Scòstati dal cerchio ti dico, o ti spedisco in locanda a culo in aria.

DICK: Come no! Piantala con queste boiate, che se arriva il padrone ti strega sul serio.

ROBIN: Il padrone strega me? Sta’ a sentire, se arriva il padrone gli sbatto in testa un paio di corna che non ne ha viste d’uguali.

DICK: Ti puoi risparmiare la fatica, ci ha pensato la padrona.

ROBIN: Giusto. E qualcuno qui ha inzuppato pane in pentola come altri, se volessero parlare.

DICK: Ti pigli un acciacco! Lo sapevo che non le scodinzolavi dietro per niente. Ma di’ un po’, per favore, proprio insinceramente, Robin, quello lì è sul serio un libro stregato?

ROBIN: Avanti, di’ cosa vuoi che ti faccio e te lo faccio. Vuoi ballare nudo? Levati gli stracci e ti incanto in un momento. Oppure, se non vuoi altro che venire all’osteria, ti darò vin bianco, rosso e rose, vinsecco, moscatello, malvasia e vin caldo, tutto a volontà e senza spendere un quattrino.

DICK: Caspita, andiamoci subito, sono secco come un cane.

ROBIN: Allora in marcia!

(Escono)

CORO 2

(Entra il Coro)

Per scoprire i segreti dell’Astronomia incisi da Giove nel libro del firmamento, Faust ha scalato la vetta dell’Olimpo.

Lassù prende posto su un cocchio abbagliante tirato da draghi dai colli poderosi e sale a vedere le nuvole, i pianeti, le stelle, i tropici, le zone e gli spazi che dividono il cielo, dall’orbita lucente della falce lunare fino all’altezza del “Primum Mobile”.

E rotando con questo nell’area concava dei poli i draghi sfrecciano da oriente a occidente e in otto giorni lo riportano in patria.

Ma egli non resta a lungo nella pace della casa a riposare le ossa dopo tante fatiche.

Nuove imprese lo spingono a uscire, e ora, montato su un drago dalle ali che fendono l’aria sottile, è andato a far esperienze di cosmografia, che misura i contorni e i regni della terra.

E anzitutto, immagino, scenderà a Roma per vedere il papa e i costumi della sua corte e prendere parte alla festa di san Pietro che si celebra oggi, con grande solennità.

(Esce)

SCENA OTTAVA

(Entrano Faust e Mefistofele)

FAUST: Mio gentile Mefistofele, ho ammirato molto la superba Treviri, cerchiata di monti ariosi, con mura di pietra e fossati profondi. Non c’è principe che potrebbe espugnarla. Da Parigi, seguendo i confini di Francia, abbiamo visto il Meno gettarsi nel Reno tra sponde fitte di bei vigneti, e la fertile Campania fino a Napoli, coi suoi palazzi stupendi e le strade dritte, ben lastricate, che dividono la città in quattro parti. E la tomba d’oro del saggio Marone, e la strada lunga un miglio che tagliò nella roccia in una sola notte. Di lì altre città, Padova, Venezia, con quella gran chiesa in mezzo che minaccia le stelle col campanile superbo, i muri coperti di pietruzze colorate e le volte di bei lavori d’oro. Così il mio tempo è volato via. Ma ora, a quale tappa siamo giunti? Mi hai condotto, come volevo, dentro le mura di Roma?

MEFISTOFELE: Proprio lì, Faust. Se ne vuoi la prova, ecco il gran palazzo del papa. Visto che siamo ospiti inconsueti, ti ho scelto per alloggio il suo appartamento.

FAUST: Spero che sua santità venga a darci il benvenuto.

MEFISTOFELE: Poco importa. Non per questo gli risparmieremo la cacciagione. Ma vorrei darti un’idea di ciò che a Roma sarà una gioia per i tuoi occhi. Sette colline reggono la città, nel mezzo scorre veloce il Tevere e le sponde sinuose tagliano in due l’abitato. Sulle rive s’appoggiano quattro maestosi ponti che danno accesso alle varie parti della città. E su uno di questi ponti, chiamato Ponte Angelo, c’è un castello che è una vera roccaforte, con tale massa di artiglieria, che i doppi cannoni d’ottone son come i giorni in tutto l’arco dell’anno. Anche le porte vanno viste, e l’alto obelisco che Giulio Cesare portò dall’Africa.

FAUST: Per tutti i regni dell’inferno, per lo Stige, l’Acheronte, il lago di fuoco e le fiamme eterne del Flegetonte! Muoio dalla voglia di vedere questa Roma meravigliosa! Andiamo!

MEFISTOFELE: Un momento, vorrai prima vedere il pontefice, e prendere parte alla festa che si svolge oggi in Italia per celebrare la sua vittoria.

FAUST: Grazie, amico mio. Finché resto sulla terra, saziami di tutto ciò che può deliziare un uomo. I miei ventiquattr’anni di libertà voglio passarli a godere e a divertirmi. Sinché vivo, voglio che il nome di Faust sia famoso anche nelle terre più lontane.

MEFISTOFELE: Ben detto, Faust. Stammi vicino e tra un momento vedrai arrivare il corteo.

FAUST: Aspetta, vorrei chiederti un favore. In otto giorni abbiamo visto cielo, terra e inferno, e i draghi volavano così alti che il mondo laggiù lo vedevo grande come questa mano. Ho visto i regni della terra e tutto ciò di cui l’occhio può godere. Ora ti prego, fammi entrare da attore in questo spettacolo, e quel papa superbo vedrà cosa Faust sa combinare.

MEFISTOFELE: D’accordo. Goditi il corteo mentre ci passa davanti, poi inventa ciò che vuoi per dar fastidio al papa, rovinagli la festa con la tua arte, i monaci e gli abati falli diventare scimmie o pagliacci che fan le fiche alla sua tiara, sbatti i rosari sulle zucche dei frati e affibbia corna mostruose ai crani dei cardinali. Qualsiasi canagliata inventi, ti aiuto a realizzarla. Attento, arrivano. Oggi diventerai famoso in tutta Roma.

(Entrano i cardinali e i vescovi, alcuni coi pastorali, altri con le mazze, e preti e monaci che cantano litanie.