Ora, si conta su Carolidè come principale invitato, e, se i miei amici potranno mettere in atto il loro piano, egli non rivedrà mai più i suoi entusiasti compatrioti.
— Ma mi pare semplice — dissi. — Avvertitelo di rimanere a casa sua.
— Così facendo asseconderei il loro gioco — rispose vivamente —
infatti, se lui non viene, essi possono dirsi vittoriosi, poiché lui è la sola persona capace di sbrogliare la loro matassa d’intrighi. E nel caso si avvertisse il suo Governo, che ignora l’importanza della riunione del 15
giugno, è quasi certo che la partenza di Carolidè sarebbe impedita.
— E perché non avvertite, invece, il Governo britannico? — chiesi. —
Non credo che i nostri governatori abbiano l’abitudine di permettere che i loro ospiti vengano soppressi. Avvisateli, e saranno prese le necessarie precauzioni.
— Pessima soluzione. Io sono giunto a conoscere sino all’ultimo particolare di questa infernale macchinazione, e posso dirvi che non s’è mai vista più raffinata perfidia. Ma nulla avverrà se un certo individuo, che conosce tutto l’ingranaggio della faccenda, si troverà ancor vivo a Londra alla data del 15 giugno. E questo individuo non è altri che colui che ha l’onore di parlarvi: Franklin P. Scudder.
Devo ammettere che questo curioso ometto cominciava a piacermi.
Le sue mascelle fecero un rumore secco, simile a quello d’una trappola che si chiude, l’ardore della lotta brillava nei suoi occhi acuti. Se tutto ciò che mi aveva narrato era la fantasticheria d’una mente malata, bisogna riconoscere che era un ottimo attore.
— Chi vi ha raccontato tutto ciò? — gli chiesi.
— Ebbi i primi sospetti in un albergo dell’Achensee, in Tirolo. La cosa richiamò la mia attenzione, e raccolsi nuovi documenti in un magazzino di pelliccerie del quartiere galiziano a Buda, poi al circolo degli stranieri di Vienna e in una piccola libreria vicina alla Racknitzstrasse a Lipsia. Infine, completai le mie prove dieci giorni fa a Parigi. Non posso esporvele nei loro particolari adesso, perché sarebbe un affare lungo. Quando fui pienamente convinto, giudicai che fosse mio dovere sparire e mi recai in questa città facendo un giro inverosimile. Lasciai Parigi, giovane franco-americano alla moda, e mi imbarcai come commerciante di diamanti ebreo ad Amburgo. In Norvegia ero un inglese innamorato di Ibsen occupato a raccogliere materiali per le mie conferenze, ma alla mia partenza da John Buchan
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1993 - I Trentanove Scalini
Bergen ero un viaggiatore appassionato di film alpinistici. Arrivai qui da Leith recando nelle mie tasche una notevole quantità d’offerte di pasta per carta destinata ai giornali di Londra. Sino a ieri ero convinto d’avere sufficientemente imbrogliato le mie tracce e ne ero felicissimo. Ma…
Sembrò che questo ricordo lo turbasse; trangugiò un altro bicchierino colmo di whisky.
— Ma ho visto un uomo appostato nella via di fronte a questa casa. Di solito io rimanevo chiuso nel mio appartamento tutta la giornata e non uscivo che un’ora o due dopo ch’era discesa la notte. Sorvegliai l’uomo in questione per parecchio tempo dalla mia finestra e credetti di riconoscerlo… Egli entrò e parlò al portinaio… Ieri sera, ritornando dalla passeggiata trovai un biglietto da visita nella mia cassetta da lettere.
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