I sette pianeti, la notte, l’inferno, i capelli forcuti delle furie, il fuoco blu di Plutone e la forca di Ecate ti coprano d’ombra magica, sparisca il tuo corpo. Faust, con tutta la loro santità ora puoi fare ciò che vuoi, non ti vedrà nessuno.

FAUST: Grazie, Mefistofele. E ora badate, fratoni, che Faust non vi salassi le zucche spennate!

MEFISTOFELE: Zitto, arrivano i cardinali.

(Entrano il papa e il suo seguito. Entrano i cardinali con un libro)

IL PAPA: Signori cardinali, bentornati! Sedete. Sedete, sire Raimondo.

Frati, servite pure. E che tutto sia fatto come s’addice a questa solennità.

PRIMO CARDINALE: Vostra santità voglia anzitutto prendere atto di ciò che il sinodo ha deciso riguardo a Bruno e all’imperatore.

IL PAPA: Ma perché mai? Non vi dissi che domani saremo al concistoro per fissare la punizione? Ci avete appena comunicato la decisione del sinodo: Bruno e quel dannato imperatore vanno condannati come lollardi e scismatici. Perché dovrei rileggere la sentenza?

PRIMO CARDINALE: Ma, vostra grazia, non se n’è ancora parlato!

RAIMONDO: Non lo negate, siamo tutti testimoni che poco fa vi fu consegnato Bruno e anche la sua ricca tiara, da mettere al sicuro nel tesoro della Chiesa.

DUE CARDINALI: Ma per san Paolo, non li abbiamo visti!

IL PAPA: Per san Pietro, morirete se non li riconsegnate immediatamente! Gettateli in galera, caricateli di catene! Falsi prelati, per questo odioso tradimento le vostre anime patiranno le pene dell’inferno.

(Escono i due cardinali tra le guardie)

FAUST: Eccoli sistemati. E ora alla festa! Il papa non ebbe mai un ospite così allegro.

IL PAPA: Signor arcivescovo di Reims, sedete qui accanto.

L’ARCIVESCOVO: Ringrazio vostra santità.

FAUST: Mangia, ti strozzi il diavolo se ne lasci.

IL PAPA: Chi ha parlato? Frati, occhio all’intorno! Sire Raimondo, vi prego, servitevi, devo al vescovo di Milano questo raro dono.

FAUST: Grazie, mio sire!

(Glielo porta via)

IL PAPA: Ma che succede, chi mi porta via il piatto? Canaglie, perché non parlate? Mio buon arcivescovo, ecco un piatto prelibato mandatomi da un cardinale francese.

FAUST: Piglio anche questo.

(Glielo porta via)

IL PAPA: Che razza di lollardi ho attorno, che debbo sopportare questi insulti? Servitemi del vino.

FAUST: Sì, per favore, ho sete.

IL PAPA: Sire Raimondo, brindo a vostra grazia.

FAUST: E io brindo alla vostra.

(Glielo porta via)

Il PAPA: Anche il vino è sparito! Buoni a nulla, cercate attorno, trovate chi m’offende, o per la nostra santità morirete tutti. Vi prego, signori, scusate questi contrattempi. L’ARCIVESCOVO: Se vostra santità mi permette, io penso che si tratti di qualche anima fuggita dal purgatorio che viene da vostra santità a chiedere indulgenza.

IL PAPA: Ah, può essere. Allora ordinate ai preti che cantino l’ufficio dei defunti, calmerà la furia di questo spirito inquieto.

(Si fa il segno della croce)

FAUST: Ma come, ogni boccone insaporito da una croce? Beccati questo.

(Gli da un ceffone)

IL PAPA: Ah. mi si uccide! Aiuto, portatemi via, e maledetta in eterno l’anima che m’ha fatto questo!

(Escono il papa e il seguito)

MEFISTOFELE: E ora che farai? Certo sarai scomunicato col libro, il cero e la campana.

FAUST: Il cero, il libro e la campana; la campana, il libro e il cero!

Per dritto e rovescio mi si spedirà all’inferno!

(Entrano i frati con la campana, il libro e il cero per cantare la litania)

PRIMO FRATE: Venite fratelli, procediamo con verace devozione.

“Maledetto chi rubò il cibo dalla tavola di sua santità.

‘Maledicat Dominus’.

Maledetto chi diede un ceffone a sua santità.

‘Maledicat Dominus’.

(Faust picchia un frate)

Maledetto chi diede una botta sulla zucca a frate Sandelo.

‘Maledicat Dominus’.

Maledetto chi disturba il nostro santo uffizio.

‘Maledicat Dominus’.

Maledetto chi rubò il vino a sua santità.

‘Maledicat Dominus’.

‘Et omnes sancti. Amen’.

(Picchiano i frati, gettano mortaretti nel mucchio ed escono tutti)

SCENA DECIMA

(Entrano [Robin] il clown e Dick con una tazza)

DICK: Robin, per la miseria, vedi se il tuo diavolo può accollarsi il furto di questa tazza, abbiamo lo sguattero alle calcagna.

ROBIN: Fallo venire, non ti eccitare. Se ci vien dietro, parola mia, lo strego come mai fu stregato in vita sua. Fa’ vedere la tazza.

(Entra l’oste)

DICK: Eccolo! Datti da fare, Robin, o siamo fritti.

OSTE: Siete qua? Son contento di avervi trovati. Un bel paio di compari! Se non vi scomoda, dov’è la tazza che avete rubato alla taverna?

ROBIN: Come, come? Noi, rubare una tazza? Bada bene a come parli non abbiamo la faccia di rubatazze, ci puoi contare.

OSTE: Inutile negarlo, so che l’avete addosso e vi voglio frugare.

ROBIN: Mi vuoi frugare? Fai pure, senza complimenti! Acchiappa la tazza, Dick. Avanti, avanti, fruga, fruga pure.

OSTE: Sotto l’altro, ora.

DICK: Certo, certo, fruga, fruga anche me. Acchiappa la tazza, Robin.

Non fa mica paura la tua frugata. Ce ne freghiamo delle tue tazze, sta’ sicuro.

OSTE: Ehi, non fate gli spacconi con me! Sono certo, la tazza è tra voi due.

ROBIN: No, qua ti sbagli, è dietro noialtri due.

OSTE: Vi pigli la peste, furfanti, lo sapevo che eravate stati voi.

Tiratela fuori!

ROBIN: Ma sentilo! E quando? Diccelo! Dick, fammi un cerchio e stammi stretto alle costole, non ti muovere, per la tua pelle. Oste, avrai subito la tua tazza. Non parlare, Dick. “O per se o lemogorgon”, Belcher e Mefistofele.

(Entra Mefistofele [e l’oste scappa via])

MEFISTOFELE: O per tutti gli eserciti infernali, che fastidio gli incanti dei buffoni!

M’è toccato venire da Costantinopoli solo per il capriccio di due coglioni.

ROBIN: Per la madosca, dev’essere un viaggio massacrante! Vossignoria accetta un coscio di castrato per cena e un po’ di grana per la scarsella? Poi è libero di tornarsene.

DICK: Sissignore, la prego, vossignoria, l’abbiamo chiamata solo per burla, gliel’assicuro.

MEFISTOFELE: Per punire la vostra sfacciataggine, te anzitutto ti faccio diventare un essere schifoso. Visto che fai la scimmia, sarai una scimmia.

ROBIN: Che bellezza, una scimmia! Vi prego, monsignore, datemi il permesso di portarlo in giro a fare giochetti.

MEFISTOFELE: Lo farai, ma per portarlo addosso ti cambio in cane. Via, sparite!

ROBIN: Un cane? Magnifico! Stiano attente le sguattere alle minestre, che mi caccio subito in cucina. Qua, Dick, qua!

(Escono)

MEFISTOFELE: E ora mi faccio ali con le fiamme del fuoco eterno e torno a volo da Faust alla corte del Gran Turco.

(Esce)

CORO 3

(Entra il Coro)

Dopo aver visto le cose più strane e le corti dei re, Faust fermò il suo andare e tornò a casa, e chi lo aspettava con ansia, dico i suoi amici, i più intimi, lo riaccolsero festosi e, ascoltandolo raccontare viaggi per la terra e l’aria gli posero domande d’astrologia, cui rispose con tanta sapienza da sbalordirli. Ormai la sua fama ha raggiunto ogni terra e tra gli altri l’imperatore Carlo Quinto.

Ora Faust è festeggiato a corte, tra i baroni.

Quali prove da qui della sua arte non lo dico: lo vedrete coi vostri occhi.

(Esce)

SCENA UNDICESIMA

(Entrano da parti diverse Martino e Frederick)

MARTINO: Presto, ufficiali, signori, tutti alla sala delle udienze per scortare l’imperatore! Buon Frederick, fai sgombrare subito le stanze arriva sua maestà. Andate, e che il trono sia pronto.

FREDERICK: Ma dov’è il nostro papa Bruno, che venne a volo da Roma in groppa a una furia? Sua santità non accompagna l’imperatore?

MARTINO: Certo, e con lui c’è lo stregone tedesco, il dottor Faust, gloria di Wittenberg e meraviglia del mondo intero. Egli vuol mostrare al grande Carlo la serie dei suoi valorosi predecessori e fargli apparire davanti le ombre eroiche di Alessandro e della sua bella amante. FREDERICK: Dov’è Benvolio?

MARTINO: Dorme saporitamente, immagino. Ieri sera s’è sborniato trincando boccali di vino del Reno, ha brindato a Bruno con tanto fervore che resterà a letto tutto il giorno, quella marmotta.

FREDERICK Ma guarda, la sua finestra è aperta, chiamiamolo.

MARTINO: Benvolio, sveglia!

(Appare Benvolio alla finestra, in berretta da notte, abbottonandosi i panni)

BENVOLIO: Che diavolo volete?

MARTINO: Parla piano vecchio mio, che il diavolo non ti senta.