“Come sono contenta di vederla” mi disse.
“Non mi sono mossa da casa tutto il pomeriggio.”
La fissai trasecolato e senza proferire parola trassi di tasca il suo fazzoletto e glielo mostrai. “Lady Alroy questo fazzoletto le è caduto di Oscar Wilde
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1887 - Il Fantasma Di Canterville
borsetta oggi pomeriggio in Cumnor Street” dissi infine con molta calma.
Ella mi guardò terrorizzata, ma non fece alcun tentativo per togliermi il fazzoletto di mano. “Mi dica, che cosa faceva in Cumnor Street?” incalzai.
“Che diritto ha lei di farmi queste domande?” mi rispose. “Il diritto di un uomo che l’ama” replicai. “Ero venuto qui oggi per chiederle di essere mia moglie.” Per tutta risposta, si nascose il volto tra le mani e scoppiò in un torrente di lagrime. “Deve confessarmi la verità proseguii. Allora si alzò e fissandomi dritto in faccia mi disse: “Lord Murcraison, io non ho nulla da confessare”. “Lei si è recata a un appuntamento galante” gridai “è questo il suo mistero.” La giovane divenne mortalmente pallida e replicò: “Non mi sono recata a nessun appuntamento”. “Non può dunque confessarmi la verità?” esclamai. “L’ho detta.” Era pazzo, frenetico: non so quello che dissi: certo dovetti dirle delle cose terribili. Finalmente fuggii da casa sua correndo come un forsennato. Il giorno seguente ella mi scrisse una lettera, gliela rimandai senza aprirla e
partii l’indomani per la Norvegia insieme ad Alan Corville. In capo a un mese tornai, e la prima cosa chi lessi sul
«Morning Post» fu l’annuncio di morte of lady Alroy.
Aveva preso un colpo d’aria all’Opera ed era morta in cinque giorni di congestione polmonare. Mi chiusi in casa e non volli vedere nessuno: l’avevo amata tanto, oh, quanto l’avevo amata! Dio mio! Ero stato pazzo di quella donna!»
«Sei più tornato a quella strada, a quella casa?» domandai.
«Sì… Un giorno mi recai nella Cumnor Street; non potevo più resistere: ero torturato dal dubbio. Bussai alla porta, e una donna dall’apparenza più che rispettabile mi venne ad aprire. Le chiesi se aveva stanze da affittare.
“Ecco, signore,” mi rispose “a dire la verità i due salottini sarebbero affittati, ma siccome sono tre mesi che non vedo più la signora, e la pigione non è più stata pagata, penso che potrei benissimo affittarli a lei, se le servono.” “È questa la signora?” chiesi mostrandole la fotografia di lady Alroy. “Proprio lei” rispose la donna. “E quando crede che tornerà, signore?” “È morta.” “Oh, no signore, non mi dica questo, non è possibile.
Era la mia migliore inquilina, mi pagava tre ghinee la settimana unicamente per starsene ogni tanto seduta nei due salottini.” “Si incontrava con qualcuno, qui da lei?” chiesi. La donna mi assicurò che no, che veniva sempre lì tutta sola, senza mai vedervi nessuno. “Ma che diamine faceva, qua?” gridai. “Niente, gliel’ho detto, signore: se ne stava seduta in una poltrona, quieta quieta, ogni tanto leggeva qualche libro, e di quando in Oscar Wilde
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quando prendeva il tè.” Così mi disse la donna, e io non seppi che cosa replicare: le diedi una sovrana e me ne andai Ora, secondo te, che significato ha tutta questa storia? Non penserai certo che l’affittacamere mi abbia detto la verità!»
«Sì, invece.»
«Ma allora perché lady Alroy si recava a quei convegni misteriosi?»
«Mio caro Gerald, lady Alroy era semplicemente una donna che aveva la mania del mistero. Aveva preso in affitto quelle stanze per il piacere di recarsi a un appuntamento immaginario, velata, e fantasticando di essere un’eroina da romanzo. Aveva la passione del segreti, ma non era ella stessa che una piccola sfinge senza segreti.»
«Credi proprio che sia così?»
«Ne sono sicuro.»
Il mio amico trasse di tasca l’astuccio di marocchino, lo aperse, guardò il ritratto.
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