Dicono che la principessa, considerata la costanza dell'amante, non che la discrezione e tutti gli altri pregi di mente e di cuore, non vide più la deformità del corpo e la bruttezza del viso; che la gobba le sembrò l'atteggiamento elegante di un uomo che si curvi, e che, mentre l'avea prima visto zoppicare maledettamente, trovò adesso in lui un'andatura un po' inclinata, piena di grazia. Dicono inoltre che gli occhi loschi del principe le parvero brillanti, che nel loro disordine credette di scorgere il segno d'un amore sfrenato, e che finalmente quel suo naso rosso ebbe per lei non so che di marziale e di eroico.

Checchè ne sia, la principessa gli promise subito di sposarlo, purchè il re padre consentisse. Il re, visto che la figlia avea grande stima per Ricchetto dal ciuffo, già da lui conosciuto per principe saggio e intelligentissimo, lo accolse volentieri come genero. Il giorno appresso si fecero gli sponsali, come Ricchetto dal ciuffo avea previsto e secondo gli ordini da lui stesso dati molto tempo innanzi.

Morale

C'è in questa storia più verità che fantasia; tutto è bello nella persona amata; tutto ciò che si ama ha la grazia dello spirito.

Altra morale

Per toccare un cuore, la più eletta bellezza, il più splendido incarnato, ogni più squisito dono della natura, avranno meno potere di una sola grazia invisibile che l'amore vi metta.

 

Pelle d'Asino

C'era una volta un re così grande, così amato dai suoi popoli, così rispettato dai vicini e dagli alleati, che si potea dire il più avventurato dei sovrani. La sua fortuna era anche confermata dalla scelta fatta d'una principessa non meno bella che virtuosa, con la quale viveva nel massimo accordo. Dalla loro unione una figlia era nata, così colma di grazia che non faceva lor lamentare di non avere una più larga figliolanza.

Il lusso, il gusto, l'abbondanza regnavano a palazzo; i ministri erano bravi e giudiziosi; i cortigiani virtuosi e affezionati; fedeli e laboriosi i servi; vaste le scuderie, con cavalli magnifici coperti di ricche gualdrappe; se non che gli stranieri che venivano ad ammirare quelle scuderie stupivano in vedere nel posto più appariscente un asino con tanto d'orecchi. Non già per capriccio aveva il re collocato la bestia a quel modo. Le virtù di quel rarissimo asino meritavano la distinzione, poichè così straordinariamente la natura lo aveva dotato, che il suo strame, non che apparir sudicio, era tutte le mattine largamente coperto di scudi e monete d'oro d'ogni sorta, che si andava a raccogliere al suo primo svegliarsi.

Ora, poichè le vicende della vita non risparmiano mai i re e poichè ai beni si mescola sempre qualche male, volle il cielo che la regina fosse colta da un subitaneo malore, contro il quale la scienza medica nulla potette. La desolazione fu generale. Il re, sensibile e affezionato, tuttochè si dica che il matrimonio è la tomba dell'amore, si affliggeva smisuratamente, portava voti a tutte le chiese del regno, offriva la propria vita in cambio di quella della sposa adorata; ma i numi e le fate furono sordi. Sentitasi prossima a morire, disse la regina al marito piangente: "Permettetemi, prima di morire, che io vi domandi una grazia: se mai vi venisse voglia di riammogliarvi..." A. queste parole, il re mandò un grido da spaccare il cuore, afferrò le mani della moglie, le bagnò di lagrime, giurò che era inutile di parlare di seconde nozze. "No, no, disse, cara regina, parlatemi piuttosto di seguirvi. - Lo Stato, riprese la regina con fermezza, esige un erede e poichè soltanto una figlia io vi ho data, è naturale che vi si faccia pressione perchè abbiate dei figli a voi somiglianti; ma io vi chiedo ardentemente, per tutto l'amore che mi portaste, di non cedere alle insistenze del vostro popolo, se non quando avrete trovato una principessa più bella di me. Voglio che me lo giuriate, e così morrò contenta."

Si sospetta che la regina, la quale non mancava di amor proprio, avesse preteso quel giuramento, nella sicurezza che nessuna donna al mondo potesse rivaleggiar con lei. Finalmente morì. Lo strepito che fece il marito non si può dire: pianti, singhiozzi giorno e notte, furono la sua unica occupazione.

Ma i grandi dolori non durano. E poi anche i grandi dello Stato si riunirono e vennero a pregare il re che si riammogliasse. La proposta provocò un novello scoppio di lagrime. Il re si scusò col giuramento fatto, sfidando tutti i consiglieri a trovare una principessa più bella della buon'anima. Ma il consiglio non fece caso della promessa, e disse che poco importava della bellezza, purchè la regina fosse virtuosa e non sterile; che la sicurezza dello Stato esigeva un erede; che la figlia del re possedeva, in verità, tutte le doti d'una gran regina, ma che bisognava poi darla in moglie ad uno straniero; e che allora o costui se la porterebbe via o, regnando con lei, i figli non sarebbero più considerati dello stesso sangue, e che quindi, non essendovi ora altri principi del suo nome, i popoli vicini potrebbero suscitar delle guerre da portare la rovina del regno. Il re, colpito da queste considerazioni, promise che avrebbe pensato a contentarli.

Cercò infatti, fra le principesse da marito, quella che più gli convenisse. Tutti i giorni gli si portavano bellissimi ritratti; ma non uno che avesse le grazie della defunta regina; epperò il re non si decideva. Per mala sorte, gli venne in testa che la propria figlia non soltanto era un incanto di bellezza, ma sorpassava inoltre la mamma in quanto a spirito e modi graziosi. La giovinezza di lei, la freschezza della carnagione, infiammarono a tal segno il re da spingerlo a rivelare ogni cosa, a dirle schietto di aver risoluto di sposarla, potendo ella sola scioglierlo dal giuramento.

Virtuosa e pudica com'era, poco mancò che la giovane principessa non venisse meno a quella orribile proposta. Si gettò ai piedi dei padre, e con quanto calore avea nell'anima, lo scongiurò di non costringerla a commettere un tal delitto.

Il re, fittosi in capo quel progetto bisbetico, avea consultato un vecchio Druido, per rassicurare la principessa. Il Druido, più ambizioso che pio, sacrificò all'onore di essere il confidente d'un gran re, l'interesse dell'innocenza e della virtù, e così abilmente s'insinuò nell'animo del re, tanto seppe temperare l'orrore del delitto, da persuadergli perfino che sposar la figlia era un'opera meritoria. Lusingato dai discorsi del furfante, il re lo abbracciò e tornò a palazzo più caparbio che mai. Fece dunque ordinare alla figlia di prepararsi all'obbedienza.

Straziata dal dolore, la giovane principessa non seppe altro immaginare che ricorrere alla fata dei Lilà, sua madrina. La stessa notte partì in un biroccino tirato da un grosso montone che sapeva tutte le vie.