Sfuggì loro che s’era trattato del primo, fallito tentativo dell’adolescente lasciato a se stesso di dispiegare le proprie energie interiori.
Ora Törless si sentiva assai malcontento e brancolava inutilmente alla ricerca di qualcosa di nuovo a cui potersi appoggiare.
Un episodio di questo periodo diede un chiaro segno dell’evoluzione che andava allora maturando in Törless.
Un giorno era entrato nell’istituto il giovane principe H., appartenente a una delle casate più influenti, antiche e conservatrici dell’impero.
Tutti gli altri trovavano insulsi e affettati i suoi occhi miti, e del modo in cui stando in piedi sporgeva l’anca e parlando giocherellava adagio con le dita si beffavano come di pose effeminate. Soprattutto però ridevano del fatto che non l’avessero accompagnato in collegio i suoi genitori ma colui che era stato fino a quel momento il suo precettore, un dottore in teologia appartenente a un ordine religioso. Törless invece aveva riportato sin dal primo momento una profonda impressione. Forse ciò era dovuto anche al fatto che si trattava di un principe ammesso a corte: comunque aveva conosciuto grazie a lui un tipo umano diverso.
Sembrava che in qualche modo quello si portasse ancora addosso il silenzio di un antico castello di campagna e di pratiche devote. Quando camminava lo faceva con movimenti garbati e flessuosi, con quel modo schivo di contrarsi e farsi piccolo che viene dall’abitudine di attraversare eretti una fuga di sale deserte, in cui gli altri han l’aria di urtare contro invisibili spigoli dello spazio vuoto.
Così la dimestichezza col principe divenne per Törless fonte di un sottile piacere psicologico. Essa avviò in lui quel tipo di conoscenza degli uomini che insegna a riconoscere e a gustare un altro in modo che di lui si coglie subito la personalità spirituale dal tono di voce, da come prende in mano qualcosa, addirittura dal timbro dei suoi silenzi e da ciò che esprimono le pose con cui il suo corpo s’adatta a un ambiente: insomma da quel mutevole, quasi impalpabile e tuttavia vero e completo modo di essere un’individualità umana e spirituale che avvolge il nocciolo, la parte tangibile e descrivibile, come se questa fosse un semplice scheletro.
In quel breve periodo Törless visse come in un idillio. Non si sentiva urtato dalla religiosità del suo nuovo amico, che a lui, proveniente da una famiglia borghese di tradizioni laiche, per la verità era del tutto estranea; l’accettò invece senza riserve, anzi essa rappresentava ai suoi occhi uno speciale pregio del principe poiché ne potenziava la personalità, che lui sentiva diversa dalla sua al punto che ogni paragone riusciva impossibile.
In compagnia di quel principe si sentiva un po’ come in una cappella lontana dalla strada, per cui il pensiero di non essere precisamente al suo posto là dentro scompariva di fronte al piacere di contemplare per una volta la luce del giorno attraverso le vetrate di una chiesa e di far scorrere l’occhio sugli inutili ori ammassati nell’anima dell’amico, col risultato di avere di questa, alla fine, un’immagine confusa, quasi avesse seguito con la punta delle dita, senza riuscire a capirlo, un arabesco bello ma disegnato secondo leggi strane.
Poi tra i due venne di colpo la rottura.
Per una sciocchezza, come Törless dovette confessare in seguito a se stesso.
Una volta infatti finirono con lo scontrarsi su questioni religiose. E in quello stesso momento fu finita tra loro. Di colpo l’intelletto di Törless, come indipendente da lui, si scagliò con impeto irresistibile contro il fragile principe. Lo sommerse sotto gli scherni del razionalista, distrusse con la foga di un barbaro l’edificio di filigrana che avvolgeva la sua anima, e i due si separarono in collera.
Da quel giorno non si scambiarono più una parola. Törless era oscuramente consapevole d’aver agito in modo insensato, e una vaga intuizione del sentimento gli diceva che il rigido metro dell’intelletto aveva distrutto nel momento meno opportuno una cosa gentile e squisita. Ma ciò non era minimamente in suo potere. Gli era rimasta dentro, e per sempre, una specie di nostalgia per quel che c’era stato, ma ormai lui sembrava esser finito in un’altra corrente, che lo trascinò sempre più lontano di là.
E del resto il principe, che non s’era trovato bene nel convitto, dopo qualche tempo se n’andò.
Ora intorno a Törless non c’era che vuoto e noia. Ma lui frattanto era cresciuto, e i primi segni della pubertà cominciavano a manifestarsi oscuramente in lui. In questo periodo della sua formazione strinse alcune nuove amicizie consone ad essa, le quali più tardi divennero per lui di estrema importanza: ad esempio con Beineberg e con Reiting, con Moté e con Hofmeier, appunto quei giovani assieme a cui oggi accompagnava i suoi genitori alla stazione.
Erano, cosa strana, proprio i peggiori della sua classe, ragazzi senz’altro dotati e, si capisce, di buona famiglia, ma talvolta violenti e grossolani fino alla brutalità. E il fatto che proprio la loro compagnia attirasse ora Törless era certo dovuto alla sua personale mancanza d’autonomia spirituale, assai forte da quando era avvenuto il suo distacco dal principe. Si trattava anzi, in questo caso, di una diretta continuazione di quel mutamento di rotta, poiché anche qui si esprimeva un timore di eccessivi sentimentalismi, dai quali la natura degli altri compagni era aliena per salute, vigoria e vitalità.
Törless si abbandonò completamente alla loro influenza, giacché ora la sua condizione spirituale era all’incirca questa: alla sua età, al liceo, si sono letti Goethe, Schiller, Shakespeare, forse già addirittura i moderni, e tutto questo, assimilato solo a metà, torna a travasarsi dalla punta delle dita nella penna. Nascono tragedie romane, oppure liriche gonfie di sentimento che incedono avvolte in pagine fitte di punteggiatura come in un manto di merletto; cose ridicole in sé, ma d’inestimabile importanza per un sicuro sviluppo spirituale, giacché queste associazioni provenienti dall’esterno e questi sentimenti presi a prestito aiutano i giovani a superare il terreno psicologico pericolosamente molle degli anni in cui si deve contare qualcosa di fronte a se stessi e tuttavia si è ancora troppo immaturi per contare qualcosa sul serio. Poco importa che nell’uno restino poi tracce di tutto questo e nell’altro no: più avanti ciascuno s’aggiusta con se stesso, e il pericolo è limitato all’età del trapasso. Se in essa si potesse far capire a uno di questi adolescenti il ridicolo della sua persona, sotto di lui si aprirebbe una voragine, oppure egli precipiterebbe come un sonnambulo che, destato all’improvviso, non vede che il vuoto.
Quest’illusione, quest’artificio che favorisce lo sviluppo interiore mancava nell’istituto. Nella sua biblioteca, certo, i classici erano presenti, però passavano per noiosi, e oltre ad essi non c’erano che novelle sentimentali e insulsi racconti umoristici di vita militare.
Il piccolo Törless, nella sua avidità di libri, aveva letto tutto quanto, e alcune impressioni banalmente soavi assorbite da questa o quella storia a volte esercitavano, per un po’, un certo effetto su di lui; ma ciò non giungeva ad avere una vera e propria influenza sulla sua personalità.
Di personalità, allora, sembrava non averne affatto.
Ogni tanto, per esempio, scriveva a sua volta, sotto l’impressione di quelle letture, un breve racconto, oppure cominciava la composizione di un poema epico romantico. E allora, nell’emozione che provava per le pene d’amore dei suoi eroi, gli si arrossavano le guance, il polso accelerava i battiti e gli occhi gli brillavano.
Ma come posava la penna, tutto era passato: in certo qual modo, solo nel movimento il suo spirito viveva. Perciò era pure in grado di scrivere quando volesse, seguendo qualunque stimolo, una poesia o un racconto. Nel farlo si emozionava, eppure non prendeva mai la cosa davvero sul serio, e quell’attività non gli appariva importante. Niente passava da essa nella sua persona, né essa scaturiva da questa. Lui provava soltanto, per qualche impulso esterno, delle sensazioni che si staccavano dal solito stato d’indifferenza, così come un attore ha bisogno per questo della costrizione di una parte.
Erano reazioni cerebrali. Ma ciò che sentiamo come anima o carattere, linea o timbro musicale di una persona, e comunque ciò che al proprio confronto fa apparire poco sintomatici, casuali e intercambiabili i pensieri, le decisioni e gli atti, ciò che per esempio aveva legato, al di là di ogni giudizio intellettuale, Törless al principe, questo estremo e immobile sfondo a quel tempo in Törless s’era perso del tutto.
Nei suoi compagni c’era il piacere degli sport, la vitalità animale a non far loro sentire affatto il bisogno di tutto questo, così come al liceo vi provvedono i primi cimenti letterari. Ma Törless aveva un temperamento troppo intellettuale per i primi, e ai secondi opponeva quell’acuta sensibilità per il ridicolo di simili sentimenti posticci che nasceva dalla vita di collegio e dalla necessità, là dentro, di essere sempre pronti all’alterco e alla zuffa. Così derivò alla sua personalità un che d’indefinito, un intimo smarrimento che non gli permetteva di trovare se stesso.
Si legò ai suoi nuovi amici perché la loro sfrenatezza lo soggiogava. E poiché era ambizioso, di tanto in tanto cercava persino di superarli.
1 comment