Tutto ciò si può leggere nell’edizione francese dell’opera di Lori In breve, un plagiatore perfetto. Dopo che io gli ho impedito ulteriori rodomontate con i plagi di Marx, egli pretende sfortunatamente che anche Marx ai adorni di penne altrui, proprio come fa egli stesso. Delle altre critiche che gli avevo mosso, egli accoglie quella relativa alla sua affermazione che Marx non avrebbe mai avuto l’intenzione di scrivere un II o addirittura un III Libro del Capitale. « Ora l’Engels risponde trionfalmente lanciandomi contro il secondo ed il terzo Libro.., e sta bene; ed io sono così lieto di questi volumi, a cui debbo tante intellettuali delizie, che giammai vittoria mi fu cosi cara come oggi mi è cara questa sconfitta — se sconfitta è realmente. Ma lo è davvero? È proprio vero che il Marx abbia scritto con l’intento di pubblicarla questa miscellanea di note scucite, che l’Engels ha con pietosa amicizia raccolte? E proprio ammissibile che il Marx... abbia affidato a queste pagine il coronamento della sua opera e del suo sistema? È proprio certo che il Marx avrebbe pubblicato quel capitolo sul saggio medio dei profitti, in cui la soluzione da tant’anni promessa si riduce alla più desolante mistificazione, al gioco di frasi più volgari? È lecito almeno dubitarne... Ora, ciò dimostra, mi sembra, che, dato alla luce il suo splendido libro. Marx non aveva in animo di dargli un successore, o tutt’al più volle lasciare a’ suoi eredi, e fuori della propria responsabilità, il compimento dell’opera gigantesca».Ecco ciò che si trova scritto a p. 267. Heine non poteva parlare del suo pubblico tedesco, pubblico di filistei, con disprezzo maggiore che dicendo: l’autore finisce con l’abituarsi al suo pubblico, come se questo fosse un essere ragionevole. Quale idea l’illustre Loria deve dunque farsi del suo?Egli termina con un nuovo torrente di elogi che, ahimè, mi sommergono. Ed il nostro Sganarello si identifica in ciò con Balaam che viene per maledire, ma dalle cui labbra sgorgano suo malgrado «parole di benedizione e d’amore ». Il buon Balaam era ben conosciuto per montare un asino che era più giudizioso del suo padrone. Per questa volta Balaam ha evidentemente lasciato il suo asino a casa.">1

Nell’Archiv fur soziale Gesetzgebung di Braun, VII, fascicolo 4, Werner Sombart fa un riassunto eccellente, nel suo insieme, del sistema di Marx. È la prima volta che un professore d’università tedesco riesce a vedere, negli scritti di Marx, più o meno quello che Marx ha effettivamente detto, fino a dichiarare che la critica del sistema marxista non può consistere in una confutazione — «della quale s’incarichi pure l’arrivista politico» — ma in un ulteriore sviluppo del sistema stesso. Anche Sombart, come è naturale, si occupa del nostro soggetto. Egli esamina la questione dell’importanza del valore nel sistema di Marx e giunge ai risultati seguenti: il valore non appare nel rapporto di scambio delle merci prodotte secondo il sistema capitalistico; esso non vive nella coscienza degli agenti della produzione capitalistica; non è un fatto empirico, ma un fatto logico, di pensiero; il concetto di valore nella sua determinazione materiale presso Marx non è altro se non l’espressione economica del fenomeno della forza produttiva sociale del lavoro come base della realtà economica; la legge del valore, in un ordine economico capitalistico, domina in ultima istanza i processi economici; ed ha per questo ordine economico in generale il seguente contenuto: il valore delle merci è la forma specifica e storica, nella quale si fa valere in modo determinante la forza produttiva del lavoro, che domina, in ultima istanza, tutti i fenomeni economici. — Fin qui Sombart; non si può dire che questa concezione della importanza della legge del valore nella forma capitalistica di produzione sia inesatta. Mi sembra tuttavia che essa sia formulata con troppa genericità e sia suscettibile di una formulazione più serrata, più precisa: inoltre, secondo il mio punto di vista, non pone in luce in modo esauriente tutta l’importanza della legge del valore per le fasi dello sviluppo economico della società dominata da questa legge.

Anche nel Sozialpolitisches Zentralblatt di Braun, 25 febbraio 1895, fascicolo 22, si trova un articolo eccellente sul III Libro del Capitale, di Conrad Schmidt. Va messa qui in particolare rilievo la dimostrazione che Marx, facendo derivare il profitto medio dal plusvalore, ha risposto per la prima volta ad una questione che l’economia non aveva mai posta: ossia in qual modo questo saggio medio del profitto è determinato e per quale motivo esso è, poniamo, del 10 o del 15%, e non del 50 o del 100%. Da quando sappiamo che il plusvalore, che i capitalisti industriali si appropriano di prima mano, è la fonte unica ed esclusiva da cui defluiscono profitto e rendita fondiaria, questo problema si risolve da sè, Questa parte del lavoro di Schmidt potrebbe essere stato scritto direttamente per gli economisti a la Loria qualora non fosse fatica inutile aprire gli occhi a coloro che non vogliono vedere.

Anche Schmidt ha le sue riserve formali a proposito della legge del valore. Egli la chiama una ipotesi scientifica fatta per spiegare il processo di scambio reale, ipotesi che, come punto di partenza teorico necessario, luminoso, inevitabile, ha dimostrato la sua validità anche per i prezzi di concorrenza, fenomeni che in apparenza sembrano esserne la contraddizione assoluta; senza la legge del valore, secondo il suo punto di vista, cade anche ogni conoscenza teorica del meccanismo economico della realtà capitalistica. Ed in una lettera privata che mi ha permesso di citare, Schmidt definisce la legge del valore, nella forma di produzione capitalistica, addirittura una finzione, anche se teoricamente necessaria. Questa concezione, secondo il mio punto di vista, non è affatto esatta. La legge del valore ha per la produzione capitalistica una importanza molto maggiore e ben più precisa di quella di una semplice ipotesi, senza parlare poi di una finzione, sia pur necessaria.

Sombart e Schmidt — l’illustre Loria mi è servito qui solo come esemplare divertente di economista volgare — non tengono abbastanza in considerazione che non si tratta qui solo di un puro processo logico, ma di un processo storico e del suo riflesso interpretativo nel pensiero, la ricerca logica dei suoi nessi interni.

Il passo decisivo si trova in Marx, Libro III, p. 200: « Tutta la difficoltà consiste nel fatto che le merci non vengono scambiate semplicemente come merci, ma come prodotti di capitali, che in proporzione alla loro grandezza, o parità di grandezza, pretendono una uguale partecipazione alla massa complessiva del plusvalore »

Si supponga, per illustrare questa distinzione, che gli operai siano in possesso dei loro mezzi di produzione, che lavorino in media per periodi di tempo di uguale lunghezza, con una intensità uguale e scambino direttamente fra di loro le loro merci. Due operai, allora, avrebbero in un giorno aggiunto al loro prodotto mediante il loro lavoro, una eguale quantità di valore nuovo, ma il prodotto di ciascuno di essi avrebbe un valore diverso in relazione al lavoro già incorporato precedentemente nei mezzi di produzione. Questa ultima parte di valore rappresenterebbe il capitale costante dell’economia capitalistica, la parte del valore nuovo aggiunto, impiegato sotto forma di mezzi di sussistenza dell’operaio rappresenterebbe il capitale variabile, la parte residua del nuovo valore costituirebbe il plusvalore che in questo caso apparterrebbe all’operaio. Entrambi gli operai riceverebbero dunque, detrazione fatta della sostituzione della parte « costante » del valore, che essi hanno solamente anticipata, valori uguali; il rapporto fra la parte che rappresenta il plusvalore ed il valore dei mezzi di produzione — che corrisponderebbe al saggio di profitto capitalistico — sarebbe però diverso per ciascuno di essi. Ma, poichè ognuno di essi recupera nello scambio il valore dei mezzi di produzione, questa circostanza sarebbe completamente trascurabile.