«Va bene», disse K., «non occorre scrivere, porgi al signor caposezione... come si chiama? Non ho potuto leggere la firma». «Klamm», disse Barnabas. «Porgi dunque al signor Klamm i miei ringraziamenti per la mia assunzione come pure per la sua cortesia, che apprezzo in modo particolare non avendo ancora potuto dar prova delle mie capacità. Mi atterrò scrupolosamente alle sue intenzioni. Desideri speciali per oggi non ne ho». Barnabas, che aveva ascoltato con la massima attenzione, chiese di poter ripetere il messaggio. K. glielo concesse ed egli lo ripeté parola per parola. Poi si alzò per accomiatarsi.

Per tutto il tempo K. aveva esaminato il viso di Barnabas, e ora lo fece per un'ultima volta. Barnabas aveva più o meno la sua stessa statura, eppure il suo sguardo pareva calare su K. dall'alto, ma quasi con umiltà; era impossibile che quell'uomo mettesse in imbarazzo qualcuno. Certo, era un semplice messaggero, non conosceva il contenuto delle lettere che doveva recapitare, ma il suo sguardo, il suo sorriso, la sua andatura parevano essi stessi un messaggio, anche se lui non ne era consapevole. E K. gli tese la mano, cosa che evidentemente sorprese l'altro, che aveva voluto soltanto inchinarsi.

Appena Barnabas se ne fu andato - prima di aprire la porta vi si era appoggiato ancora un momento con la spalla e aveva abbracciato la sala con uno sguardo che non si rivolgeva più a nessuno -, K. disse agli aiutanti: «Vado in camera a prendere i miei appunti, poi parleremo del primo lavoro che ci aspetta». I due fecero per seguirlo. «Restate qui!», disse K. Di nuovo essi cercarono di seguirlo. K. dovette ripetere l'ordine in tono ancora più severo. Nel corridoio Barnabas non c'era più. Eppure se n'era andato da poco. Ma nemmeno davanti alla casa - aveva ripreso a nevicare - K. riuscì a vederlo. Chiamò: «Barnabas!». Nessuna risposta. Che fosse ancora dentro? Non sembrava esserci altra possibilità. Tuttavia K.