatore e un principe sul mio vascello? Ciò è un avvenimento. Non occorre che vi dica, signori, che la mia nave è a vostra disposizione.
Mille grazie, capitano - rispose Yanez. - Siete anche voi in rotta per Sarawak?
Precisamente, e faremo il viaggio insieme. Quale fortuna! Vi recate forse dal rajah James Brooke?
- Sì, capitano, devo firmare un trattato importantissimo.
- Lo conoscete il rajah?
- No, capitano.
- Vi presenterò io, signor ambasciatore. Sir Strafford, conducete questi signori nel quadro di poppa e fate servire loro il pranzo.
- E i nostri marinai, dove li alloggerete, capitano? - chiese Yanez.
- Nel frapponte, se non vi spiace.
- Grazie, capitano.
Yanez e Sandokan seguirono l'ufficiale che li condusse in una vasta cabina fornita di lettucci e ammobiliata con molta eleganza.
Le due finestre, riparate da grossi vetri e da cortine di seta, davano sulla poppa della nave e permettevano alla luce e all'aria di entrare liberamente.
- Sir Strafford - disse Yanez, - chi abbiamo vicino alla nostra cabina?
- Il capitano alla vostra destra, e vostra sorella a sinistra.
- Benissimo. Scambieremo qualche parola attraverso le pareti.
L'ufficiale si ritirò, avvertendoli che sarebbe stato subito servito il pranzo.
- Ebbene, fratellino mio, come va? - chiese Yanez quando furono soli. -
Va tutto a gonfie vele - rispose Sandokan: - quei poveri diavoli ci credono davvero due galantuomini.
- Che cosa ne dici del vascello?
- È un legno di prima classe che farà ottima figura a Sarawak.
- Hai contato gli uomini di bordo?
- Sì, sono una quarantina.
- Accidenti! - esclamò il portoghese facendo una brutta smorfia.- Hai paura di quaranta uomini?
- Non dico di no.
- Siamo in buon numero e tutti scelti, Yanez.
- Ma hanno dei buoni cannoni, gli Inglesi.
- Ho incaricato Hirundo di venirmi a dire di quali mezzi dispone il vascello. Il ragazzo è furbo e ci dirà tutto.
- Quando faremo il colpo?
- Questa notte. Domani, a mezzogiorno, saremo alla foce del fiume.
- Zitto, ecco lo steward.
Il garzone portava, aiutato da due mozzi, un lauto pranzo: due sanguinolenti beefsteaks, un colossale pudding, scelte bottiglie di vino francese e di gin. I due pirati, che avevano appetito, si sedettero a tavola, assaltando bravamente il pranzo.
Stavano intaccando il pudding, quando al di fuori si udì un passo silenzioso e un leggero sibilo.
- Entra, Hirundo - disse Sandokan.
Un bel giovanotto, color del bronzo, ben piantato, con lo sguardo vivo entrò chiudendo dietro di sé la porta.
- Siedi e narra, Hirundo - disse Yanez. - Dove sono i nostri?
- Nel frapponte - rispose il giovane dayaco.
- Che cosa fanno?
- Accarezzano le armi.
- Quanti cannoni vi sono nella batteria? - chiese Sandokan.
- Dodici, Tigre.
- Questi inglesi sono ben armati. James Brooke avrà un osso duro da rosicchiare, se gli salterà il ticchio di abbordarci. Con una sola bordata manderemo a picco il suo famoso Realista.
- Lo credo, Tigre.
- Odimi, Hirundo, e cacciati in testa le mie parole.
- Sono tutto orecchi.
- Che nessuno dei nostri si muova, per ora. Quando la luna tramonterà, rovesciate i cannoni della batteria e salite in massa sul ponte gridando: al fuoco! al fuoco! I marinai, gli ufficiali e il capitano saliranno in coperta e noi daremo loro addosso, se non si arrenderanno. Mi hai capito?
- Perfettamente, Tigre della Malesia. Avete altro da dirmi?
- Sì, Hirundo. Quando uscirai di qui, entrerai nella cabina della vergine della pagoda, che è attigua a questa, e dirai a Kammamuri di barricare solidamente la porta e di non uscire finché durerà il combattimento.
- Ho capito, Tigre della Malesia.
- Vattene e obbedisci.
Hirundo uscì ed entrò nella cabina della vergine della pagoda sacra.
- Li ammazzeremo tutti?
- No, Yanez, li costringeremo ad arrendersi. Mi spiacerebbe uccidere questi uomini che ci hanno accolto con tanta gentilezza.
I due pirati terminarono tranquillamente il pasto vuotando parecchie bottiglie, sorseggiarono il thè recato dallo steward e si sdraiarono nei loro lettucci, aspettando pazientemente il segnale per precipitarsi in coperta.
Verso le otto il sole sparve sotto l'orizzonte e le tenebre si stesero a poco a poco, sull'ampia superficie d'acqua che diventava rapidamente oscura.
Sandokan diede uno sguardo fuori dal finestrino.
A babordo, a grande distanza, gli sembrò di vedere una massa nerastra ergersi verso le nubi: a poppa, pure assai lontana, una vela biancastra che radeva l'orizzonte.
- Siamo in vista del monte Matang - mormorò. - Domani saremo a Sarawak.
Tese gli orecchi, avvicinandosi alla porta della cabina.
Udì due persone scendere la scaletta, un bisbiglio, poi due porte aprirsi e chiudersi; una a destra e l'altra a sinistra.
- Bene - tornò a mormorare. - Il capitano e il luogotenente sono entrati nelle loro cabine. Tutto va a meraviglia.
Accese il suo scibouk che aveva avuto il tempo di salvare dal naufragio insieme alle pistole, alla sua scimitarra e al suo kriss d'inestimabile prezzo, e si mise a fumare colla maggiore tranquillità.
Poco dopo udì suonare nella cabina del capitano le nove, poi le dieci, indi le undici. Sussultò come se fosse stato colpito da una pila elettrica.
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