Su questo, anzi, scherzava. Ci aveva presentati a lei come «il meglio che esiste a Torino»: ascoltasse e imparasse. Nel mondo di Poli si è molto villani: ci si serve della gente con allegra sfrontatezza. Non capivo Pieretto che si prestava al gioco.

La signora Rosalba sali davanti, con Poli. Era una magra - poveretta - occhi rossi, sussiegosa, con un fiore nei capelli. Non poteva stare ferma, e già prima, aspettando, ci dava occhiate affannose, tentava sorrisi, si guardava nello specchio. Aveva un abito da sera rosa, sembrava la mamma di Poli.

Lui scherzava e ci diceva mille cose. Guardava la donna con occhi vispi, rideva e guidava. In un attimo fummo fuori Torino. Pieretto, chinandosi avanti, gli disse qualcosa.

Poli frenò di colpo. Eravamo nella campagna nera, davanti alle montagne. La Rosalba rideva eccitata.

- Dove si va?

Dissi netto che non intendevo star fuori tutta la notte.

Poli si volse e mi disse: - Desidero che ci tenga compagnia. Si fidi di noi. Non faremo tardi.

La donna disse desolata: - Fermiamoci, Poli. Perché vuoi correre tutta la notte? Sei sempre così temerario.

Poli riaccese il motore. Prima di scattare parlottò con la donna. Vedevo le due teste accostate, distinsi l’ansia e l’intimità delle voci, poi il capo di lei che annuiva con forza. Poli si volse e ci sorrise.

Manovrò sulla strada e ripartì verso Torino. Per i viali deserti della periferia accostammo la collina nera nella notte. Poi corremmo lungo il Po sotto le coste. Passò Sassi. Si capiva che Poli e Rosalba erano già venuti da quelle parti. Lei si stringeva alla sua spalla. Che cosa trovava Pieretto in quei due? Volevo chiedermi se lei sapesse delle droghe di Poli, immaginarmeli insieme ubriachi, detestarli. Ma non ci riuscii.

La novità di quella corsa, i bruschi balzi nella notte, le acque nere e la nera collina imminente non mi lasciavano pensare ad altro. - Ecco, ecco, - gridò Rosalba, e già Poli rallentava davanti a una villa illuminata. Svoltò sulla ghiaia e fermò in un cortile di automobili. Davanti, contro il vuoto del fiume, c’era in penombra uno spiazzo, con tavolini a paralume discreto. Vidi le giacche bianche di camerieri.

Quando finì l’agitazione e l’imbarazzo di sederci e ordinare - la Rosalba cambiò idea varie volte, non stava a sentire, faceva il broncio e parlava forte; Pieretto posò i gomiti sul tavolo mostrando i polsini sfilacciati - io decisi di lasciarli discorrere tra loro e mi dissi: «Dopotutto è un caffè come gli altri». Mi abbandonai contro la sedia e tesi l’orecchio al lato in ombra, se sentivo la voce dell’acqua.

Ma non era un caffè come gli altri.