Il Corsaro aveva rallentato il passo. Col feltro calato sugli occhi, avvolto nel suo mantello, quantunque la sera fosse calda, colla sinistra appoggiata fieramente sulla guardia della spada, osservava attentamente le vie e le case, come se avesse voluto imprimersele nella mente.

Giunti sulla Plaza de Granada che formava il centro della città, s'arrestò sull'angolo di una casa, appoggiandosi contro il muro, come se una improvvisa debolezza avesse colto quel fiero scorridore del golfo.

La piazza offriva uno spettacolo così lugubre, da fare fremere l'uomo più impassibile della terra.

Da quindici forche, innalzate in semicerchio dinanzi ad un palazzo sul quale ondeggiava la bandiera spagnuola, pendevano quindici cadaveri umani.

Erano tutti scalzi, colle vesti a brandelli, eccettuato uno che indossava un costume dal colore del fuoco e che calzava alti stivali da mare.

Sopra quelle quindici forche, numerosi gruppi di zopilotes e di urubu, piccoli avvoltoi dalle penne tutte nere, incaricati della pulizia delle città dell'America centrale, pareva che non attendessero la putrefazione di quei disgraziati per gettarsi su quelle povere carni.

Carmaux si era avvicinato al Corsaro, dicendogli con voce commossa:

- Ecco i compagni.

- Sì, - rispose il Corsaro, con voce sorda. - Reclamano vendetta e l'avranno presto.

Si staccò dal muro facendo uno sforzo violento, chinò il capo sul petto come se avesse voluto celare la terribile emozione che aveva sconvolto i suoi lineamenti e s'allontanò a rapidi passi, entrando in una posada, specie d'albergo, dove abitualmente si radunano i nottambuli per vuotare con loro comodo parecchi boccali di vino.

Trovato un tavolo vuoto si sedette, o meglio si lasciò cadere su di una scranna, senza alzare il capo, mentre Carmaux urlava:

- Un boccale del tuo migliore Xeres, oste briccone!... Bada che sia autentico o non rispondo dei tuoi orecchi... L'aria del golfo mi ha fatta venire una tale sete, da asciugare tutta la tua cantina!...

Quelle parole, pronunciate in puro biscaglino, fecero accorrere più che in fretta il trattore, con un fiasco di quell'eccellente vino.

Carmaux empì tre tazze, ma il Corsaro era così immerso nei suoi tetri pensieri, che non pensò di toccare la sua.

- Per mille pescicani, - borbottò Carmaux, urtando il negro. - Il padrone è in piena tempesta ed io non vorrei trovarmi nei panni degli spagnuoli. Bell'audacia, in fede mia, venire qui; ma già, lui non ha paura.

Si guardò intorno con una certa curiosità non esente da una vaga paura ed i suoi occhi s'incontrarono con quelli di cinque o sei individui armati di navaje smisurate, i quali lo guardavano con particolare attenzione.

- Pare che mi ascoltassero, - diss'egli al negro. - Chi sono costoro?...

- Baschi al servizio del Governatore.

- Compatrioti militanti sotto altre bandiere. Bah! Se credono di spaventarmi colle loro navaje, s'ingannano.

Quegl'individui frattanto avevano gettate le sigarette che stavano fumando e dopo essersi bagnata la gola con alcune tazze di Malaga, si erano messi a chiacchierare con voce così alta da farsi udire perfettamente da Carmaux.

- Avete veduti gli appiccati?... - aveva chiesto uno.

- Sono andato a vederli anche questa sera, - aveva risposto un altro. - È sempre un bello spettacolo che offrono quelle canaglie!... Ce n'è uno che fa scoppiare dalle risa, con quella lingua che gli esce dalla bocca mezzo palmo.

- Ed il Corsaro Rosso? - chiese un terzo. - Gli hanno messo in bocca perfino una sigaretta onde renderlo più ridicolo.

- Ed io voglio porgli in mano un ombrello onde domani si ripari dal sole. Lo vedremo...

Un pugno formidabile, picchiato sul tavolo e che fece traballare le tazze gl'interruppe la frase.

Carmaux, impotente a frenarsi, prima ancora che il Corsaro Nero avesse pensato a trattenerlo, si era alzato di balzo ed aveva lasciato andare sulla tavola vicina quel formidabile pugno.

- Rayos de dios! - tuonò. - Bella prodezza deridere i morti; il bello è deridere i vivi, miei cari caballeros!...

I cinque bevitori, stupiti da quell'improvviso scoppio di rabbia dello sconosciuto, si erano alzati precipitosamente, tenendo la destra sulle navaje, poi uno di loro, il più ardito senza dubbio, gli chiese con cipiglio:

- Chi siete voi, caballero?

- Un buon biscaglino che rispetta i morti, ma che sa bucare il ventre anche ai vivi.

I cinque bevitori a quella risposta, che poteva prendersi per una spacconata, si misero a ridere, facendo andare maggiormente in bestia il filibustiere.

- Ah!... È così? - disse questi, pallido d'ira.

Guardò il Corsaro, che non si era mosso come se quell'alterco non lo riguardasse, poi allungando una mano verso colui che lo aveva interrogato, lo respinse furiosamente urlandogli contro:

- Il lupo di mare mangerà il lupicino di terra!...

L'uomo respinto era caduto addosso ad un tavolo, ma si era prontamente rimesso in gambe, levandosi rapidamente dalla cintura la navaja, che aprì con un colpo secco. Stava senz'altro per scagliarsi contro Carmaux e passarlo da parte a parte, quando il negro, che fino allora era rimasto semplice spettatore, ad un cenno del Corsaro balzò fra i due litiganti, brandendo minacciosamente una pesante sedia di legno e di ferro.

- Fermo o t'accoppo!... - gridò all'uomo armato.

Vedendo quel gigante dalla pelle nera come il carbone la cui potente muscolatura pareva pronta a scattare, i cinque baschi erano indietreggiati, per non farsi stritolare da quella sedia che descriveva in aria delle curve minacciose.

Quindici o venti bevitori che si trovavano in una stanza attigua, udendo quel baccano, si erano affrettati ad accorrere, preceduti da un omaccio armato di uno spadone, un vero tipo di bravaccio, coll'ampio cappello piumato inclinato su di un orecchio ed il petto racchiuso entro una vecchia corazza di pelle di Cordova.

- Che cosa succede qui? - disse ruvidamente quell'uomo, sguainando il brando, con una mossa tragica.

- Succedono, mio caro caballero, - disse Carmaux, inchinandosi in modo buffo, - certe cose che non vi riguardano affatto.

- Eh!... per tutti i Santi... - gridò il bravaccio con cipiglio. - Si vede che voi non conoscete don Gamaraley Miranda, conte di Badajoz, nobile di Camargua, e visconte di...

- Di casa del diavolo, - disse il Corsaro Nero, alzandosi bruscamente e guardando fisso il bravaccio. - E così, caballero, conte, marchese, duca, eccetera?...

Il signor di Gamara e d'altri luoghi ancora arrossì come una peonia, poi impallidì, dicendo con voce rauca:

- Per tutte le streghe dell'inferno!... Non so chi mi tenga dal mandarvi all'altro mondo a tenere compagnia a quel cane di Corsaro Rosso che fa così bella mostra sulla Plaza de Granada ed ai suoi quattordici birbanti.

Questa volta fu il Corsaro che impallidì orribilmente. Con un gesto trattenne Carmaux che stava per scagliarsi contro l'avventuriero, si sbarazzò del mantello e del cappello e con un rapido gesto snudò la spada, dicendo con voce fremente:

- Il cane sei tu e chi andrà a tenere compagnia agli appiccati sarà la tua anima dannata.

Fece cenno agli spettatori di fare largo e si mise di fronte all'avversario, ponendosi in guardia con una eleganza e con una sicurezza da sconcertare l'avversario.

- A noi, conte di casa del diavolo - disse coi denti stretti. - Fra poco qui vi sarà un morto.

L'avventuriero si era messo in guardia, ma ad un tratto si rialzò, dicendo:

- Un momento, caballero. Quando s'incrocia il ferro si ha il diritto di conoscere il nome dell'avversario.

- Sono più nobile di te, ti basta?...

- No, è il nome che voglio sapere.

- Lo vuoi?... Sia, ma peggio per te, poiché non lo dirai più a nessuno.

Gli si avvicinò e gli mormorò alcune parole in un orecchio.

L'avventuriero aveva mandato un grido di stupore e fors'anche di spavento e aveva fatto due passi indietro come se avesse voluto rifugiarsi fra gli spettatori e tradire il segreto; ma il Corsaro Nero aveva cominciato ad incalzarlo vivamente, costringendolo a difendersi.

I bevitori avevano formato un ampio circolo attorno ai duellanti. Il negro e Carmaux erano in prima linea, però non sembravano affatto preoccupati dell'esito di quello scontro, specialmente l'ultimo che sapeva di quanto era capace il fiero corsaro. L'avventuriero, fino dai primi colpi, si era accorto d'aver dinanzi un avversario formidabile, deciso ad ucciderlo al primo colpo falso, e ricorreva a tutte le risorse della scherma per parare le botte che grandinavano.

Quell'uomo non era però uno spadaccino da disprezzarsi. Alto di statura, grosso e robustissimo, dal polso fermo e dal braccio vigoroso, doveva opporre una lunga resistenza e si capiva che non era facile a stancarsi.

Il Corsaro tuttavia, snello, agile, dalla mano pronta, non gli dava un istante di tregua, come se temesse che approfittasse della minima sosta per tradirlo.

La sua spada lo minacciava sempre, costringendolo a continue parate.