Intorno a me la folla camminava lungo i marciapiedi, attiva e rumorosa, e io invidiavo quella gente e le sue occupazioni.

Quei galoppini, quegli impiegati, quei giovani eleganti, quei poliziotti avevano almeno uno scopo che li faceva muovere. Diedi mezza corona a un mendicante che sbadigliava, considerandolo un fratello di dolore. In Oxford Circus chiamai il cielo primaverile a testimone e feci un voto.

Accordai un giorno ancora alla mia vecchia patria per procurarmi qualche cosa che facesse per me; se nulla mi fosse accaduto, ero deciso a imbarcarmi sulla prima nave diretta al Capo.

Il mio appartamento formava il primo piano d’un nuovo palazzo posto dietro Langham Place. C’era una scala comune, con un portinaio e un ragazzo per l’ascensore all’entrata; ma non c’era né ristorante né alcunché di simile, e ogni appartamento poteva essere considerato assolutamente indipendente dagli altri.

Siccome io non posso sopportare i domestici che abitano in casa, avevo preso al mio servizio un giovanotto che giungeva la mattina prima delle otto e, solitamente, se ne andava alle sette di sera, perché io non cenavo mai a domicilio.

Avevo appena introdotto la chiave nella toppa, quando un uomo apparve al mio fianco. Non lo avevo visto avvicinarsi, così che la sua improvvisa apparizione mi fece trasalire. Era uno sparuto individuo, con una barba bruna e due piccoli occhi azzurri e penetranti. Riconobbi in lui l’individuo dell’ultimo piano, col quale avevo già scambiato qualche parola sulle scale.

— Posso parlarvi? — chiese. — Mi permettete d’entrare un minuto?

Faceva uno sforzo per parlare piano, e la sua mano picchiettava a colpetti rapidi il mio braccio.

Aprii la porta e lo feci entrare. Aveva appena varcato la soglia che prese lo slancio verso la camera di fondo, dove, abitualmente, m’intrattenevo a fumare e a scrivere la mia corrispondenza. Poi ritornò sui suoi passi rapido come una freccia.

— La porta è ben chiusa? — domandò febbrilmente. E mise la catena con le sue proprie mani.

John Buchan

3

1993 - I Trentanove Scalini

— Sono veramente umiliato… — aggiunse poi con tono modesto. — Ho l’impressione di prendermi un’eccessiva libertà; ma mi sembra che possiate capire… Non ho cessato un momento di osservarvi da otto giorni, vale a dire da quando le cose si sono guastate. Dite, volete essermi utile?

— Sono disposto ad ascoltarvi — feci io. — Ecco tutto ciò che posso promettervi.

Quel brav’uomo nervoso, con le sue smorfie, mi irritava parecchio.

Egli scorse sulla tavola vicina a lui un vassoio sul quale erano alcune bottiglie di liquore, e si versò un whisky e soda forte. Lo inghiottì in tre sorsi, e spezzò il bicchiere deponendolo sulla tavola.

— Scusatemi — disse. — Sono un po’ agitato, questa sera. Mi sta succedendo questo, vedete: che mentre vi sto parlando, in questo stesso momento, sono morto.

Mi sprofondai in una poltrona e accesi la pipa.