E

fece poesia, senza pensare ad altro, senza darsi arie di consigliatore, di ammonitore, di profeta del buono e del mal augurio: cantò, per cantare. E

io non so misurare qual fosse l’effetto del suo canto; ma grande fu certo, se dura sino ad oggidì, vibrando con dolcezza nelle nostre anime irrequiete.

O rimatori di frasi tribunizie, o verseggiatori di teoriche sociali, che escludete dall’ora presente ogni poesia che non sia la vostra, vale a dire, escludete la POESIA, ditemi: Era o non era al suo posto, nel secolo d’Augusto, il cantore delle Georgiche? Sì, non è vero? Egli insegnava ad amare la vita in cui non fosse lo spettacolo né doloroso della miseria né invidioso della ricchezza: egli voleva abolire la lotta tra le classi e la guerra tra i popoli. Che volete voi, o poeti socialisti, che dite cose tanto diverse e le dite tanto diversamente da lui?

IX.

Dei due fraterni poeti Augustei (ché non si può parlare di Virgilio senza soggiungere Orazio) voi direte che fu la filosofia che li addusse a quella ragione sana e pia di considerare la società e la vita. E no: fu il Giovanni Pascoli

fanciullino che li portò per mano, dicendo: Vi dirò io dove è nel tempo stesso la poesia e la virtù. Fu il fanciullino che, se mai, fece che trascegliessero tra le opinioni dei filosofi quelle che confermavano il loro sentimento.

Considerate.Catone e Varrone scrissero di agricoltura prima di Virgilio.

Erano uomini di molto giudizio e sapere, essi. Per esempio, Catone, suggerendo al pater familias che cosa deve dire e fare, quando si reca alla villa, conclude: “Venda l’olio, se si vende bene; il vino, il frumento che avanzi, lo venda. I buoi incaschiti, le fattrici non più buone, così le pecore, la lana, le pelli, un barroccio vecchio, ferramenti vecchi, uno schiavo attempato, uno schiavo ammalazzito, e altra roba che ci sia di troppo, la venda. Un padre di famiglia deve tirare a vendere, non a comprare” (10) . Quegli schiavi, tra la ferraglia vecchia e l’altra roba d’avanzo, a noi fanno un certo senso; eppure era naturale che si nominassero a quel punto. Varrone in fatti riferisce questa elegante distinzione delle cose con le quali si coltivano i campi: “Altri le dividono in tre generi: strumento vocale, semivocale e muto; vocale in cui sono gli schiavi, semivocale in cui sono i bovi, muto in cui sono i carri” (11) . È naturale, s’intende, che Virgilio scrivendo di proposito sull’agricoltura, in versi bensì ma non a fantasia, in versi ma dopo aver studiato l’argomento anche sui libri degli altri, parlasse a ogni momento, oltre che dei plaustri e dei bovi, di quello strumento precipuo della coltivazione che erano gli schiavi. Noi, per esempio, dobbiamo aspettarci che come insegna quale profenda dare, erbe in fiore e biada, al polledro da razza (12) , e ai manzi in tanto che si domano, non sola erba a frasche di salcio e paleo di palude, ma anche piantine di grano appena nato (13); così ammaestri il buon massaio sul pane e companatico, vino e vestimenta, da fornirsi alla familia.

Parlando di olive, è certo che egli penserà al pulmentarium familiae.

Catone, gran maestro, dice pure (14): “Indolcisci quanto più puoi, di olive caschereccie. Quindi le olive anche buone, da cui non possa uscire che poco olio, indolciscile: e fanne grande risparmio, perché durino il più possibile. Quando le olive saranno mangiate, dà allec e aceto” . Tornava bene, mi pare, discorrere di codeste olive da riporre per gli schiavi, e così anche dei vestimenti; ché poteva cadere in taglio, a proposito della lana, fare per esempio un’osservazione di tal genere: “quando a uno schiavo dài una tunica o un pastrano nuovo, prima ritira il vecchio, per farne casacche a toppe (centones)” . Insomma queste e simili provvidenze erano buone a mettersi in bei versi con quel tanto garbo del poeta che sa parlare con solennità e gravità di umili cose.

Oh! Sì! Non ci sono schiavi per Virgilio. Nei suoi poemi non c’è mai nemmeno la parola servus; c’è serva due volte, e a proposito di altri tempi e di altri costumi (15) : tempi e costumi in cui il poeta vede bensì i re serviti da molti schiavi; eppur chiama questi famuli e ministri non servi (16) . Ma i suoi campi, quelli che esso insegnava a coltivare, quelli che arava e seminava con i suoi dolci versi, quelli non hanno gente incatenata e compedita. Il poeta che nella prima delle ecloghe pastorali mette sé in persona d’uno schiavo liberato, ha proclamato nelle compagne italiche quella parola che con tanta enfasi suona dalla sua bocca di Titiro: LIBERTAS (17) . Gli agricoli di Virgilio né sono schiavi né mercenari. Essi sono di quelli di cui parla Varrone (18) , che coltivano la terra da sé, come tanti possidentucci con la loro figliolanza. Questi ha in mente Giovanni Pascoli

Virgilio, quando esclama che sarebbero tanto felici, se conoscessero la loro felicità, con tanta pace, con tanto fruttato, tra tanto bello, senza il rodio o della miseria o della soverchianza altrui, lavorando alla sua stagione, godendosi la famiglia in casa e le care feste fuori (19) . Di gente che lavori per altri, nemmeno una traccia.