Avevamo saputo che i thugs, non essendo riusciti ad estirpare dal cuore della giovinetta dagli occhi neri l'amore per Tremal-Naik, avevano deciso di bruciarla viva, per calmare l'ira della mostruosa dea, e noi correvamo a salvarla.
- Ma perché era proibito a quella donna di amare? - chiese Yanez.
- Perché era la guardiana della pagoda consacrata alla dea Kalì e, come tale, doveva mantenersi pura.
- Che razza di bricconi!
- Continuo: dopo aver percorso lunghi corridoi, uccidendo le sentinelle, ci trovammo in una immensa sala sostenuta da cento colonne e illuminata da una infinità di lampade che spandevano all'intorno una luce spettrale. Duecento indiani, coi lacci in mano, erano seduti all'intorno. In mezzo si ergeva la statua di Kalì: dinanzi a lei, il bacino dove nuota un pesciolino rosso, che si dice contenga l'anima della dea; e più oltre si levava un gran rogo.
Alla mezzanotte ecco apparire il capo Suyodhana coi suoi sacerdoti che trascinavano l'infelice ragazza, ubriacata di oppio e di misteriosi profumi. Ella non opponeva più alcuna resistenza.
Già non distava che pochi passi dal rogo; già un uomo aveva acceso una fiaccola e i thugs avevano intonato la preghiera dei defunti, quando io e Tremal-Naik ci slanciammo come leoni in mezzo all'orda, scaricando le nostre armi a destra e a sinistra. Sfondare quella muraglia umana, strappare la giovinetta dalle mani dei sacerdoti e fuggire attraverso le oscure gallerie, fu l'affare di un sol momento. Dove fuggivamo? Nessuno di noi lo sapeva, non ci si pensava in quel supremo istante. Non cercavamo che di guadagnare strada sui thugs, i quali, rimessisi dallo spavento, si erano subito lanciati sulle nostre tracce! Corremmo per una buona ora addentrandoci sempre più nelle viscere della terra finché, trovato un pozzo, ci calammo entro una caverna che non aveva uscite. Quando cercammo di risalire era troppo tardi: i thugs ci avevano rinchiusi dentro!
- Maledizione! - esclamò Sandokan. - Di' su, maharatto mio; la tua storia è interessantissima. Dimmi, siete fuggiti?
- No.
- Mille tuoni!
- Ci assediarono strettamente, ci assetarono accendendo attorno alla caverna immensi fuochi che ci arrostivano vivi, poi lasciarono irrompere su di noi un getto d'acqua alla quale era stato mescolato non so quale narcotico. Appena ci fummo dissetati, stramazzammo al suolo come colpiti da sincope e cademmo senza resistenza nelle mani dei nostri nemici.
Eravamo ormai rassegnati a morire, poiché nessuno di noi ignorava che la pietà è sconosciuta ai thugs, nondimeno fummo risparmiati. La morte sarebbe stata troppo dolce per noi e nella mente infernale di Suyodhana, il capo degli strangolatori, si era già formato un terribile disegno, che aveva per scopo di svellere dal cuore della giovinetta l'amore per Tremal-Naik e di sbarazzarsi del mio padrone, che avrebbe potuto diventare per loro un formidabile nemico. Dovete sapere che a quel tempo un uomo prode, risoluto, cui era stata rapita la figlia dai thugs, faceva loro una guerra accanita. Quell'uomo era un inglese e si faceva chiamare capitano Macpherson.
Centinaia e centinaia di thugs erano caduti per sua mano, e giorno e notte egli inseguiva gli altri senza tregua, potentemente aiutato dal governo inglese. Né i lacci degli strangolatori, né i pugnali dei più fanatici settari erano giunti a colpirlo, né le più infernali trame avevano avuto successo contro di lui.
Suyodhana, che lo temeva assai, gli lanciò contro Tremal-Naik promettendogli per compenso la mano della vergine della pagoda d'Oriente, così infatti aveva nome la fanciulla dai capelli neri amata dal mio padrone. La testa del capitano doveva essere il regalo di nozze!
- E Tremal-Naik accettò? - chiese la Tigre, con viva ansietà.
- Egli amava troppo la Vergine e accettò l'orribile patto di sangue impostogli dal padre delle sacre acque del Gange, lo spietato Suyodhana. Non vi narrerò tutto ciò che egli tentò, tutti i pericoli in cui incorse per poter avvicinare quel disgraziato capitano.
Una fortuita combinazione gli procurò il mezzo di diventare uno dei suoi servi, ma un giorno venne scoperto e dovette penare assai per ricuperare la libertà e salvare la vita.
Non rinunziò tuttavia ad effettuare l'impresa impostagli dai thugs ed un giorno riuscì ad imbarcarsi su di una nave che il capitano Macpherson guidava verso le Sunderbunds per assalire nel loro covo i seguaci della sanguinaria dea.
L'istessa notte, scortato da alcuni complici, entrava nella cabina del capitano per decapitarlo. La sua coscienza gli gridava di non commettere un delitto, perché la vita di quell'uomo doveva essere sacra per lui, ed il suo sangue si ribellava; pure era deciso, poiché solamente uccidendo quel formidabile avversario avrebbe potuto avere la fidanzata: o almeno così credeva, non conoscendo ancora l'infernale perversità del fanatico Suyodhana.
- E lo uccise? - chiesero Sandokan e Yanez, con ansietà.
- No - disse Kammamuri. - In quel supremo istante il nome della donna amata sfuggì dalle labbra del mio padrone e fu udito dal capitano che stava per risvegliarsi. Quel nome fu un colpo di fulmine per entrambi: risparmiò un assassinio ed un raccapricciante delitto, poiché quel capitano era il padre della donna amata dal mio padrone.
- Per Giove!... - esclamò Yanez. - Quale storia tremenda ci narri!...
- La verità, signor Yanez.
- Ma il tuo padrone non conosceva il nome della sua fidanzata?...
- Sì, ma il padre ne aveva assunto un altro per non far comprendere ai thugs che egli lottava per riavere la figlia, perché temeva che, conoscendolo, gliela uccidessero.
- Continua - disse Sandokan.
- Ciò che accadde potete immaginarvelo. Il mio padrone confessò tutto: aveva finalmente compreso l'infernale astuzia di Suyodhana. Si offerse al capitano di guidarlo nelle caverne dei settari. Sbarcarono a Raimangal, il mio padrone entrò nel tempio sotterraneo fingendo di portare con sé la testa del capitano e, quando poté rivedere la fanciulla amata, gl'inglesi piombarono sui thugs. Suyodhana, però, uscì vivo dall'assalto improvviso dei nemici, e quando il mio padrone, il capitano, la fidanzata ed i soldati lasciarono i sotterranei per ritornare alla nave, lo udirono gridare con voce minacciosa:
«Ci rivedremo nella jungla!...».
E quell'uomo sinistro manteneva la parola. A Raimangal si erano radunate parecchie centinaia di strangolatori essendo già stati informati della spedizione del capitano Macpherson. Guidati da Suyodhana piombarono, venti volte più numerosi, sugli inglesi. L'equipaggio della nave invano accorse in aiuto del suo capitano. Tutti caddero fra le erbe giganti della jungla, schiacciati dal numero, e il capitano per primo.
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