Quando poi gli intendenti, perché uno fa, ad esempio, una vera poesia su un gregge di pecore, pronunziano che quel vero poeta è un arcade; e perché un altro, in una vera poesia, ingrandisce straordinariamente una parvenza, proclamano che quell’altro vero poeta pecca di secentismo; ecco gl’intendenti scioccheggiano e pedanteggiano nello stesso tempo. Qualunque soggetto può essere contemplato, dagli occhi profondi del fanciullo interiore: qualunque tenue cosa può a quelli occhi parere grandissima.
Voi dovete soltanto giudicare (se avete questa mania di giudicare) se furono quelli occhi che videro; e lasciar da parte secento e Arcadia. La poesia non si evolve e involve, non cresce o diminuisce; è una luce o un fuoco che è sempre quella luce e quel fuoco: i quali, quando appariscono, illuminano e scaldano ora come una volta, e in quel modo stesso.
Solamente s’ha a dire che raramente appariscono. Sì: la poesia, detta e scritta, è rara. Proprio rara la poesia pura. Ma c’è la poesia “applicata”.
La poesia “applicata” è dei grandi poemi, dei grandi drammi, dei grandi romanzi. Ora molto ci corre che questi siano tutta poesia. Immaginate che siano un gran mare, ognuno. Nel mare sono le perle; ma quante? Ben poche; però in quale più, in quale meno. Occorre anche dire che in essi poemi, drammi, romanzi, la poesia pura di rado si trova pura. Faccio un esempio.
Una di queste perle, nel grande oceano perlifero che è la divina Comedia, diremo la campana della sera:
Era già l’ora che volge il disio
ai naviganti, e intenerisce il core
lo dì ch’han detto ai dolci amici addio;
e che lo nuovo peregrin d’amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si muore.
Giovanni Pascoli
In questa rappresentazione, che di più poetiche non se ne può trovare (Dante ci rappresenta l’ora in cui ridiveniamo per un momento fanciulli!), il tocco più poetico è l’ultimo. È l’ultimo; sebbene la squilla lontana che piange il giorno che muore, sia di quei tocchi che noi verseggiatori abbiamo fatti tornare a noia, a forza di ripeterli. E così quel suono di squilla può essere stinto e fioco per alcuno, assordato da tanti doppi. Ma tant’è. Orbene: il poeta ha dovuto mettere, per la necessità dell’arte, un pochino di lega nel suo oro puro. Quale? Quel “paia”. L’ha dovuto mettere, perché egli racconta un sentimento poetico altrui, sebbene anche di sé. E
allora ha detto che la squilla pare piangere, non piange veramente. A un tratto il fanciullo (qui un poco, e molto altrove, molto presso altri), il fanciullo a mezza via si riscuote, e par che si vergogni d’essere fanciullo e di parlar fanciullesco, e si corregge. “Pare, non è, intendiamoci”. Ma caro bimbo, lo sapevamo da noi, che la campana non piange, ma par che pianga: anche però il giorno par che muoia, e non muore (29).
XIII.
La poesia benefica di per sé, la poesia che di per sé ci fa meglio amare la patria, la famiglia, l’umanità, è, dunque, la poesia pura, la quale di rado si trova. In Italia poi, che è la mia patria (non la tua, o fanciullo: tu sei del mondo, non sei d’ora ma di sempre), in Italia è più rara che altrove. Invero non mai da noi fu amata la poesia elementare e spontanea.
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