Questa porzione, o, ciò ch’è lo stesso, il prezzo di questa porzione, costituisce la rendita fondiaria».

Rispetto allo stesso passo, Marx osserva nel già menzionato manoscritto Per la critica ecc., p. 253: «A. Smith intende dunque qui il plusvalore, cioè il pluslavoro, l’eccedenza del lavoro compiuto, ed oggettivato nella merce, sul lavoro pagato, dunque sul lavoro che ha ricevuto il suo equivalente in salario, come la categoria generale di cui il vero e proprio profitto e la rendita fondiaria sono sol tanto ramificazioni».

Inoltre A. Smith dice, Libro I, cap. VIII: «Quando il suolo è diventato proprietà privata, il proprietario fondiario esige una porzione di quasi tutti i prodotti che il lavoratore può produrre o raccogliere su di esso. La sua rendita fondiaria compie la prima sottrazione dal prodotto del lavoro impiegato sul terreno. Ma il coltivatore del suolo ha raramente i mezzi per mantenersi fino al momento in cui ripone il raccolto. Il suo mantenimento d’ordinario gli viene anticipato dal capitale (stock) di un imprenditore, del fittavolo, il quale non avrebbe alcun interesse ad impiegarlo se egli non dividesse con lui il prodotto del suo lavoro, ovvero se il suo capitale non gli venisse restituito, unitamente ad un profitto. Questo profitto costituisce una seconda sottrazione dal lavoro impiegato sul terreno. Il prodotto di quasi ogni lavoro è sottoposto alla stessa sottrazione a favore del profitto. In tutte le industrie, la maggior parte dei lavoratori ha bisogno di un imprenditore che anticipi loro materie prime, salario e mantenimento fino al compimento del lavoro. Questo imprenditore divide con essi il prodotto del loro lavoro, ossia il valore che questo lavoro aggiunge alle materie prime lavorate, e in questa porzione consiste il suo profitto».

Marx dice a questo proposito (Manoscritto, p. 256): «Qui dunque A. Smith con parole secche designa rendita fondiaria e profitto del capitalista come pure e semplici sottrazioni dal prodotto del lavoratore, o dal valore del suo prodotto, pari al lavoro da esso aggiunto alla materia prima. Ma questa sottrazione può, come lo stesso A. Smith aveva spiegato precedentemente, constare solo della parte del lavoro che il lavoratore aggiunge alle materie prime, oltre alla quantità di lavoro che paga soltanto il suo salario o fornisce solo un equivalente per il suo salario, dunque può constare del pluslavoro, della parte non pagata del suo lavoro».

«Donde scaturisca il plusvalore del capitalista» e, per giunta, quello del proprietario fondiario, dunque, già A. Smith sapeva bene; Marx lo riconosce francamente già nel 1861, mentre Rodbertus e lo sciame dei suoi ammiratori spuntati come funghi sotto la calda pioggia del socialismo di Stato, sembrano averlo totalmente dimenticato.

«Tuttavia», prosegue Marx, «Smith non ha distinto il plusvalore in quanto tale, come categoria propria, dalle forme particolari che esso assume nel profitto e nella rendita fondiaria. Donde in lui, come ,ancor più in Ricardo, molti errori e deficienze nella ricerca». Questa frase si può applicare perfettamente per Rodbertus. La sua «rendita» è semplicemente la somma di rendita fondiaria + profitto; intorno alla rendita fondiaria egli costruisce una teoria totalmente falsa, il profitto egli lo prende, senza esame, cosi come lo trova presso i suoi predecessori. Al contrario, il plusvalore di Marx è la forma generale della somma di valore appropriata senza equivalente dai possessori dei mezzi di produzione, la quale, secondo leggi del tutto peculiari, scoperte da Marx per primo, si scinde nelle forme particolari, trasmutate, di profitto e rendita fondiaria. Queste leggi verranno sviluppate nel III Libro, dove soltanto risulterà quanti termini medi siano necessari per giungere, dalla comprensione del plusvalore in generale, alla comprensione della sua trasformazione in profitto e rendita fondiaria, dunque alla comprensione delle leggi della ripartizione del plusvalore all’interno della classe dei capitalisti.

Ricardo va già notevolmente al di là di Smith. Egli fonda la sua concezione del plusvalore su una nuova teoria del valore, che era bensì già presente in germe in Smith, ma nella trattazione, di fatto, quasi sempre dimenticata, teoria che è divenuta il punto di partenza di tutta la scienza economica posteriore. Dalla determinazione del valore della merce mediante la quantità di lavoro realizzata nelle merci, egli deriva la ripartizione tra operai e capitalisti della quantità di valore aggiunta alle materie prime mediante il lavoro, la sua scissione in salario e profitto (cioè, qui, plusvalore). Egli dimostra che il valore delle merci rimane lo stesso per quanto possa mutare il rapporto di queste due parti, una legge alla quale egli concede soltanto singole eccezioni. Egli pone addirittura alcune leggi fondamentali sul reciproco rapporto fra salario e plusvalore (inteso nella forma del profitto), anche se in una redazione troppo generale (Marx, Capitale, I, cap. XV, 1) e indica la rendita fondiaria come una eccedenza oltre il profitto, che si verifica in determinate circostanze. In nessuno di questi punti Rodbertus è andato oltre Ricardo. Le interne contraddizioni della teoria di Ricardo, di fronte alle quali la sua scuola naufragò, o gli rimasero totalmente sconosciute, ovvero lo indussero soltanto (Per la conoscenza ecc., p. 150) a rivendicazioni utopistiche anziché a soluzioni economiche.

Ma la dottrina ricardiana del valore e del plusvalore non aveva bisogno di attendere il Per la conoscenza ecc. di Rodbertus, per essere utilizzata in senso socialista.