La punta scintillante balenava dappertutto, batteva forte il ferro dell'avventuriero, facendo sprizzare scintille, e andava a fondo con una velocità così fulminea da sconcertare l'avversario.

Dopo due minuti l'avventuriero, non ostante il suo vigore poco meno che erculeo, cominciava a sbuffare ed a rompere. Si sentiva imbarazzato a rispondere a tutte le botte del Corsaro e non conservava più la calma primiera. Sentiva che la pelle correva un gran pericolo e che avrebbe finito davvero coll'andare a tenere poco allegra compagnia agli appiccati della Plaza de Granada.

Il Corsaro invece pareva che avesse appena sfoderata la spada. Balzava innanzi con un'agilità da giaguaro, incalzando sempre con crescente vigore l'avventuriero. Solamente i suoi sguardi, animati da un cupo fuoco, tradivano la collera della sua anima. Quegli occhi non si staccavano un solo istante da quelli dell'avversario, come se volessero affascinarlo e turbarlo. Il cerchio degli spettatori si era aperto per lasciare campo all'avventuriero, il quale retrocedeva sempre, avvicinandosi alla parete opposta.

Carmaux, sempre in prima fila, cominciava a ridere, prevedendo presto lo scioglimento di quel terribile scontro.

Ad un tratto l'avventuriero si trovò addosso al muro. Impallidì orribilmente e grosse gocce di sudore freddo gli imperlarono la fronte.

- Basta... - rantolò, con voce affannosa.

- No, - gli disse il Corsaro, con accento sinistro. - Il mio segreto deve morire con te.

L'avversario tentò un colpo disperato. Si rannicchiò più che poté, poi si scagliò innanzi, vibrando tre o quattro stoccate una dietro l'altra.

Il Corsaro, fermo come una rupe, le aveva parate con eguale rapidità.

- Ora t'inchioderò sulla parete, - gli disse.

L'avventuriero, pazzo di spavento, comprendendo ormai di essere perduto, si mise a urlare.

- Aiuto!... Egli è il Co...

Non finì. La spada del Corsaro gli era entrata nel petto, inchiodandolo nella parete e spegnendogli la frase.

Un getto di sangue gli uscì dalle labbra macchiandogli la corazza di pelle che non era stata sufficiente a ripararlo da quel tremendo colpo di spada, sbarrò spaventosamente gli occhi, guardando l'avversario con un ultimo lampo di terrore, poi stramazzò pesantemente al suolo, spezzando in due la lama che lo tratteneva al muro.

- Se n'è andato, - disse Carmaux, con un accento beffardo.

Si curvò sul cadavere, gli strappò di mano la spada e porgendola al capitano che guardava con occhio tetro l'avventuriero, gli disse:

- Giacché l'altra si è spezzata, prendete questa. Per bacco!... È una vera lama di Toledo, ve lo assicuro, signore.

Il Corsaro prese la spada del vinto senza dir verbo, andò a prendere il cappello, gettò sul tavolo un doblone d'oro e uscì dalla posada seguito da Carmaux e dal negro, senza che gli altri avessero osato trattenerlo.

Inizio

 

Capitolo Quinto

 

L'APPICCATO

 

Quando il Corsaro ed i suoi compagni giunsero sulla Plaza de Granada, l'oscurità era così profonda, da non potersi distinguere una persona a venti passi di distanza.

Un profondo silenzio regnava sulla piazza, rotto solamente dal lugubre gracidare di qualche urubu, vigilante sulle quindici forche degli appiccati. Non si udivano nemmeno più i passi della sentinella posta dinanzi al palazzo del Governatore, la cui massa giganteggiava dinanzi alle forche.

Tenendosi presso i muri delle case o dietro ai tronchi delle palme, il Corsaro, Carmaux ed il negro s'avanzavano lentamente, cogli orecchi tesi, gli occhi bene aperti e le mani sulle armi, tentando di giungere inosservati presso i giustiziati.

Di tratto in tratto, quando qualche rumore echeggiava per la vasta piazza, s'arrestavano sotto la cupa ombra di qualche pianta o sotto l'oscura arcata di qualche porta, aspettando, con un certa ansietà, che il silenzio fosse tornato.

Erano già giunti a pochi passi dalla prima forca, dalla quale dondolava, mosso dalla brezza notturna, un povero diavolo quasi nudo, quando il Corsaro additò ai compagni una forma umana che si agitava sull'angolo del palazzo del Governatore.

- Per mille pescicani!... - borbottò Carmaux. - Ecco la sentinella!... Quell'uomo verrà a guastarci il lavoro.

- Ma Moko è forte, - disse il negro. - Io andrò a rapire quel soldato.

- E ti farai bucare il ventre, compare.

Il negro sorrise, mostrando due file di denti bianchi come l'avorio, e così acuti da fare invidia ad uno squalo, dicendo:

- Moko è astuto e sa strisciare come i serpenti che incanta.

- Va', - gli disse il Corsaro. - Prima di prenderti con me, voglio avere una prova della tua audacia.

- L'avrete, padrone. Io prenderò quell'uomo come un tempo prendevo gli jacaré della laguna.

Si tolse dai fianchi una corda sottile, di cuoio intrecciato e che terminava in un anello, un vero lazo, simile a quello usato dai vaqueros messicani per dare la caccia ai tori, e s'allontanò silenziosamente, senza produrre il menomo rumore.

Il Corsaro, nascosto dietro il tronco d'una palma, lo guardava attentamente, ammirando forse la risolutezza di quel negro che, quasi inerme, andava ad affrontare un uomo bene armato e certamente risoluto.

- Ha del fegato il compare, - disse Carmaux.

Il Corsaro fece un cenno affermativo col capo, ma non pronunciò una sola parola. Continuava a guardare l'africano il quale strisciava al suolo come un serpente avvicinandosi lentamente al palazzo del Governatore.

Il soldato si allontanava allora dall'angolo, dirigendosi verso il portone, era armato di un'alabarda ed al fianco portava anche una spada.

Vedendo che gli volgeva le spalle, Moko strisciava più velocemente tenendo in mano il lazo. Quando giunse a dodici passi si alzò rapidamente, fece volteggiare in aria due o tre volte la corda, poi la lanciò con mano sicura. S'udì un leggero sibilo, poi un grido soffocato ed il soldato stramazzò al suolo, lasciando cadere l'alabarda ed agitando pazzamente le gambe e le braccia.

Moko, con un balzo da leone, gli era piombato addosso. Imbavagliarlo strettamente colla fascia rossa che portava alla cintola, legarlo per bene e portarlo via come se fosse stato un fanciullo, fu l'affare di pochi istanti.

- Eccolo, - disse, gettandolo ruvidamente ai piedi del capitano.

- Sei un valente, - rispose il Corsaro. - Legalo a questo albero e seguimi.

Il negro obbedì aiutato da Carmaux, poi tutti e due raggiunsero il Corsaro, il quale esaminava gli appiccati dondolanti dalle forche.

Giunti in mezzo alla piazza, il capitano s'arrestò dinanzi ad un giustiziato che indossava un costume rosso e che, per amara derisione, teneva fra le labbra un pezzo di sigaro.

Nel vederlo, il Corsaro aveva mandato un vero grido di orrore.

- I maledetti!... - esclamò. - Mancava a loro l'ultimo disprezzo!

La sua voce, che pareva il lontano ruggito d'una fiera, terminò in uno straziante singhiozzo.

- Signore, - disse Carmaux, con voce commossa, - siate forte!

Il Corsaro fece un gesto colla mano indicandogli l'appiccato.

- Subito, mio capitano, - rispose Carmaux.

Il negro si era arrampicato sulla forca, tenendo fra le labbra il coltello del filibustiere. Recise con un colpo solo la fune, poi calò giù il cadavere, adagio, adagio.

Carmaux gli si era fatto sotto.