E il taglialegna, caricatosi il suo fardello, che gli parve ora una piuma, se ne tornò tutto lieto a casa.

"Bisogna, diceva cammin facendo, contenersi con giudizio; bisogna anche, vista la importanza del caso, pigliar consiglio da mia moglie."

Entrato che fu nella capanna, subito contò ogni cosa.

"Orsù, disse, facciamo un bel fuoco, cara la mia Gegia. Siamo ricchi oramai, non dobbiamo che desiderare."

Non è a dire se la moglie formasse in mente mille e mille progetti; ma, considerato che bisognava agir con prudenza:

"Biagio, disse, amico mio, non guastiamo ogni cosa con la nostra impazienza. Vediamo bene quel che si ha da fare, e rimandiamo a domani il nostro primo desiderio. La notte si sa, porta consiglio.

"Ben detto! approvò il marito. Ma intanto va a spillare un po' di vino di dietro a quei fascinotti.

Arrivato il vino, bevve, si sdraiò sulla sedia e gustando tutta la dolcezza del riposo, esclamò:

"Con una bella fiammata come questa, ci vorrebbe proprio un metro di salsiccia."

Non appena dette queste parole, eccoti un lungo capo di salsiccia spuntare da un angolo del cammino e accostarsi serpeggiando alla moglie. Gettò questa un grido; ma pensando subito che la cosa era dovuta alla imprudenza del marito, si scagliò contro il pover'uomo con ogni sorta d'ingiurie.

"Quando si può avere un regno, disse: oro, perle, diamanti, broccati, tu, bietolone, mi tiri fuori la salsiccia!

"Ebbene, ho torto, confessò Biagio; ho scelto male, ho commesso un marrone, farò meglio un'altra volta.

"Sì, sì, aspetta, ribattè la donna, animale che non sei altro!"

Seccato e irritato di questi rimproveri, il marito stette lì lì per desiderare di diventar vedovo; e forse, sia detto fra noi, non potea far di meglio.

"Gli uomini, disse, son davvero nati per soffrire! Maledetta sia la salsiccia e la tua mala grazia! Piacesse al cielo, brutta strega, che ti pendesse alla punta del naso!"

La preghiera fu all'istante esaudita. Detto fatto, il metro di salsiccia s'attaccò al naso di Gegia. La poverina non era brutta, e per dir la verità quell'ornamento non faceva buon effetto, meno questo che scendendole penzoloni sulla bocca gliela chiudeva a tutti i momenti, impedendole di parlare: gran fortuna per un marito!

Potrei benissimo, diceva Biagio fra sè, per ricattarmi di questa disgrazia, col terzo desiderio che mi avanza farmi re addirittura... Ma bisogna anche pensare alla bella figura che mi farebbe la regina, assisa in trono con un metro di salsiccia attaccata al naso. Sentiamo il suo parere: se più le piace di diventare una sovrana con quel po' po' di naso, o invece rimaner contadina con un naso come l'hanno tutti"

Esanimato bene il caso, e benchè sapesse quel che valga uno scettro e che quando si è coronati si ha sempre un naso ben fatto, Gegia decise di conservare la sua cuffiona, piuttosto che esser regina e brutta.

E così il taglialegna non divenne nè potentato nè ricco; e fu ben felice di giovarsi del terzo desiderio che gli avanzava, perchè la moglie tornasse ad essere quel che era.

Tanto è vero che non tocca agli uomini, miseri come sono, ciechi, imprudenti, malevoli, formar dei desideri; e che pochi fra essi son capaci di ben giovarsi dei doni largiti loro dal cielo.

 

Il Gatto stivalato

Ai tre figli che aveva un mugnaio non lasciò altro che un mulino, un somaro e un gatto. La divisione fu presto fatta senza bisogno di notaio o procuratore, che s'avrebbero mangiato essi tutto il misero patrimonio. Il maggiore ebbe il mulino, il secondo l'asino, e l'ultimo il gatto. Non si consolava questi che gli fosse toccata una così magra porzione. "I miei fratelli, diceva, potranno, mettendosi insieme, guadagnarsi onestamente la vita; per me, mangiato che avrò il gatto e fattomi della sua pelle un manicotto, bisognerà che muoia di fame"

Il Gatto, che udì queste parole senza però farne le viste, gli disse in tono serio e posato: "Non vi affliggete, padroncino mio, datemi solo un sacco e fatemi far un par di stivali per andar nelle macchie, e vedrete che la vostra sorte non è poi tanto cattiva quanto credete."

Benchè poco ci contasse, il padrone del Gatto non disperò di cavarne un certo aiuto, tante bravure gli avea visto fare per chiappar sorci e topi, ora sospendendosi per le zampe di dietro ora facendo il morto sulla farina.

Avuto il fatto suo, il Gatto s'infilò gli stivali, si mise in collo il sacco, ne afferrò i cordoni con le zampe davanti e se n'andò in una conigliera dove i conigli abbondavano. Empì il sacco di crusca e di cicerbite, e stendendosi come se fosse morto, aspettò che qualche giovane coniglio, poco esperto delle malizie di questo mondo, s'insinuasse nel sacco per mangiarvi quel che vi avea messo.

Coricatosi appena, il colpo fu fatto; uno storditello di coniglio entrò nel sacco, e mastro Gatto strinse subito i cordoni, lo prese e lo uccise senza misericordia.

Tutto glorioso della preda, se n'andò dal re e domandò udienza. Lo fecero montare agli appartamenti di Sua Maestà, e là, fatto al Re un profondo inchino, disse il Gatto: "Ecco, Maestà, un coniglio di conigliera che il sig. marchese di Carabas (così gli venne in testa di chiamare il suo padroncino) mi ha incaricato di presentarvi. - Dirai al tuo padrone, rispose il Re, che del regalo son molto compiaciuto e lo ringrazio."

Un'altra volta, andò a nascondersi in un campo di frumento, tenendo sempre il sacco aperto, e quando due pernici vi furono entrate, tirò i cordoni e le prese tutt'e due.

Poi se n'andò dal Re, e gliele offrì come avea fatto dei conigli. Il Re accettò volentieri le due pernici e gli fece dare una mancia.

Per due o tre mesi continuò il Gatto a portare al Re di tanto in tanto un po' di caccia da parte del suo padrone. Saputo un giorno che il Re doveva andar a spasso in riva al fiume, insieme con la figlia, che era la più bella principessa di questo mondo, disse al suo padroncino: "Se mi date retta, la vostra fortuna è fatta: non avete che a fare un bagno nel fiume, in un posto che io vi indicherò, e poi lasciate fare a me."

Il marchese di Carabas seguì il consiglio del Gatto, senza indovinare a che potesse servire. Mentre faceva il bagno, si trovò a passare il Re, e il Gatto si diè a gridare con quanta ne aveva in gola: "Aiuto! aiuto! il marchese di Carabas annega!" A quel grido il Re si affacciò allo sportello, riconobbe il Gatto che tante volte gli avea portato della caccia, e ordinò alle sue guardie di accorrere subito in aiuto del marchese di Carabas.

Mentre tiravan fuori dall'acqua il marchese di Carabas, il Gatto si avvicinò alla carrozza e disse al Re che due ladri erano venuti ed avean portato via i vestiti del marchese, per quanto egli si sgolasse a gridare al ladro! Il furbaccio gli avea nascosti sotto una grossa pietra.

Il Re ordinò subito agli ufficiali della guardaroba di andare a prendere il più sfarzoso vestito che vi fosse pel sig. marchese di Carabas. A lui stesso fece il Re mille gentilezze, e poichè i bei vestiti rialzavano la bella figura del giovane, la figlia del Re lo trovò molto di suo gusto e non appena il marchese di Carabas le ebbe rivolto due o tre occhiate rispettose ma un po' tenere, se ne innamorò fino alla follia.

Il Re se lo fece montare in carozza e lo volle compagno della passeggiata. Il Gatto, tutto lieto di veder riuscire il piano architettato, si diè a fare il battistrada e avendo visto dei contadini che falciavano un prato, disse loro: "Buona gente che falciate, se voi non dite al Re che questo campo appartiene al signor marchese di Carabas, sarete trinciati e tritati come la carne per le salsicce."

Non mancò il Re di domandare ai falciatori a chi apparteneva quel prato che falciavano. "Al signor marchese di Carabas, risposero tutti ad una voce, tanto avevano avuto paura della minaccia del Gatto.

"Avete costì una bella eredità, disse il Re al marchese di Carabas. - Voi vedete, Maestà, rispose il marchese, è un prato che tutti gli anni mi dà un reddito abbondante."

Mastro Gatto, che correva sempre avanti, incontrò dei mietitori e disse loro: "Buona gente che mietete, se voi non dite che tutto questo frumento appartiene al signor marchese di Carabas, sarete trinciati e tritati come carne di salsicce" Il Re, che passò subito dopo, volle sapere di chi fosse tutto quel frumento" Del signor marchese di Carabas » risposero i mietitori, e il Re se ne rallegrò di nuovo col marchese. Il Gatto che precedeva sempre, ripeteva la stessa storia con quanti incontrava; e il Re stupiva dei grandi possedimenti del signor marchese di Carabas.

Mastro Gatto arrivò finalmente ad un bel castello, il cui padrone era un Orco, il più ricco che mai fosse; poichè tutte le terre già dal Re attraversate dipendevano da quel castello. Informatosi di quel che fosse cotest'Orco e di quanto sapesse fare, il Gatto domandò di parlargli, dicendo che non avea voluto passare così vicino al suo castello senza aver l'onore di fargli riverenza.

L'Orco lo accolse con tutta quell'affabilità di cui un Orco è capace e lo fece riposare.

"Mi si è dato ad intendere, disse il Gatto, che voi avete il dono di mutarvi in qualunque sorta di animale, che potete, per esempio, diventar leone o elefante. - È vero, rispose burbero l'Orco, e per dimostrarvelo, adesso vedrete come mi trasformo in leone." Il Gatto fu così spaventato di vedersi davanti un leone, che spiccò un salto fin sulle grondaie, non senza fatica e pericolo, a motivo degli stivali che non erano buoni per camminar sui tetti.

Qualche tempo dopo, vistogli mutar forma il Gatto ridiscese e confessò di avere avuto una gran paura. "Mi hanno pure assicurato, disse, ma io non ci credo, che voi potete anche prender la forma dei più piccoli animali, di cambiarvi per esempio in topo o sorcio: vi confesso però che la cosa mi pare impossibile.