« Lo scambio delle merci ai loro valori, o approssimativamente ai loro valori, richiede dunque un grado di sviluppo assai inferiore che non lo scambio ai prezzi di produzione, per il quale è necessario un determinato livello di sviluppo capitalistico... Anche astraendo dall’azione decisiva della legge del valore sui prezzi e sul movimento dei prezzi, è dunque conforme alla realtà considerare i valori delle merci non solo da un punto di vista teorico, ma anche storico, come il prius dei prezzi di produzione. Quanto si afferma trova riscontro in situazioni nelle quali il lavoratore è proprietario dei mezzi di produzione, e precisamente nel mondo antico come in quello moderno, presso il contadino che possiede la terra che lui stesso lavora, o presso l’artigiano. E si accorda anche con l’opinione da noi precedentemente espressa, che i prodotti si trasformano in merci quando lo scambio non è limitato ai membri di una stessa comunità, ma avviene fra comunità diverse. E ciò che trova applicazione in questi stadi primitivi, trova ugualmente applicazione in stadi posteriori, i quali sono fondati sulla schiavitù e sulla servitù della gleba, come pure nell’organizzazione corporativa degli artigiani, fintanto che i mezzi di produzione investiti in ogni ramo produttivo solo con difficoltà sono trasferibili da una sfera all’altra e perciò le diverse sfere di produzione si trovano, entro certi limiti, l’una rispetto all’altra, nella stessa situazione di paesi stranieri o di collettività comuniste » (Marx, Il Capitale, Libro III p. 202 sgg.).
Qualora Marx avesse potuto elaborare ulteriormente il terzo Libro, egli avrebbe, senza dubbio, dato a questo passo uno sviluppo molto più ampio. Così come è redatto, rappresenta solo un abbozzo di ciò che vi è da dire sulla questione. Approfondiamo dunque la nostra indagine.
Noi tutti sappiamo che agli inizi della società i prodotti erano consumati dai produttori stessi e che questi produttori erano organizzati primitivamente in comunità aventi una struttura più o meno comunista: che lo scambio dell’eccedenza di questi prodotti con gli stranieri, dal quale trae origine la trasformazione dei prodotti in merci, è di data posteriore, avviene dapprima solo fra alcune comunità di stirpe diversa, e si afferma più tardi nell’interno della comunità contribuendo fortemente alla sua dissoluzione in gruppi di famiglie più o meno grandi. Ma anche dopo questa dissoluzione, i capifamiglia che praticano lo scambio fra di loro, restano dei contadini che lavorano, che producono nel proprio podere con l’aiuto della loro famiglia quasi tutto ciò di cui hanno bisogno e che acquistano all’esterno, barattando l’eccedenza dei loro prodotti, solo una piccola parte degli oggetti necessari. La famiglia non si dedica solamente all’agricoltura e all’allevamento del bestiame, essa trasforma i prodotti così ottenuti in articoli di consumo finiti, macina essa stessa ancora in qualche località, con l’aiuto del mulino a mano, cuoce il pane, fila, tinge, tesse lino e lana, concia la pelle, erige e ripara delle costruzioni in legno, fabbrica strumenti di lavoro e utensili, pratica non di rado il mestiere del falegname e del fabbro, di modo che la famiglia o il gruppo familiare è autosufficiente per le cose principali.
Il poco che una tale famiglia doveva barattare o acquistare dagli altri, consisteva in Germania, fino alla metà del XIX sec., soprattutto di oggetti prodotti dagli artigiani, vale a dire oggetti la cui fabbricazione era ben familiare al contadino, e che egli non produceva direttamente, perchè la materia prima non gli era accessibile, o perchè l’articolo acquistato era molto migliore o molto più a buon mercato. Il contadino del Medioevo conosceva dunque abbastanza esattamente il tempo di lavoro richiesto per la fabbricazione degli oggetti che egli acquistava con lo scambio. Il fabbro, il carpentiere del villaggio lavoravano sotto i suoi occhi: del pari il sarto ed il calzolaio che ancora ai tempi della mia giovinezza andavano presso i nostri contadini renani, di casa in casa, trasformavano in vestiti ed in scarpe le materie prime prodotte dai loro stessi clienti. Sia il contadino che coloro da cui egli acquistava erano essi stessi lavoratori [produttori diretti] (le parole fra parentesi sono cancellate nel manoscritto di Engels), gli articoli che essi scambiavano erano i prodotti propri di ciascuno. Che cosa essi avevano speso nella fabbricazione dei prodotti? Lavoro e solamente lavoro: per sostituire gli strumenti d lavoro, produrre la materia prima, per lavorarla, essi non hanno dato che la propria forza-lavoro: come possono essi dunque scambiare questi loro prodotti con quelli di altri produttori lavoratori se non in ragione del lavoro in essi speso? Il tempo di lavoro speso in questi prodotti non era solamente l’unica misura adatta per la determinazione quantitativa delle grandezze da scambiare: era assolutamente l’unica possibile. O forse si pensa che il contadino e l’artigiano siano stati così stupidi da scambiare il prodotto di un tempo di lavoro uguale a dieci ore contro quello di una sola ora di lavoro dell’altro? Per tutto il periodo dell’economia naturale contadina, non vi è altro scambio possibile che quello in cui le quantità di merci scambiate hanno la tendenza a misurarsi sempre più secondo le masse di lavoro in esse incorporate. Dal momento in cui il denaro fa la sua apparizione in questa organizzazione economica, la tendenza a conformarsi alla legge del valore (nella formulazione di Marx, nota bene!) diviene da un lato ancora più evidente, ma d’altro lato, essa è ostacolata dagli interventi del capitale usurario e dalla rapacità fiscale; i periodi necessari perchè i prezzi si avvicinino in media ai valori fino ad una grandezza trascurabile sono già più lunghi.
Lo stesso si può affermare per lo scambio fra i prodotti dei contadini e quelli degli artigiani delle città. All’inizio esso avviene direttamente, senza l’intervento del commerciante, nei giorni di mercato, nelle città dove il contadino vende e fa i suoi acquisti. Anche qui non soltanto il contadino conosce le condizioni di lavoro dell’artigiano, ma l’artigiano quelle del contadino. Poichè anche l’artigiano è ancora, parzialmente, contadino, egli possiede non soltanto orto e frutteto, ma anche molto sovente un pezzo di terra, una o due mucche, dei maiali, del pollame ecc. Nel Medioevo si era dunque in grado di rifare reciprocamente con sufficiente esattezza il conto dei costi di produzione per le materie prime, le materie ausiliarie, il tempo di lavoro — almeno per gli articoli di uso giornaliero e generale.
Ma, in questo scambio regolato col metro della quantità di lavoro, come calcolare quest’ultima, sia pure in modo indiretto, relativo, per i prodotti che richiedono un lavoro lungo, interrotto da intervalli irregolari, di rendimento incerto, ad es. il grano, il bestiame? E, per di più, trattandosi di gente che non sa far di conto? Evidentemente mediante un lungo e tortuoso processo di approssimazione, brancolando qua e là nell’oscurità, e, come in generale accade, diventando saggi a proprie spese. Ma la necessità per ciascuno di rientrare, complessivamente, nelle proprie spese, aiutò a trovare la direzione giusta, e il numero esiguo dei tipi di oggetti messi in commercio, come pure la stabilità sovente secolare del sistema della loro produzione facilitò il compito. E che non si sia impiegato troppo tempo per stabilire con una certa approssimazione la grandezza relativa del valore di questi prodotti, lo dimostra il fatto che la merce per la quale questa determinazione appare più difficile, a causa del lungo tempo di produzione richiesto da ogni singola unità, il bestiame, fu la prima merce-denaro quasi universalmente riconosciuta. Perché ciò potesse verificarsi, bisognava che il valore del bestiame, il suo rapporto di scambio con tutta una serie di altre merci, avesse trovato una determinazione relativamente larghissima e riconosciuta, senza contestazione nell’ambito di numerose tribù. E le genti di allora erano certamente abbastanza intelligenti — gli allevatori di bestiame al pari dei loro clienti — per non dar via, senza riceverne un equivalente, il tempo di lavoro da essi speso. Al contrario: più le genti si approssimano allo stato primitivo della produzione delle merci — come i russi e gli orientali ad esempio — e maggiore è il tempo che essi perdono ancora oggi per ottenere mediante contrattazioni lunghe, ostinate, la completa rimunerazione del loro tempo di lavoro speso in un prodotto.
Tutta la produzione delle merci si è dunque sviluppata partendo da questa determinazione di valore per mezzo del tempo di lavoro, e con essa le molteplici relazioni secondo cui si affermano i diversi aspetti della legge del valore, come si trovano esposti nella prima sezione del primo Libro del Capitale: vale a dire le condizioni per le quali solo il lavoro è produttore di valore. E precisamente, sono queste delle condizioni che si formano senza che coloro che vi partecipano ne abbiano coscienza e che possono essere astratte dalla pratica quotidiana solo mediante una ricerca teorica difficile; che agiscono quindi come le leggi naturali, il che, secondo quanto Marx ha dimostrato, è una necessaria conseguenza della natura della produzione di merci. Il progresso più importante e più radicale si ebbe con il passaggio alla moneta metallica, la cui conseguenza fu tuttavia da allora in poi che la determinazione del valore mediante il tempo di lavoro non apparve più visibilmente alla superficie dello scambio delle merci. Il denaro divenne praticamente la misura decisiva del valore e in grado tanto maggiore quanto più le merci messe nel commercio si moltiplicarono, furono importate da paesi più lontani, cosicchè meno facile divenne il controllo del tempo di lavoro necessario per la loro fabbricazione. Il denaro stesso venne per lo più all’inizio da paesi stranieri ed anche quando il metallo prezioso fu prodotto nel paese, da un lato il contadino e l’artigiano non potevano calcolare nemmeno approssimativamente il lavoro che esso rappresentava, d’altro lato la coscienza della proprietà che ha il lavoro di essere misura del valore era già abbastanza oscurata presso di loro per l’abitudine di calcolare con il denaro; il denaro cominciò a rappresentare nella concezione popolare il valore assoluto.
In una parola, la legge del valore di Marx ha validità generale, nella misura in cui la possono avere le leggi economiche, per tutto il periodo della produzione semplice delle merci, quindi fino al momento in cui questa subisce una trasformazione con l’apparizione della forma capitalistica di produzione.
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