Mi preme molto che chiunque lavori per me sia soddisfatto». La firma non era leggibile, ma accanto era stato apposto un timbro: Il capo della sezione n. X. «Aspetta!», disse K. a Barnabas che si stava accomiatando con un inchino, poi chiamò l'oste per farsi indicare la sua stanza, voleva rimanere solo un momento con la lettera. E si ricordò che Barnabas, con tutta la simpatia che gl'ispirava, non era altro che un messaggero, e gli fece portare una birra. K. stette a vedere come l'accoglieva: Barnabas mostrò di accettarla molto volentieri e la bevve subito. Poi K. seguì l'oste. In quella piccola casa avevano potuto offrirgli solo una stanzuccia sotto il tetto, e già questo aveva creato delle difficoltà, poiché era stato necessario sistemare altrove le due serve che vi avevano finora dormito. In realtà si erano limitati a far sloggiare le ragazze, per il resto la stanza era rimasta tale e quale, all'unico letto non erano state messe le lenzuola, c'erano solo un paio di cuscini e una coperta da cavallo, e tutto nello stato in cui era rimasto dalla notte prima. Alla parete un paio d'immagini di santi e fotografie di soldati. Non avevano nemmeno dato aria alla stanza, evidentemente speravano che il nuovo ospite non sarebbe rimasto a lungo, e non facevano nulla per trattenerlo. Ma K. si adattò a tutto, si avvolse nella coperta, sedette al tavolo e incominciò a rileggere la lettera al lume di una candela.

Non era uniforme, c'erano punti in cui ci si rivolgeva a lui come a un uomo libero, al quale si riconosce una volontà propria: era il caso dell'intestazione e del passaggio che riguardava i suoi desideri. Ma c'erano altri punti in cui egli veniva trattato, in modo velato o scoperto, come un piccolo impiegato che quel capo, dalla sua posizione, a malapena notava; il capo doveva fare uno sforzo «per non perderlo di vista», il suo superiore era un semplice sindaco di paese al quale doveva persino rendere conto, il suo unico collega era probabilmente la guardia campestre. Erano contraddizioni indubitabili, e così evidenti che potevano solo essere intenzionali. L'idea - assurda, trattandosi di una simile autorità - che ciò fosse il risultato d'indecisione sfiorò appena K. Egli vi scorse piuttosto una scelta che gli veniva offerta con franchezza, stava a lui decidere come regolarsi in merito alle disposizioni contenute nella lettera, se voler essere un impiegato municipale, con un legame malgrado tutto lusinghiero ma soltanto apparente con il castello, oppure mantenere l'apparenza di un impiegato municipale e lasciare che tutti gli aspetti del suo lavoro venissero regolati dalle istruzioni che Barnabas gli avrebbe trasmesso. K. non esitò a scegliere, non avrebbe esitato nemmeno senza le sue recenti esperienze. Solo come impiegato municipale, il più possibile lontano dai signori del castello, sarebbe stato in grado di ottenere qualcosa dal castello; la gente del paese, ancora così diffidente nei suoi confronti, avrebbe incominciato a parlare quando egli fosse diventato se non loro amico almeno compaesano, e una volta che nulla lo avrebbe più distinto da Gerstäcker o da Lasemann - il che doveva avvenire al più presto, tutto dipendeva da questo - di colpo gli si sarebbero aperte tutte le strade che, se la cosa fosse dipesa unicamente da quei signori lassù e dalla loro benevolenza, avrebbero continuato a rimanere per lui non solo sbarrate ma invisibili. Certo un rischio c'era, e la lettera lo sottolineava abbastanza, lo descriveva anzi con un certo compiacimento, come se fosse una cosa inevitabile. Era la condizione d'impiegato: servizio, superiori, compiti, remunerazione, rendiconti, lavoratori, la lettera pullulava di tutto questo, e anche quando parlava d'altro, di cose più personali, lo faceva sempre da quel punto di vista. Se K. voleva diventare un impiegato, facesse pure, ma allora davvero con tutta la terribile serietà che escludeva ogni altra prospettiva. K. sapeva di non essere minacciato da una costrizione reale, non la temeva, in questa circostanza meno che in altre, temeva invece la violenza di un ambiente scoraggiante, quella dell'abitudine alle delusioni, la violenza degli impercettibili influssi che ogni istante esercita, ma era necessario che egli osasse affrontare questo pericolo. La lettera non taceva del resto che, se si fosse arrivati a degli scontri, era K.