— E che effetto vi fa? — chiesi.

Cominciavo a convincermi d’aver a che fare con un pazzo. Un sorriso passeggero illuminò il suo viso contratto.

— No, non sono pazzo… per lo meno, non lo sono ancora. Sentite un po’, signore mio: io vi ho osservato e credo che siate un uomo fornito d’un discreto sangue freddo. Credo anche che siate un uomo onesto e che la prospettiva di giocare una partita pericolosa non sia tale da preoccuparvi.

Mi confiderò con voi: ho bisogno di essere protetto più di qualunque altra persona al mondo, e voglio sapere se posso contare sul vostro aiuto.

— Suvvia, raccontatemi la vostra storia — risposi. — Dopo, vi saprò dire qualche cosa.

Parve che si raccogliesse per compiere un grande sforzo, dopo di che incominciò un racconto sorprendente. Da principio non ci capii niente e dovetti interromperlo più volte per fargli qualche domanda. Ma ecco sommariamente i fatti.

Era nato in America, nel Kentucky. Terminati gli studi e disponendo d’una discreta fortuna, s’era messo in viaggio per il mondo. Aveva scritto qualche libro, era stato corrispondente di guerra d’un giornale di Chicago e aveva trascorso un anno o due nell’Europa sud-orientale.

M’accorsi che era un discreto poliglotta e che doveva aver frequentato molto l’alta società di quei paesi. Infatti citava familiarmente molti nomi che ricordavo di aver letto nei giornali. In seguito s’era mischiato alla politica, prima di tutto perché essa lo interessava e, in secondo luogo, per John Buchan

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1993 - I Trentanove Scalini

un’invincibile attrazione. Mentre parlava io indovinavo in lui un uomo vivace, di spirito inquieto e desideroso d’andare sempre fino in fondo alle cose. Era difatti andato un po’ più in là di quanto avesse desiderato.

Riporto qui quello ch’egli mi raccontò, presso a poco, per quel tanto che mi riuscì di capirne. Secondo lui, oltre e dietro i governi e gli eserciti esisteva un potente movimento occulto, organizzato in un ambiente temibilissimo. Quel tanto che incidentalmente egli ne aveva scoperto lo aveva appassionato; si era spinto più innanzi e aveva finito col lasciarsi afferrare.

La sua opinione era che l’associazione contasse nelle sue file molti di quegli anarchici istruiti che hanno la mania delle rivoluzioni; che a fianco di questi c’erano poi certi finanzieri, i quali non miravano che al denaro; e che un uomo abile può realizzare guadagni notevoli su un mercato in ribasso. Perciò, egli diceva, le due categorie se la intendevano per mettere la discordia in Europa.

Lo sconosciuto mi rivelò parecchi fatti strani che davano assai bene la spiegazione di una quantità di cose che mi avevano lasciato perplesso, fatti che s’erano prodotti durante la guerra balcanica, e cioè come uno Stato avesse preso improvvisamente una posizione di preminenza rispetto agli altri, perché alleanze si fossero annodate e spezzate, per quale ragione taluni uomini fossero scomparsi e come e da chi si preparasse la guerra. Lo scopo finale di tutta la macchinazione era di mettere alle corde la Russia e la Germania.

Gliene chiesi la ragione. Mi rispose che gli anarchici erano convinti di trionfare grazie alla guerra; essi speravano di approfittare del caos. Quanto ai capitalisti, essi avrebbero accumulato danaro acquistando i rottami.