Il signor Loria lo ha pubblicamente dichiarato insolubile. E appunto per questo egli supererà se stesso dandone pubblicamente la soluzione.
Tale miracolo fu compiuto con un articolo dedicato al citato scritto di Conrad Schmidt (Conrads Jahrbucher, nuova serie, XX, p. 272 sgg.). Avendo appreso da Schmidt come si determina il profitto commerciale, tutta la materia gli si è d’un colpo rischiarata. « Poiché la determinazione del valore mercé la durata del lavoro avvantaggia quei capitalisti che impiegano in salari una quota più larga dei loro capitali, il capitale improduttivo» (deve intendersi commerciale) « può esigere da questi capitalisti privilegiati un più elevato interesse » (deve intendersi profitto) « e portare l’eguaglianza fra i singoli capitalisti industriali... Così ad es., se i capitalisti industriali A, B, C, applicano alla produzione ciascuno 100 giornate lavorative e rispettivamente 0, 100, 200 unità di capitale costante, e se il salario di 100 giornate lavorative racchiude in sé 50 giornate lavorative, ogni capitalista riceve un plusvalore di 50 giornate lavorative, e i saggi del profitto sono del 100% per il primo capitalista, del 33,3% per il secondo, e del 20% per il terzo. Se poi un quarto capitalista D accumula un capitale improduttivo di 300, che estorce un interesse» (profitto) « del valore di 40 giornate lavorative da A e di 20 giornate lavorative da B, il saggio del profitto per i capitalisti A e B precipiterà al 20% come quello del capitalista C, e D con un capitale di 300 riceverà un profitto di 60, ossia un saggio del profitto del 20%, al pari degli altri capitalisti ».
Con sorprendente destrezza l’illustre Loria risolve, in un batter d’occhio, quel medesimo problema che dieci anni prima aveva dichiarato insolubile. Purtroppo egli non ci ha svelato il segreto che dà al « capitale improduttivo il potere non soltanto di sottrarre agli industriali questo loro extraprofitto eccedente il saggio medio del profitto, ma anche di conservarlo, proprio come il proprietario terriero intasca sotto forma di rendita fondiaria l’eccedenza del profitto del fittavolo. In realtà, secondo la tesi in parola, i commercianti preleverebbero dagli industriali un tributo assolutamente analogo alla rendita fondiaria e determinerebbero in tal modo il saggio medio del profitto. Certo, come ognuno sa, il capitale commerciale è un fattore essenziale per la formazione del saggio generale del profitto. Ma soltanto un avventuriero della penna, che nel suo intimo si ride dell’economia intera, può permettersi di affermare che esso possegga il magico potere di assorbire in sé tutto il plusvalore eccedente il saggio generale del profitto, prima ancora che questo si sia formato, e di convertirlo in rendita fondiaria per se stesso, senza che occorra allo scopo una qualsiasi proprietà fondiaria. Non meno sorprendente è l’affermazione che il capitale commerciale sia capace di scoprire quegli industriali il cui plusvalore raggiunge solo il saggio medio del profitto, e sia fiero di alleviare in certo qual modo la sorte di tali infelici vittime della legge del valore di Marx, vendendo loro i prodotti gratuitamente, perfino senza provvigioni di sorta. Ci vuole un prestigiatore di razza per immaginarsi che Marx abbia bisogno di simili pietosi giochetti!
Ma il nostro illustre Loria brilla in tutta la sua gloria solo nel raffronto con i suoi concorrenti nordici, per es. con il sig. Julius Wolf, che pure non è nato ieri. Che meschino schiamazzatore sembra costui pur con il suo grosso libro Sozialismus und kapitalistische Gesell schaftsordnung, accanto all’italiano! Come è goffo, quasi direi modesto, di fronte alla nobile audacia con cui il Maestro afferma come cosa naturale che Marx, come tutti gli altri, era un sofista, paralogista, fanfarone e ciarlatano dello stampo del sig. Loria stesso; e che, ogniqualvolta è a mal partito, usa dar ad intendere al pubblico di rimettere la conclusione delle sue teorie a un successivo volume, che ben sa in anticipo di non avere né la possibilità né l’intenzione di comporre ! Improntitudine illimitata, agilità da anguilla per sgusciare da situazioni insostenibili, eroico disdegno delle pedate ricevute; prontezza nell’appropriarsi prodotti altrui, sfrontata ciarlataneria pubblicitaria, organizzazione della fama per mezzo di consorterie compiacenti: chi lo supera in tutto questo?
L’Italia è la terra della classicità. Dalla grande epoca in cui spuntò sul suo orizzonte l’alba della civiltà moderna, essa ha prodotto grandi caratteri, di classica ineguagliata perfezione, da Dante a Garibaldi.. Ma anche l’età della decadenza e della dominazione straniera le ha lasciato maschere classiche di caratteri, fra cui due tipi particolar mente elaborati: Sganarello e Dulcamara. La loro classica unità noi la vediamo impersonata nel nostro illustre Loria.
Per finire devo condurre il lettore oltre oceano. A New York il medico George C. Stiebeling ha pure trovato una soluzione del problema, e straordinariamente semplice. Così semplice che nessuno né qui né là l’ha voluta accettare; il che ha provocato in lui una profonda collera e amare lagnanze su tanta ingiustizia, esposte in una lunga sequela di opuscoli e di articoli di rivista diffusi su ambedue le sponde dell’Atlantico. Gli si disse, é vero, nella Neue Zeit, che la sua soluzione si fonda su un errore di calcolo. L’obiezione non riuscì a turbarlo; anche Marx è incorso in errori di calcolo, è ciò nonostante ha ragione in molte cose. Esaminiamo dunque la soluzione di Stiebeling.
« Si suppongano due fabbriche, che lavorano con lo stesso capitale e per identico tempo, ma con una diversa proporzione di capitale costante e di capitale variabile. Il capitale complessivo (c + v) sia posto eguale a y, e si indichi con la x la differenza nel rapporto del capitale costante col capitale variabile. Nella fabbrica I è y = c + v, nella fabbrica II é y = (c - x) + (v + x). Il saggio del plusvalore è quindi Pv : v nella fabbrica I e Pv : (v + x) nella fabbrica II. Si designi come profitto (p) il plusvalore complessivo (pv) di cui si accresce in un dato periodo di tempo il capitale complessivo y ossia c + v; dunque p = pv.
1 comment