La legislazione sul libero commercio dopo Sir Robert PeeI ha strappato all'economia volgare anche quest'ultimo pungiglione.
La rivoluzione continentale del 1848 ebbe il suo contraccolpo anche in Inghilterra. Uomini che ancora rivendicavano valore scientifico e volevano essere qualcosa di più di meri sofisti o sicofanti delle classi dominanti, cercarono di mettere l'economia politica del capitale d'accordo con le rivendicazioni del proletariato, che ormai non potevano esser ignorate più a lungo. Di qui un sincretismo esanime, come è rappresentato, meglio cheda altri, da John Stuart Mill. E’ quella dichiarazione di fallimento dell'economia «borghese» che ha già messo magistralmente in luce il grande dotto e critico russo N. Cernyscevski nella sua opera Lineamenti dell'economia politica secondo il Mill.
In Germania, dunque, il modo di produzione capitalistico venne a maturazione dopo che il suo carattere antagonistico si era fragorosamente rivelato in Francia e in Inghilterra attraverso lotte storiche, quando il proletariato tedesco possedeva già una coscienza teorica di classe molto più decisa di quella della borghesia tedesca. Dunque, appena quivi sembrò divenir possibile una scienza borghese dell'economia politica, essa era già ridivenuta impossibile.
In queste circostanze i suoi corifei si divisero in due schiere. Gli uni, gente saggia, amante del guadagno, pratica, si schierarono sotto la bandiera del Bastiat, il più superficiale e quindi il meglio riuscito rappresentante dell'apologetica economica volgare; gli altri, fieri della dignità professorale della loro scienza, seguirono J. Stuart Mill nel tentativo di conciliare l'inconciliabile. I tedeschi rimasero anche nell'età della decadenza dell'economia borghese puri e semplici scolari, ripetitori pedissequi e copiatori, piccoli rivenditori ambulanti dei grandi grossisti stranieri, come erano stati nell'età classica dell'economia politica borghese.
Lo sviluppo storico peculiare della società tedesca escludeva quindi in Germania ogni continuazione originale dell'economia « borghese », ma non escludeva la critica. Se e in quanto tale critica rappresenta una classe, può rappresentare solo la classe la cui funzione storica è il rovesciamento del modo capitalistico di produzione, e, a conclusione, l'abolizione delle classi: cioè il proletariato.
I dotti e gli indotti corifei della borghesia tedesca hanno cercato dapprima di uccidere il Capitale col silenzio, com'erano riusciti a fare coi miei scritti precedenti. Appena questa tattica cessò di corrispondere alle condizioni del momento, essi si misero a scrivere, col pretesto di criticare il mio libro, istruzioni « Per la quiete della coscienza borghese », ma trovarono nella stampa operaia campioni più forti di loro, ai quali fino ad ora non sono riusciti a rispondere: vedansi, per esempio, i saggi di Joseph Dietzgen nel Volksstaat3.
(Un'ottima traduzione russa del Capitale è apparsa nella primavera del 1872 a Pietroburgo. L'edizione di tremila esemplari è quasi esaurita, già adesso. Il signor N. Sieber (Ziber), professore di economia politica all'università di Kiev, aveva dímostrato nel suo scritto Teoria tsiennosti i kapitala D. Ricardo (Teoria del valore e del capitale di D. Ricardo) che la mia teoria del valore, del denaro e del capitale era nei suoi tratti fondamentali il necessario svolgimento ulteriore della dottrina dello Smith e del Ricardo. Quel che sorprende il lettore dell'Europa occidentale in questo solido libro è che il Sieber tiene fermo coerentemente al punto di vista puramente teorico.
Il metodo applicato nel Capitale è stato poco compreso, come mostrano già le interpretazioni contraddittorie che se ne sono date.
Così la Revue Positiviste di Parigi mi rimprovera, da una parte, di aver trattato metafisicamente l'economia, dall'altra parte - indovinate un po'! - di essermi limitato a una scomposizione puramente critica del dato, invece di prescrivere ricette (comtiane?) per l'osteria dell'avvenire. Contro il rimprovero della metafisica il prof. Sieber osserva: « Per quanto riguarda la teoria in senso proprio, il metodo di Marx è il metodo deduttivo di tutta la scuola inglese, le cui manchevolezze ed i cui pregi sono comuni ai migliori economisti teorici ». Il signor M. Block - Les Théoriciens du Socialisme en Allemagne, Extrait du Journal des Economistes, juillet et aoút 1872 - scopre che il mio metodo è analitico, e dice fra l'altro: « Con quest'opera il signor Marx si pone nella schiera degli intelletti analitici più eminenti ». I recensori tedeschi, naturalmente, gridano alla sofistica hegeliana. Il Viestnik Evropy di Pietroburgo (Messaggero europeo) che tratta esclusivamente il metodo del Capitale (numero del maggio 1872, pp. 427-36) trova che il mio metodo d'indagine è rigorosamente realistico, ma che il mio metodo espositivo è sciaguratamente germano-dialettico. Esso dice: « A prima vista, a giudicare dalla forma esteriore della esposizione, Marx si presenta come il più grande dei filosofi idealisti, e nel senso tedesco, cioè nel senso cattivo della parola. Ma in realtà egli è infinitamente più realista di tutti i suoi predecessori nel campo della critica economica... Non lo si può assolutamente chiamare idealista». Non so rispondere all'egregio autore meglio che con alcuni estratti della sua stessa critica, che inoltre potranno interessare molti miei lettori ai quali è inaccessibile l'originale russo.
Dopo una citazione dalla mia prefazione alla Critica dell'economia politica, Berlino, 1859, pp. IV-VII, dove ho esposto la base materialistica del mio metodo, l'egregio autore continua:
«Per Marx una cosa sola importa: trovare la legge dei fenomeni che sta indagando. E per lui non è importante soltanto la legge che li governa in quanto hanno forma finita e fanno parte di un nesso osservabile in un periodo di tempo dato.
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