È rimasta attaccata alla mia catena, sul tavolo da toeletta. Dovevo lasciarla, dato che bisognava evitare ogni indizio atto a destare i sospetti. Le persone che hanno a che fare con me sono singolarmente astute. Per questa notte dovete credermi sulla parola; domani avrete tante prove quante ne vorrete, almeno per quanto riguarda il cadavere.
Riflettei per qualche istante.
— Sia. Vi crederò sulla parola, per questa notte. Vi chiuderò in questa camera e porterò con me la chiave… Un’ultima parola, signor Scudder. Io credo nella vostra lealtà, ma, per il caso mi sbagliassi sul vostro conto, debbo prevenirvi che so maneggiare assai bene la rivoltella.
— Vi credo — rispose alzandosi con una certa vivacità. — Io non ho il piacere di conoscere il vostro nome, ma permettete che io vi dica che siete un uomo in gamba. Vi sarò grato se vorrete prestarmi un rasoio.
Lo precedetti nella mia camera da letto che misi a sua disposizione. In John Buchan
9
1993 - I Trentanove Scalini
capo a mezz’ora ne uscì un personaggio che durai fatica a riconoscere.
Solo i suoi occhi penetranti e ardenti erano gli stessi. S’era rasato la barba e i baffi, aveva diviso i capelli con una scriminatura in mezzo alla testa e s’era tagliato le sopracciglia. Inoltre stava eretto come un soldato in parata, e rappresentava, compreso il colorito oscuro, il vero tipo dell’ufficiale britannico che ha soggiornato a lungo alle Indie. Levò di tasca un monocolo che incastrò nell’orbita. Ogni traccia di americanismo era scomparsa dal suo linguaggio.
— Parola d’onore, signor Scudder… — balbettai.
— Non più il signor Scudder — rettificò — ma il capitano Theophile Digby del 40 Guarkhas, attualmente in congedo. Vi sarò grato, signore, se ve ne ricorderete.
Gli improvvisai un letto nel mio salottino da fumo e mi coricai anch’io; provavo una felicità quale da circa un mese non avevo provato. “Perbacco”
mi dicevo “succede dunque qualche cosa anche in questa maledetta metropoli!”
Il mattino seguente fui svegliato dal baccano indiavolato che faceva Paddock, il mio cameriere, accanendosi contro la porta del salottino da fumo. Paddock era un ragazzo che avevo salvato, nel Selawki, e portato con me in Inghilterra in qualità di cameriere. Si esprimeva con l’eleganza di un ippopotamo e non aveva che un’idea molto vaga dei suoi doveri di cameriere. Ma, per lo meno, potevo contare sulla sua fedeltà.
— Basta con questo baccano, Paddock — gli dissi. — C’è un amico mio, il capitano… il capitano… — mi fu impossibile ritrovarne il nome — che dorme lì dentro. Prepara la colazione per due e poi parleremo.
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