Vi andò pochi giorni dopo e disse una sera al suo maestro di casa: "Mastro Simone, domani a pranzo voglio mangiare la piccola Aurora. -Ah! Maestà, esclamò il maestro di casa... - Così voglio" riprese la regina con la voce di un'orca, che ha la voglia di mangiar carne fresca.

Il pover'uomo, vedendo che con un'orca, non c'è da scherzare, prese il suo trinciante, e montò in camera della piccola Aurora. La bambina aveva quattro anni, e ridendo e saltando gli si gettò al collo e gli domandò dei confetti. Egli si mise a piangere e il trinciante gli cadde di mano. Se n'andò allora giù al pollaio e tagliato il collo a un agnellino, lo condì con una salsa così gustosa, che la cattiva regina gli giurò di non aver mai mangiato niente di più squisito. Nel tempo stesso, portata via la piccola Aurora, il maestro di casa la consegnò a sua moglie perchè la nascondesse nella casetta da loro occupata in fondo al cortile.

Otto giorni dopo la cattiva regina disse al maestro di casa: "Mastro Simone, stasera a cena voglio mangiare il piccolo Giorno". Quegli non fiatò, deciso di ingannarla come l'altra volta. Se ne andò dal piccino, e lo trovò con in mano un piccolo fioretto tirando di scherma con uno scimmione. Eppure non aveva che tre anni. Lo portò alla moglie che lo nascose con la piccola Aurora, e diè in cambio alla cattiva regina un capretto tenerissimo, ch'ella trovò prelibato. Le cose fin qui erano andate lisce; ma una sera, la cattiva regina gridò con voce tremenda: "Mastro Simone! mastro Simone!". Egli accorse e si sentì dire: "Domani voglio mangiare mia nuora!" Allora sì che mastro Simone disperò d'ingannarla. La reginotta aveva vent'anni passati, senza contare i cent'anni che avea dormito. Avea la pelle un po' dura, benchè bella e bianca; e come fare per trovar nella corte una bestia di quell'età! Deliberò dunque, per aver salva la vita, di tagliar la gola alla reginotta, e montò in camera di lei con l'intenzione di non pensarci su due volte. Entrò, cercando di eccitarsi al furore, col pugnale in mano. Non volle però pigliarla alla sprovvista, e con gran rispetto le comunicò l'ordine ricevuto dalla regina madre. "Fate, fate pure, le diss'ella, porgendo il collo; eseguite l'ordine che vi si è dato. Andrò a rivedere i miei bimbi, i poveri miei bimbi, che tanto ho amato!" Li credeva morti, dopo che glieli avevan tolti senza dirle niente.

"No, signora, no, rispose il povero mastro Simone, tutto intenerito, voi non morrete. Andrete a rivedere i vostri cari bimbi, ma in casa mia, dove gli ho nascosti, ed io ingannerò ancora una volta la regina, dandole a mangiare una cervetta in cambio di voi".

Subito la condusse in casa di sua moglie, dove la lasciò ad abbracciare i suoi bimbi e a piangere con essi, e se n'andò a cucinar la cervetta che l'orca mangiò a cena col medesimo gusto che se fosse stata la reginotta. Era contentissima della sua crudeltà, e si preparava a dire al re, quando fosse tornato, che i lupi arrabbiati avean divorato la regina consorte e i due piccini.

Una sera che gironzava, come al solito, pei cortili del castello per fiutare qua o là della carne fresca, udì di dentro a una camera a terreno il piccolo Giorno che piangeva perchè la mamma lo volea far frustare per una cattiveria da lui commessa, e udì pure la piccola Aurora che implorava perdono pel fratello. L'orca riconobbe la voce della reginotta e dei bimbi, andò su tutte le furie per l'inganno patito, e ordinò la mattina appresso con quella voce spaventosa che tutti facea tremare, che si portasse nel bel mezzo del cortile una grande tinozza. Fece poi empir questa di rospi, vipere, bisce e serpenti, perchè la reginotta e i bimbi vi fossero gettati, non che mastro Simone, sua moglie e la serva. Avea dato ordine di menarli tutti con le mani legate dietro la schiena.

Erano già sul posto, e i carnefici si preparavano a gettarli nella tinozza, quando la reginotta domandò in grazia che almeno le facessero sfogare il suo cordoglio; e l'orca, per malvagia che fosse, consentì. "Ahimè! ahimè! proruppe la povera principessa; debbo dunque morire così giovane? È vero che da molto sono al mondo; ma ho dormito cent'anni, e non è giusto che questi contino. Che dirai tu, che farai, povero principe, quando tornando qua non ti vedrai venire incontro per abbracciarti nè il piccolo Giorno così grazioso nè la piccola Aurora cosi carina, quando io stessa non vi sarò più? Se io pìango, per te piango; tu ci vendicherai forse, ahimè! su te stesso. Sì, miserabili, che obbedite ad un'orca, il re vi farà tutti morire a fuoco lento."

L'orca, udite queste parole che erano assai più di uno sfogo di cordoglio, urlò invasa dalla rabbia: "Obbedite, carnefici, e si getti all'istante nella tinozza questa ciarliera." Subito si accostarono i carnefici alla reginotta e l'afferrarono per la sottana; ma in quel punto stesso, il re, che non era così presto aspettato, entrò a cavallo nella corte. Avea viaggiato co' rilievi di posta, e domandò stupito che cosa significava quell'orrendo spettacolo. Nessuno avea coraggio di dirglielo, quando l'orca, arrabbiata di vedere quel che vedeva, si gettò da sè a capofitto nella tinozza, e fu in un attimo divorata dalle sozze bestie che vi aveva fatto mettere. Il re ne fu dispiacente; ma subito se ne consolò con la bella moglie e i figliuoletti.

Morale

È cosa assai naturale aspettare un po' di tempo per avere uno sposo ricco, valoroso, amabile e buono; ma aspettarlo cent'anni, dormendo sempre, non c'è donna oggi che se la senta.

La favola accenna anche a questo che spesso i dolci vincoli dell'imene non son meno dolci perchè differiti, e che ad aspettare non ci si rimette nulla.

Ma le donne aspirano con tanto ardore alle nozze, ch'io non ho forza nè coraggio di predicar loro questa morale.

 

Barbablù

C'era una volta un uomo, che avea belle case e belle ville, vasellame d'oro e d'argento, mobili ricamati, carrozze tutte dorate; ma per disgrazia quest'uomo avea la barba blù; e ciò lo rendeva così brutto e terribile, che non c'era donna o ragazza che non scappasse in vederlo.

Una sua vicina, una gran signora, avea due figlie bellissime.