Vi sono infatti già due punti per i quali mi sembra necessaria una breve spiegazione.

1. Legge del valore e saggio del profitto.

Era da attendersi che la soluzione della contraddizione apparente fra questi due fattori avrebbe dato luogo a discussioni tanto prima che dopo la pubblicazione del testo di Marx. Più di uno aspettava un vero miracolo e rimane deluso perchè in luogo dell’attesa magia si trova di fronte una mediazione semplice e razionale, prosaicamente sensata, del contrasto. Il più felice di questi delusi è naturalmente il ben noto illustre Loria. Egli ha finalmente trovato il punto d’appoggio archimedico dal quale perfino uno gnomo del suo calibro può sollevare e frantumare la compatta e gigantesca costruzione di Marx. Forse che, egli grida indignato, questa sarebbe una soluzione? Questa è una pura mistificazione! Gli economisti, quando parlano di valore, parlano del valore che si stabilisce realmente nello scambio. «Del valore a cui le merci non si vendono, né possono vendersi mai (Questo e i due corsivi seguenti sono di Engels. Le parole: « né possono vendersi mai» sono riportate in italiano nel testo) nessun economista che abbia fior di senno si è occupato né vorrà mai occuparsi... Coll’asserire che il valore a cui le merci non si vendono mai è proporzionale al lavoro in esse contenuto, che cosa ha egli fatto se non ripetere sotto una forma invertita la tesi degli economisti ortodossi, che il valore a cui le merci si vendono realmente non è mai proporzionale al lavoro in esse impiegato ?... Né punto vale a salvarla l’osservazione del Marx, che il prezzo totale delle merci coincide pur sempre, nonostante la divergenza dei prezzi dai valori singoli, col loro valore totale, ossia con la quantità di lavoro contenuto nella totalità delle merci stesse. Imperocchè essendo il valore null’altro che il rapporto di scambio fra una merce ed un’altra, il concetto stesso di un valore totale è un assurdo, un nonsenso... una contradictio in adjecto».

Proprio all’inizio del suo lavoro Marx dice che lo scambio potrebbe equiparare due merci unicamente in virtù di un elemento di uguale natura e di uguale grandezza in esse contenuto, precisamente la massa di lavoro di uguale grandezza in esse contenuta. Ed ora egli si contraddice gravemente affermando che le merci si scambiano secondo un rapporto semplice completamente diverso dalla massa di lavoro in esse contenuta. « Quando mai si ebbe una riduzione all’assurdo così piena, un fallimento teorico più completo? quando mai suicidio scientifico fu con maggior pompa e con più grande solennità consumato?» (Nuova Antologia, 1° febbraio 1895, pp. 478-479).

Come si vede il nostro Loria è al colmo della felicità. Non ha egli avuto ragione di trattare Marx come un suo pari, come un volgare ciarlatano? Voi lo vedete: Marx si prende giuoco del suo pubblico precisamente come Loria, egli vive di mistificazioni proprio come il più meschino dei professori italiani di economia. Ma, mentre Dulcamara può permettersi ciò perchè conosce il suo mestiere, il grossolano nordico Marx non fa altro che commettere spropositi, dice sciocchezze e assurdità, cosicchè alla fine non gli rimane se non il suicidio solenne.

Rimandiamo a più tardi l’asserzione che le merci non sono mai vendute ai loro valori determinati dal lavoro, né possono esserlo. Atteniamoci, qui, semplicemente all’assicurazione fattaci dal signor Loria che « il valore è null’altro che il rapporto di scambio fra una merce ed un’altra, il concetto stesso di un valore totale è un assurdo, un nonsenso » ecc. Il rapporto secondo il quale due merci si scambiano, il loro valore, è dunque qualche cosa di puramente accidentale, caduto sulle merci dall’esterno, che può essere oggi uno e domani un altro. Che un quintale metrico di frumento venga scambiato contro un grammo od un chilogrammo di oro, non dipende affatto da condizioni che sono inerenti a questo grano o all’oro, ma da circostanze completamente estranee ad entrambi. Se così non fosse, queste condizioni dovrebbero esse pure farsi valere nello scambio, dominarlo nell’insieme e avere una esistenza autonoma, indipendentemente dallo scambio, di modo che si potrebbe parlare di un valore totale delle merci. Tutto ciò è un nonsenso, dice l’illustre Loria. Il rapporto, qualunque esso sia, secondo cui due merci si scambiano, è il loro valore ed ecco tutto. Il valore è dunque identico al prezzo ed una merce ha un valore corrispondente al prezzo che essa può ottenere. Ed il prezzo è determinato dall’offerta e dalla domanda e chi, ponendo altra questione, si attende una risposta è uno stolto.

La cosa tuttavia presenta una piccola difficoltà. In condizioni normali domanda ed offerta si bilanciano. Dividiamo dunque le merci esistenti nel mondo in due metà, il gruppo della domanda ed il gruppo di pari grandezza dell’offerta. Supponiamo che ciascuno dei due gruppi rappresenti un prezzo di 1.000 miliardi di marchi, franchi, lire sterline od altro. Ciò, secondo le regole del l’aritmetica, rappresenta in tutto un prezzo o un valore di 2.000 miliardi. Nonsenso, assurdità dice il signor Loria.