Non dubitare.
CORNELIUS: Sono tanti i miracoli dell’arte che giurerai di non studiare altro.
Una buona base in astrologia, competenza nelle lingue, conoscenza dei minerali, sono i presupposti necessari.
Perciò non dubitare, sarai famoso e i tuoi segreti più ricercati dell’oracolo di Delfi ai suoi tempi.
So che gli spiriti possono prosciugare i mari per estrarne i tesori di tutti i naufragi, anzi, tutte le ricchezze che gli antenati seppellirono nelle viscere della terra.
E allora dimmi, Faust, cosa ci mancherà?
FAUST: Niente, Cornelius. Questo mi dà coraggio!
Venite, mostratemi qualche esperimento, poi esordirò in qualche bosco, avrò queste gioie in pieno.
VALDES: Cercati un posto solitario, nel folto, e porta con te il saggio Bacone e Abano, i Salmi e il Nuovo Testamento; altre cose che servono te le diremo prima di separarci.
CORNELIUS: Valdes, cominciamo a insegnargli le parole dell’arte. E quando saprà il resto proverà da solo.
VALDES: Anzitutto i rudimenti. Presto sarai più bravo di me.
FAUST: Venite, venite a cenare. Dopo vaglieremo tutto a fondo.
Prima di dormire voglio provare.
Stanotte evocherò gli spiriti, mi costi pure la vita.
(Escono)
SCENA SECONDA
(Entrano due assistenti)
PRIMO ASSISTENTE: Che ne è stato di Faust che faceva rimbombare le aule coi suoi “sic probo”.
(Entra Wagner)
SECONDO ASSISTENTE: Lo sapremo subito, c’è lì il suo servo.
PRIMO ASSISTENTE: Ehi tu, senti, dov’è il tuo principale?
WAGNER: Lo sa Iddio!
SECONDO ASSISTENTE: E tu non lo sai?
WAGNER: Sì, lo so. Ma che c’entra?
PRIMO ASSISTENTE: Avanti giovanotto, basta coi bisticci e di’ dove si trova.
WAGNER: Neanche questo è logico. Siete laureati, dovreste saper fare un ragionamento. Sicché riconoscete l’errore e fate più attenzione.
SECONDO ASSISTENTE: Allora non vuoi proprio dircelo?
WAGNER: Ti sbagli di nuovo: ve lo dico subito. Ma se non foste somari non avreste mai fatto una domanda simile. Lui è un “Corpus naturale”, sì o no? E non è questi “Mobile? Ergo”, che senso ha la domanda? Se non fossi flemmatico per natura, lento all’ira e incline alla libidine - all’amore dovrei dire - non vi converrebbe avvicinarvi troppo a questo luogo d’esecuzione. Del resto vi vedrò tutt’e due impiccati alle prossime assise, non ne dubito. E ora che ho trionfato su voi mi farò una faccia da puritano e dirò così: invero, miei cari fratelli, il Maestro è in casa, a tavola con Valdes e Cornelius, come questo vino, se potesse parlare, informerebbe le signorie vostre: e con ciò il Signore vi benedica, vi preservi e vi conservi, miei carissimi fratelli.
(Se ne va)
PRIMO ASSISTENTE: Ah, Faust, adesso ho paura che sia vero ciò che sospetto da tempo:
sei caduto in quell’arte maledetta che rende quei due dappertutto infami.
SECONDO ASSISTENTE: Anche se mi fosse estraneo e non mio amico, il rischio che corre quest’anima mi darebbe pena.
Venite, andiamo a dirlo al Rettore, forse la sua parola autorevole potrà salvarlo.
PRIMO ASSISTENTE: Temo che niente potrà salvarlo ormai.
SECONDO ASSISTENTE: Ma facciamo il possibile.
(Escono)
SCENA TERZA
(Tuono. Entrano [in alto] Lucifero e quattro diavoli. Faust si rivolge a loro)
FAUST: Ora che l’ombra della notte innamorata di Orione che sempre piange dall’Antartide balza nel cielo e appanna il firmamento col suo respiro di pece, comincia il tuo rito, Faust, cerca di farti ubbidire dai diavoli dopo tante preghiere e sacrifici.
In questo cerchio il nome di Geova anagrammato per dritto e rovescio i nomi abbreviati dei santi i simboli di ogni corpo celeste i segni e le stelle erranti che forzano gli spiriti ad apparire:
coraggio dunque, Faust, sii deciso, metti alla prova la tua arte.
(Tuono)
“Sint mihi Dei Acherontis propitii, valeat numen triplex Jehovae, Ignei, Aerii, Aquatici, Terreni, spiritus salvete: Orientis Princeps Lucifer, Belzebub inferni ardentis monarcha, et Demogorgon, propitiamus vos, ut appareat, et surgat Mephostophilis”.
(Dragone)
“Quid tu moraris; per Jehovam, Gehennam, et consecratam aquam quam nunc spargo; signumque crucis quod nunc facio; et per vota nostra ipse nunc surgat nobis dicatus Mephostophilis”.
(Entra un diavolo)
Ti ordino di sparire! Cambia aspetto, sei troppo brutto per servirmi.
Vattene e torna a immagine d’un vecchio frate minore.
Quella santa veste è la più adatta a un diavolo.
(Il diavolo esce)
Sono davvero potenti le mie parole celesti!
Chi non vorrebbe eccellere in quest’arte?
Com’è docile questo Mefistofele, com’e ubbidiente, com’è umile sotto il mio forte incanto.
Ormai, Faust, sei un mago laureato se dai ordini al grande Mefistofele.
“Quin redis Mephostophilis fratris imagine”.
(Entra Mefistofele)
MEFISTOFELE: Allora, Faust, cosa vuoi che faccia?
FAUST: Ti ordino di essere pronto, finché vivo, a fare tutto ciò che ti comando, anche a strappare la luna dalla sua sfera o subissare nell’oceano il mondo.
MEFISTOFELE: Io servo il grande Lucifero, non posso obbedirti senza il suo permesso.
E solo ciò che egli ordina ci è lecito.
FAUST: Ma non ti ha già ordinato di apparirmi?
MEFISTOFELE: No, sono qui per mia volontà.
FAUST: T’hanno chiamato i miei scongiuri, dunque.
MEFISTOFELE: Sono stati la causa, ma “per accidens”:
quando sentiamo qualcuno che strazia il nome di Dio e abiura le scritture e Cristo suo redentore, corriamo per averne l’anima gloriosa.
E non ci muoviamo se non usa mezzi che lo espongono al rischio di essere dannato:
perciò il modo più spiccio di fare il mago e rinnegare la trinità con coraggio e pregare il demonio con devozione.
FAUST: Ma io l’ho fatto ed ora credo in questo:
non c’è altro dio fuori di Belzebub, a lui dedico me stesso.
Quella parola dannata non mi fa paura, non distinguo l’inferno dall’eliso:
il mio spirito sia con gli antichi filosofi.
Ma lasciamo le chiacchiere sull’anima.
Dimmi, cos’è Lucifero, il tuo padrone?
MEFISTOFELE: Arcireggente e cupo di ogni spirito.
FAUST: Non fu un angelo, un tempo?
MEFISTOFELE: Sì, Dio lo amava moltissimo.
FAUST: Come mai allora è il principe dei diavoli?
MEFISTOFELE: Per superbia, ambizione e insolenza, per questo fu gettato giù dal cielo.
FAUST: E voi chi siete, soci di Lucifero?
MEFISTOFELE: Infelici caduti con Lucifero, ribelli a Dio con Lucifero e dannati per sempre con Lucifero.
FAUST: Dannati dove?
MEFISTOFELE: All’inferno.
FAUST: E come mai ne sei fuori?
MEFISTOFELE: Ma qui è inferno, non ne sono fuori.
Ho visto il volto del Signore e so cos’è il cielo. E tu credi che non mi tormentino diecimila inferni vedendomi tolta quell’estasi? Ah, Faust, non farmi queste domande meschine che subito mi angosciano e mi atterriscono.
FAUST: Come, il grande Mefistofele s’addolora perché gli hanno tolto il paradiso?
Impara da Faust a essere forte come un uomo e disprezza la felicità che hai perduta.
E ora torna da Lucifero e digli questo:
poiché Faust è incorso nella morte eterna per i suoi pensieri disperati contro Giove, digli che è pronto a cedergli l’anima se lo risparmia per ventiquattr’anni per fargli vivere tutte le voluttà e averti sempre al mio servizio per darmi tutto ciò che ti chiedo, per dirmi tutto ciò che ti domando, uccidere i miei nemici, aiutare i miei amici e obbedire sempre ai miei ordini.
Va’, torna dal potente Lucifero e vieni a mezzanotte nel mio studio a dirmi le sue decisioni.
MEFISTOFELE: D’accordo.
(Esce)
FAUST: Avessi tante anime quante sono le stelle, le darei tutte per Mefistofele.
Con lui sarò imperatore del mondo, lancerò un ponte sull’aria e passerò l’oceano col mio esercito, salderò i monti intorno al mare d’Africa, ne farò un continente con la Spagna e saranno entrambe vassalle del mio regno.
L imperatore vivrà per mia clemenza e così ogni potente in Germania.
Ora ho ciò che volevo, vivrò studiando la mia arte finché lui non torna.
(Escono [Faust, Lucifero e i diavoli])
SCENA QUARTA
(Entrano Wagner e [Robin] il clown)
WAGNER: Ehi, vieni qui, ragazzo.
ROBIN: Ragazzo? Mi vuoi insultare? Cristo! Ragazzo a te! Scommetto che ne hai visti altri di ragazzi con un becco simile.
WAGNER: Di’ un po’, hai qualche entrata?
ROBIN: Come no! E anche qualche uscita, si vede.
WAGNER: Ah, povero cristo, guarda la miseria che ride della sua nudità. Questo disgraziato lo conosco, è senza lavoro e tanto morto di fame che darebbe l’anima al diavolo per un coscio di montone crudo.
ROBIN: Un corno, lo voglio arrostito bene e col sugo, se devo pagarlo così caro.
WAGNER: Senti, vuoi venire al mio servizio? Ti tratto bene, come un “Qui mihi discipulus”.
ROBIN: Come sarebbe, in poesia?
WAGNER: No, ignorante, in broccato e cappuccio.
ROBIN: Fior cappuccio? E’ buono per i pidocchi. Allora se vengo sarò pidocchioso.
WAGNER: Per questo lo sarai in ogni caso, che tu venga o meno. Ma ora, minchione, se non t’impegni con me immediatamente per sette anni, tutti i pidocchi che hai indosso li faccio diventare diavoli per mangiarti vivo.
ROBIN: Allora vossignoria può risparmiarsi la fatica. Si pigliano già questa familiarità, poveri diavoli, giuro, come chi ha pagato zuppa e bevanda.
WAGNER: Basta con gli scherzi, pagliaccio, piglia questi fiorini.
ROBIN: Perdinci, subito, signore, e tante grazie, signore.
WAGNER: E adesso, con un’ora di preavviso, dovunque e in ogni momento il diavolo può venire a pigliarti.
ROBIN: Riecco i fiorini, non li voglio.
WAGNER: Ah no, ormai sei preso, preparati, tra un attimo faccio apparire due diavoli per portarti via. Banio, Belcher!
(Chiama) ROBIN: Becco? Venga Becco, che lo becco io. Non ho paura del diavolo.
(Entrano due diavoli)
WAGNER: Allora vieni o no?
ROBIN: Sì, sì, buon Wagner, manda via i diavolacci.
WAGNER: Spiriti, via! Tu, seguimi.
ROBIN: Subito, monsignore, ma sentite, monsignore, mi volete insegnare gli scongiuramenti?
WAGNER: Perché no, zuccone, t’insegnerò a trasformarti in un cane, un gatto, un topo, un ratto, insomma come vuoi.
ROBIN: Cane o gatto, topo o ratto? Viva Wagner!
WAGNER: Tanghero, chiamami signor Wagner. E bada a camminare con attenzione, con l’occhio destro sempre diametralmente fisso sul mio tacco sinistro per poter “quasi vestigiis nostris insistere”.
ROBIN: Vossignoria può contarci.
(Escono)
SCENA QUINTA
(Appare Faust nel suo studio)
FAUST: Ora, Faust, sei dannato, non puoi più salvarti.
Allora perché pensare a Dio, al paradiso?
Basta coi sogni, dispera, dispera in Dio, credi in Belzebub.
Ormai non tirarti indietro, no, sii deciso, perché esitare? Ah, questa voce all’orecchio, “Rinnega la magia, torna a Dio”.
E Faust tornerà a Dio.
A Dio? Ma Dio non ti ama.
Il dio che servi è il tuo desiderio e in esso è piantato l’amore del diavolo.
Gli costruirò un altare, una chiesa, gli offrirò sangue tiepido di neonati.
(Entrano i due angeli)
L’ANGELO CATTIVO: Avanti, Faust, in quest’arte gloriosa!
L’ANGELO BUONO: Buon Faust, lascia quell’arte infame.
FAUST: Contrizione, preghiera, pentimento, a che servono?
L’ANGELO BUONO: Servono a portarti in paradiso.
L’ANGELO CATTIVO: Storie! Sono illusioni, frutti di pazzia.
Chi più ne usa, lo fanno ammattire.
L’ANGELO BUONO: Faust, pensa al cielo e alle cose celesti.
L’ANGELO CATTIVO: No, pensa all’onore e alla ricchezza.
(Gli angeli escono)
FAUST: La ricchezza!
Certo, sarò signore di Embden!
Quando Mefistofele è con me, quale dio può farmi del male? Faust, sei al sicuro.
Non avere più dubbi. Mefistofele, vieni, dal grande Lucifero portami una buona novella.
Non è mezzanotte? Vieni Mefistofele, “Veni veni Mephostophilis”.
(Entra Mefistofele)
Dimmi, che dice il tuo signore Lucifero?
MEFISTOFELE: Posso stare con Faust finché vive se compra il mio servizio con l’anima.
FAUST: L’ho già perduta per averti.
MEFISTOFELE: Ma ora devi farne un lascito formale e scrivere il contratto col tuo sangue.
Lucifero vuole questa garanzia.
Se ti rifiuti dovrò tornare all’inferno.
FAUST: No, resta. Ma dimmi, che vantaggio porta la mia anima al tuo signore?
MEFISTOFELE: Ingrandisce il suo regno.
FAUST: E’ per questo che ci tenta?
MEFISTOFELE: “Solamen miseris socios habuiisse doloris”.
FAUST: Come, torturatori e torturati?
MEFISTOFELE: Sì, torturati come ogni anima umana.
Ma dimmi, Faust, avrò la tua anima?
Sarò tuo schiavo, ti servirò, ti darò più di quanto puoi chiedere.
FAUST: Sì, Mefistofele, è vostra.
MEFISTOFELE: Allora coraggio, tagliati sul braccio e impegna l’anima, affinché un dato giorno Lucifero possa esigerla come propria.
Poi sarai grande come Lucifero.
FAUST: Guarda, per amor tuo Faust si è ferito e col suo sangue dice che la sua anima è del signore della notte eterna.
Il sangue scende dal mio braccio.
Sia propizio al mio sogno.
MEFISTOFELE: Presto, scrivi la donazione.
FAUST: Sì, ma il sangue si raggruma, non riesco a scrivere.
MEFISTOFELE: Ti porto un fuoco che lo scioglie subito.
FAUST: Cosa vuol dire questo raggrumarsi del sangue? Non vuole che scriva questo patto?
Perché non scorre e mi lascia scrivere?
“Faust ti dà l’anima”: lì si è fermato.
E perché non dovrei, non è mia l’anima?
Avanti, riprova: Faust ti dà l’anima.
(Entra Mefistofele con un braciere).
MEFISTOFELE: Ecco il fuoco, Faust, accostati.
FAUST: Ora torna a scorrere. In un attimo avrò finito.
MEFISTOFELE (a parte): Cosa non farei per la sua anima!
FAUST: “Comsummatum est”. L’atto è compiuto, Faust ha ceduto l’anima a Lucifero.
Ma cos’è questo scritto sul mio braccio?
“Homo fuge”. Dove potrei fuggire?
Se verso Dio, mi getterà nell’inferno.
I sensi m’ingannano, non c’è scritto niente, ma sì, lo vedo chiaro, ecco, qui è scritto “Homo fuge”. Ma Faust non fuggirà.
MEFISTOFELE: Gli porterò qualcosa per distrarlo.
(Esce.
(Entrano diavoli che danno a Faust corone e vesti sontuose: danzano, escono. Rientra Mefistofele)
FAUST: Dimmi, cosa vuol dire tutto questo?
MEFISTOFELE: Niente! Un divertimento, anzi un esempio di ciò che un mago può fare.
FAUST: Potrò farli apparire quando voglio?
MEFISTOFELE: Sicuro, e fare cose assai più grandi.
FAUST: Allora prendi questa donazione:
anima e corpo. Ma a una condizione, che si rispetti ogni accordo, ogni dettaglio che abbiamo stipulato.
MEFISTOFELE: Te lo giuro sull’inferno.
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