Non v’era più alcuna simpatia né alcuna intimità.  Fix in realtà non aveva cambiato affatto il suo modo di fare, Passepartout si manteneva   invece  in  un  estremo  riserbo,   pronto  a  tentare  di strangolare l’ex-amico al primo dubbio che avesse avuto su di lui.  Un’ora dopo la partenza del treno, cominciò a cadere la neve, una neve fine che,  davvero fortunatamente,  non poteva ritardare la marcia del convoglio.  Attraverso i finestrini si poteva scorgere solo un’immensa cappa bianca, a confronto della quale il vapore della locomotiva,  che si  lanciava  in  grandi  volute  verso  il cielo,  sembrava diventato grigiastro.

Alle otto,  entrò nel vagone uno “steward” che annunciò ai viaggiatori che  era  suonata  l’ora  di  andare  a riposare.  Quel vagone era uno «sleeping-car» che in pochi minuti venne  trasformato  in  dormitorio.  Gli schienali dei sedili vennero ripiegati,  dei lettini accuratamente impacchettati vennero  tirati  fuori  con  un  ingegnoso  sistema,  in qualche   istante   vennero   improvvisate   delle  cabine  e  ciascun viaggiatore ebbe ben presto a sua disposizione un  letto  confortevole che  spessi  tendaggi  difendevano  da  ogni  sguardo  indiscreto.  Le lenzuola erano candide e i guanciali molto morbidi.  Restava una  sola cosa  da fare: mettersi a letto e addormentarsi,  e fu quello che fece ciascuno,  come se si fosse trovato nella confortevole  cabina  di  un piroscafo,  mentre il treno correva a tutto vapore attraverso lo Stato della California.

In questa porzione del territorio che si estende tra San  Francisco  e Sacramento,  il terreno è poco accidentato. Questa tratta ferroviaria, che ha il nome di «Central Pacific Road» prendeva anzitutto Sacramento come punto di partenza e s’avanzava  verso  est  per  incrociarsi  con quella  che  veniva  da  Omaha.  Da  San Francisco alla capitale della California,  la linea correva direttamente in direzione  di  nord-est, costeggiando  l’American River,  che si getta nella baia di San Pablo.  Le centoventi miglia comprese tra queste due importanti città  vennero superate  in sei ore,  e verso mezzanotte,  mentre i viaggiatori erano immersi nel loro primo sonno,  il treno superò  Sacramento.  Essi  non videro  perciò  nulla  di  questa  città  considerevole,   sede  della legislatura dello Stato della California,  né i suoi bei moli,    le sue  ampie  strade    i  suoi splendidi hôtels,  né le sue “squares” (piazze), né i suoi templi.

Uscendo da Sacramento,  il treno,  dopo avere superato le stazioni  di Junction,  di Roclin,  di Auburn e di Colfax,  s’incuneò nel massiccio della Sierra Nevada.  Erano le sette  del  mattino,  quando  il  treno attraversò  la  stazione di Cisco.  Un’ora più tardi il dormitorio era ridiventato un vagone normale e  i  viaggiatori  potevano  intravedere attraverso i vetri il pittoresco panorama di quel paese montagnoso. Il tracciato del treno obbediva ai capricci della Sierra,  qui sui ripidi pendii montagnosi e là sospeso al di  sopra  dei  precipizi,  evitando angoli  troppo  acuti con delle audaci curvature,  lanciandosi in gole strettissime che  pareva  fossero  prive  di  sbocco.  La  locomotiva, sfavillante  come un reliquiario,  con quel grande fanale che lanciava dei lampi fulvi,  la campanella d’argento,  il «cacciavacche»  che  si protendeva  in  avanti  come uno sperone,  mescolava i suoi sbuffi e i suoi muggiti a quelli dei torrenti e delle cascate, e mescolava il suo fumo al nero intreccio dei rami degli abeti.  Sul percorso ci s’imbatteva in pochissimi tunnel  e  ponti.  La  linea ferroviaria  aggirava  il  fianco  delle montagne,  non cercando nella linea diritta il tragitto più breve tra un  punto  e  l’altro,  e  non facendo violenza alla natura.

Verso le nove, attraverso la valle di Carson, il treno penetrava nello Stato  del Nevada,  proseguendo sempre la sua corsa in direzione nord-est. A mezzogiorno,  lasciava Reno,  dove i viaggiatori si arrestarono una ventina di minuti per mangiare.

Da quel punto in poi,  la ferrovia,  costeggiando l’Humboldt River, si diresse per alcune miglia verso nord,  seguendo questo corso  d’acqua.  Poi  piegò  verso est,  e non doveva più perdere di vista questo corso d’acqua  prima  di  aver  raggiunto  gli  Humboldt  Ranges,   che   ne costituiscono  la sorgente,  quasi all’estremità orientale dello Stato del Nevada.

Dopo aver mangiato, il signor Fogg,  la signora Auda e i loro compagni di viaggio ripresero posto nel vagone. Phileas Fogg, la giovane donna, Fix  e Passepartout,  comodamente seduti,  ammiravano il paesaggio che scorreva dinanzi ai  loro  occhi:  vaste  praterie,  montagne  che  si profilavano  all’orizzonte,  “creeks”  che  facevano  rotolare le loro acque spumeggianti.  Talvolta un  grande  gregge  di  bisonti  che  si ammassava  all’orizzonte  dava  l’idea  di  una  diga  mobile.  Questi innumerevoli  eserciti  di  ruminanti  oppongono  spesso  un  ostacolo insormontabile  al  passaggio  dei treni.  E’ stato possibile scorgere migliaia di questi animali sfilare per  ore,  a  ranghi  strettissimi, attraverso  il  binario.  In  questo caso la locomotiva è costretta ad arrestarsi e attendere che la strada sia ridiventata libera.  Fu proprio questo che avvenne per i nostri viaggiatori.  Verso le  tre del pomeriggio, la ferrovia si trovò sbarrata da una mandria di almeno dieci-dodicimila capi.  La locomotiva, dopo avere ridotto la velocità, tentò di  incuneare  il  suo  sperone  nel  fianco  dell’interminabile colonna, ma dovette arrendersi di fronte all’impenetrabilità di quella massa.

Si   vedevano   quei  ruminanti  -  quei  bufali,   come  li  chiamano impropriamente gli Americani - procedere col loro passo  tranquillo  e lanciando  di  tanto  in  tanto  dei  terribili  muggiti.  Avevano una corporatura superiore a quella dei tori  europei,  con  zampe  e  coda piuttosto  corte,  il  garrese  ascendente  che  formava  una gobba di muscoli, le corna divaricate alla base, la testa, il collo e le spalle coperte da una criniera dal lungo pelo.  Quando i bisonti hanno scelto una  direzione,  nulla  potrebbe    ostacolare né modificare la loro marcia.  E’ un torrente di carne vivente che nessuna diga  sarebbe  in grado di contenere.

I  viaggiatori,  dispersi  sui  passatoi,  ammiravano  questo  curioso spettacolo.  Tuttavia proprio colui che avrebbe dovuto essere  il  più preoccupato di tutti,  Phileas Fogg,  se n’era rimasto al suo posto ed attendeva con calma filosofica che fosse piaciuto ai bufali liberargli il passaggio.  Passepartout era furioso per il ritardo che gli causava questo ammasso di animali.  Avrebbe voluto scaricare contro di loro il suo arsenale di revolver.

Che razza di paese!  - gridò.  - Dei semplici buoi che arrestano dei treni  e  che  se ne vanno a ritmo processionale,  senza proprio darsi pensiero del fatto che stanno ostacolando la  circolazione!  Perbacco!  Vorrei  proprio  sapere  se  il  signor  Fogg  avesse  previsto questo contrattempo nel suo programma! E quel macchinista che non è capace di lanciare la sua locomotiva attraverso questo bestiame ingombrante!  Il macchinista non aveva tentato affatto di rovesciare  l’ostacolo,  e aveva  agito  con  prudenza.  Con  lo sperone della locomotiva avrebbe certamente fatto un macello dei bufali più vicini;  ma,  pur con tutta la  sua forza d’urto,  la locomotiva sarebbe stata fermata ben presto, ci sarebbe stato inevitabilmente un  deragliamento  e  così  il  treno sarebbe rimasto bloccato.

La  cosa  migliore  era perciò di attendere con pazienza,  salvo poi a riguadagnare il tempo perduto con una accelerazione della  marcia  del treno.  La sfilata dei bisonti durò ben tre ore, e la strada ridivenne libera solo mentre stava ormai calando la notte.  Solo  a  quel  punto attraversavano  le  rotaie  le  retroguardie  della  mandria,  le  cui avanguardie sparivano laggiù, all’orizzonte meridionale.  Erano dunque le otto,  quando il treno superava i passi degli Humboldt Ranges,  e  le nove e mezzo quando penetrava nel territorio dell’Utah, la regione del grande Lago Salato, il curioso paese dei Mormoni.

 

NOTE.

NOTA 1:«Dall’Oceano all’Oceano».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

27.

PASSEPARTOUT SEGUE,  ALLA VELOCITA’ DI VENTI MIGLIA ALL’ORA,  UN CORSO DI STORIA MORMONE.

Durante la notte dal 5 al 6 dicembre, il treno corse verso sud-est per una  cinquantina  di miglia;  poi risalì di altrettante verso il nord-est, avvicinandosi al grande Lago Salato.  Verso le nove del mattino,  Passepartout andò a prendere un po’ d’aria sui  passatoi.  Il  tempo  era  freddo,  il  cielo era grigio,  ma non nevicava più. Il disco del sole, reso più ampio dalla bruma,  appariva come un’enorme moneta d’oro,  e Passepartout si divertiva a calcolarne il valore in lire sterline,  quando fu distratto da questo  utilissimo lavoro dalla comparsa di un personaggio piuttosto strano.  Questo individuo,  che era salito sul treno alla stazione di Elko, era un uomo dalla corporatura robusta, molto scuro in faccia,  con un paio di  mustacchi  neri,  pantaloni neri,  cravatta immacolata,  guanti di pelle di cane. Lo si sarebbe detto un pastore.  Andava da un’estremità all’altra del treno incollando sulla portiera di ogni vagone con della cera per sigilli un foglio di carta scritto a mano.  Passepartout  si  accostò e lesse su uno di quei fogli che l’onorevole “elder” (anziano) William Hitch,  missionario  mormone,  approfittando della  sua  presenza sul treno numero 48,  dalle undici a mezzogiorno, avrebbe tenuto nella vettura 117 una conferenza sul mormonismo  a  cui erano invitati tutti i gentiluomini preoccupati di istruirsi su quanto riguardava i misteri della religione dei «Santi degli ultimi giorni».  «Certo  che ci vado!»,  disse tra sé Passepartout,  che del mormonismo conosceva  unicamente  le  usanze  poligamiche,   base  della  società mormone.

La  notizia  si  diffuse  rapidamente  nel  treno  che  trasportava un centinaio   di   passeggeri.   Una   trentina   di   essi,   allettati dall’attrattiva della conferenza,  alle undici occupavano le panchette della  vettura  numero  117.   Tra  i  primi   nella   fila   figurava Passepartout,  mentre    il  suo  padrone né Fix avevano ritenuto di doversi disturbare.

All’ora stabilita,  l’”elder” William Hitch si alzò in piedi e con una voce  piuttosto  irritata,  come  se  lo avessero appena contraddetto, dichiarò:

Io vi dichiaro,  sì,  che Joe Smyth è un martire,  che suo  fratello Hyram  è  un  martire,  e  che le persecuzioni del Governo dell’Unione contro i profeti stanno per fare un martire anche  di  Brigham  Young!  Chi di voi oserebbe sostenere il contrario?  Nessuno  si  azzardò a contraddire il missionario,  la cui esaltazione contrastava con la sua fisionomia calma per natura. Ma senza dubbio la sua collera trovava una spiegazione nel fatto che il mormonismo veniva attualmente sottoposto a una prova molto severa. In realtà, il Governo degli Stati Uniti era riuscito appena allora,  e non senza  fatica,  a sottomettere quei fanatici indipendenti. Si era impadronito dell’Utah, e  l’aveva sottoposto alle leggi dell’Unione,  dopo avere imprigionato Brigham Young, accusato di ribellione e di poligamia.  Da quel momento in  poi,  i discepoli del profeta avevano raddoppiato i loro sforzi e, mentre ne attendevano gli atti, resistevano con la parola alle pretese del Congresso.

Come si vede,  l’”elder” William Hitch faceva del proselitismo persino sul treno.

Allora,  egli si mise a raccontare,  variando la narrazione con scoppi di voce e la violenza dei gesti,  la storia del mormonismo  a  partire dall’epoca biblica: «Come,  in Israele, un profeta mormone della tribù di Giuseppe pubblicò gli annali della nuova religione e li  lasciò  in eredità  a  suo  figlio  Morom;  come,  molti  secoli  più tardi,  una traduzione di questo prezioso libro,  scritto in  caratteri  egiziani, venne  fatta  da Joseph Smyth junior,  colono nello Stato del Vermont, che si  rivelò  come  profeta  mistico  nel  1825;  come,  infine,  un messaggero  celeste gli apparve in una foresta luminosa e gli consegnò gli annali del Signore».

A  quel  punto,   alcuni  uditori,   poco  interessati  dal   racconto retrospettivo  del  missionario,  abbandonarono il vagone;  ma William Hitch, proseguendo, raccontò «come Smyth junior, riunendo suo padre, i suoi due fratelli e alcuni discepoli  fondò  la  religione  dei  Santi degli ultimi giorni, religione che, adottata non solamente in America, ma  in  Inghilterra,  in  Scandinavia,  in Germania,  conta tra i suoi fedeli degli  artigiani  e  anche  un  certo  numero  di  persone  che esercitano  professioni  liberali;  come una colonia sia stata fondata nell’Ohio;  come un tempio  sia  stato  edificato  con  una  spesa  di duecentomila  dollari e una città sia stata costruita a Kirland;  come Smyth divenne un coraggioso  banchiere  e  ricevette  da  un  semplice presentatore  di  mummie  un  papiro contenente un racconto scritto di pugno da Abramo e da altri celebri egiziani».  Poiché questa narrazione diventava un po’ troppo lunga, i ranghi degli uditori si assottigliarono ulteriormente,  e il pubblico  rimasto  era costituito di appena una ventina di persone.  Tuttavia l’”elder”,  senza inquietarsi di questa diserzione,  raccontò con ricchezza di particolari «come fu che Joe  Smyth  fece  bancarotta nel  1837;  come  fu  che  i  suoi azionisti rovinati lo spalmarono di catrame e lo fecero rotolare sulle piume;  come fu che lo  si  ritrovò più onorabile e più onorato che mai,  alcuni anni dopo a Independance, nel Missouri,  alla testa di una fiorente comunità costituita  da  non meno  di tremila discepoli,  e che allora,  perseguitato dall’odio dei gentili, era dovuto fuggire nel Far West americano».  Appena dieci ascoltatori erano ancora là, e tra di essi vi era il buon Passepartout,  che ascoltava con le orecchie tese.  Fu così  che  egli apprese «come, dopo lunghe persecuzioni, Smyth riapparve nell’Illinois e  nel  1839 sulle rive del Mississippi fondò Nauvoo-la-Belle,  la cui popolazione crebbe fino a venticinquemila anime; come Smyth ne divenne il sindaco, il giudice supremo e il generale in capo; come,  nel 1843, egli pose la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, e come infine,  attirato  in  un’imboscata  a  Cartagine,  venne  gettato  in prigione e assassinato da una banda di uomini mascherati».  A questo punto Passepartout era  rimasto  assolutamente  da  solo  nel vagone  e  l’”elder”,  mirandolo in faccia e affascinandolo con le sue parole,  gli ricordò che due anni dopo l’assassinio di Smyth,  il  suo successore,  il  profeta ispirato Brigham Young,  abbandonando Nauvoo, era venuto a stabilirsi sulle rive del Lago Salato e che là,  su  quel meraviglioso territorio,  nel mezzo di quella fertile contrada,  sulla rotta degli emigranti  che  attraversavano  lo  Utah  per  recarsi  in California,  la  nuova  colonia,  grazie  ai  principi  poligamici del mormonismo, aveva preso uno sviluppo enorme.

Ecco,  - aggiunse William  Hitch,  -  ecco  perché  la  gelosia  del Congresso  si  è  eccitata  contro  di  noi!  ecco  perché  i  soldati dell’Unione hanno calpestato il suolo dello  Utah!  perché  il  nostro capo,  il  profeta Brigham Young,  è stato imprigionato con spregio di qualsiasi forma di giustizia! Cederemo noi alla forza?  Mai!  Cacciati dal Vermont,  cacciati dall’Illinois, cacciati dall’Ohio, cacciati dal Missouri,   cacciati  dallo  Utah,   noi  ritroveremo  ancora  qualche territorio indipendente dove pianteremo la nostra tenda...  E voi, mio fedele,  - aggiunse l’”elder” fissando sguardi corruschi sul suo unico uditore,  pianterete  voi  la  vostra  tenda  all’ombra  della  nostra bandiera?

No - rispose coraggiosamente Passepartout,  che  scappò  via  a  sua volta, lasciando quell’energumeno a predicare nel deserto.  Durante  tutta  questa conferenza,  però,  il treno aveva marciato con rapidità e  verso  mezzogiorno  e  mezzo  arrivava  alla  punta  nord-occidentale   del  grande  Lago  Salato.   Da  quel  punto  si  poteva abbracciare su un vasto perimetro l’aspetto di  questo  mare  interno, che  porta  pure il nome di Mar Morto e nel quale si getta un Giordano d’America.  Lago ammirevole,  inquadrato da belle  rocce  selvagge,  a larghi strati, incrostate di sale bianco, superbo specchio d’acqua che in altri tempi copriva uno spazio ben maggiore;  ma con il passare del tempo le sue rive,  crescendo a poco  a  poco,  ne  hanno  ridotto  la superficie, accrescendone tuttavia la profondità.  Il  Lago Salato,  lungo circa settanta miglia e largo trentacinque,  è situato a tremilaottocento piedi al di sopra  del  livello  del  mare.  Molto  diversamente  dal  lago  Asphaltite,  la cui depressione misura milleduecento piedi al di sotto, la sua salsedine è considerevole e le sue acque mantengono in soluzione il quarto del loro peso  di  materia solida.  Il  loro  peso specifico è di 1170,  mentre quello dell’acqua distillata è di 1000. I pesci perciò non ci possono vivere. Quelli che vi vengono gettati dal Giordano, dal Weber e da altri corsi d’acqua vi muoiono molto presto;  non è vero però che le  sue  acque  siano  così dense da poter sostenere un uomo.

Intorno  al  lago,  la  campagna  è  mirabilmente coltivata,  poiché i Mormoni se ne intendono di lavori agricoli: ci sono  dei  “ranchos”  e dei “corrals” per gli animali domestici,  dei campi di grano, di mais, di sorgo (o saggina),  praterie lussureggianti,  da ogni parte vi sono siepi  di rosai selvatici,  dei cespugli di acacia e di euforbia: tale sarebbe stato il panorama sei mesi più tardi,  ma in quel  momento  il suolo era sparito sotto una sottile coperta di neve che lo impolverava leggermente.

Alle  due,  i viaggiatori scendevano alla stazione di Ogden.  Il treno sarebbe ripartito solo alle sei e perciò il signor  Fogg,  la  signora Auda e i loro due compagni avevano il tempo per recarsi alla Città dei Santi mediante la breve diramazione che partiva appunto da Ogden.  Due ore  sarebbero   state   sufficienti   per   visitare   quella   città caratteristicamente americana e, in quanto tale, costruita sul modello di  tutte  le città dell’Unione,  vaste scacchiere dalle lunghe fredde linee che provocano «la lugubre tristezza  degli  angoli  retti»,  per dirla  con Victor Hugo.  Il fondatore della Città dei Santi non poteva sfuggire  a  quel  bisogno  di  simmetria  che  contraddistingue   gli Anglosassoni.  In  questo singolare paese,  in cui gli uomini non sono certamente all’altezza delle  istituzioni,  tutto  si  fa  «ad  angoli retti»: le città, le case e anche le stupidaggini.  Alle  tre,  i  viaggiatori  passeggiavano dunque nelle vie della città costruita tra la riva del Giordano e le prime  ondulazioni  dei  monti Wahsatch.  Non notarono alcuna chiesa o quasi, ma osservarono come dei monumenti la casa del profeta, la Cort-house e l’arsenale; poi,  delle case   costruite   in  laterizio  bluastro  con  verande  e  gallerie, circondate da giardini e attorniate da acacie,  palmizi e carrubi.  La città  era  cinta  da  un muro di argilla e pietre edificato nel 1853.  Nella via principale,  in  cui  si  teneva  il  mercato,  erano  stati costruiti  alcuni  alberghi  ornati da padiglioni,  e tra gli altri la Salt-Lake-House.

Il signor Fogg e i suoi compagni non ebbero l’impressione che la città fosse densamente popolata. Le strade erano quasi deserte, eccetto però nel quartiere  del  Tempio,  che  essi  raggiunsero  solo  dopo  avere attraversato  parecchie  zone circondate da palizzate.  Le donne erano abbastanza numerose,  e la cosa  è  comprensibile  se  si  pensa  alla singolare  composizione  delle  famiglie mormoni.  Non bisogna credere tuttavia che i Mormoni siano tutti poligami.  Si è liberi,  ma è  bene ricordare   che   sono  particolarmente  le  cittadine  dello  Utah  a desiderare di essere sposate, perché,  secondo la religione del paese, il  cielo  mormone non ammette come beneficiarie delle sue beatitudini le donne nubili.

Queste povere creature non sembrano né facilitate né  felici.  Alcune, le  più  ricche  senza  dubbio,  portavano una giacchetta di seta nera aperta alla vita,  sotto un cappuccio o uno scialle molto modesto.  Le altre erano vestite semplicemente di tela indiana.  Passepartout  da  parte sua,  nella sua qualità di bravo ragazzo,  non guardava senza un certo disagio tutte quelle donne mormoni  incaricate di  fare  in  molte  la  felicità  di  un  solo uomo mormone.  Nel suo buonsenso,  era il marito che  egli  soprattutto  compiangeva.  A  lui pareva  terribile  dover  guidare  tante  donne  insieme attraverso le vicissitudini della vita, e condurle in tal modo tutte insieme fino al paradiso  mormone,   con  quella  prospettiva  di   ritrovarvele   per l’eternità  in  compagnia  del  glorioso Smyth,  che doveva costituire l’ornamento di quel luogo  di  delizie.  Decisamente  non  si  sentiva questa vocazione e riteneva - ma in questo forse si sbagliava - che le cittadine  di  Great-Lake-City  gettassero  sulla  sua  persona  degli sguardi un po’ inquietanti.

Era una vera fortuna che il suo soggiorno nella Città dei Santi non si dovesse protrarre  a  lungo.  Alle  quattro  meno  qualche  minuto,  i viaggiatori si ritrovavano alla stazione e riprendevano posto nei loro vagoni.

Si  sentì  un  colpo  di fischietto;  ma proprio nel momento in cui le ruote motrici della locomotiva, slittando sulle rotaie, cominciavano a imprimere al treno un po’  di  moto,  si  sentirono  echeggiare  delle grida: - Fermi! Fermi!

Non si può fermare un treno in marcia. Il gentiluomo che lanciava quel grido  era  evidentemente  un  mormone  rimasto  attardato.  Correva a perdifiato.  Fortunatamente per lui la stazione non aveva né porte  né barriere.   Si  lanciò  perciò  sulla  via,  saltò  sulla  piattaforma dell’ultima vettura e si lasciò cadere senza fiato  su  una  panchetta del vagone.

Passepartout,  che  aveva  seguito  con  trepidazione gli incidenti di questa ginnastica,  si avvicinò per osservare questo ritardatario  per il  quale  ebbe un interesse ancora maggiore quando venne a sapere che questo cittadino dell’Utah era scappato in quella maniera  precipitosa dopo una scenata in famiglia.

Quando  il  mormone  ebbe  ripreso  fiato,  Passepartout  si azzardò a domandargli educatamente quante donne avesse, lui da solo - e dal modo con cui era appena fuggito precipitosamente Passepartout  pensava  che ne avesse almeno una ventina.

Una,  signore!  - rispose il mormone levando le braccia al cielo.  - Una, e ce n’è abbastanza!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

28.

PASSEPARTOUT NON RIESCE A FAR INTENDERE IL LINGUAGGIO DELLA RAGIONE.

Il treno,  dopo avere lasciato il Great-Salt-Lake  e  la  stazione  di Ogden,  si  diresse  per  un’ora verso il nord,  fino al fiume Weber e aveva compiuto così novecento miglia da  quando  era  partito  da  San Francisco.  Da  quel  punto in poi riprese a marciare in direzione est attraverso l’accidentato massiccio dei monti  Wahsatch.  E’  stato  in questa  parte  di territorio,  compreso tra questi monti e le Montagne Rocciose propriamente dette che  gli  ingegneri  ferroviari  americani hanno  dovuto  affrontare  le  difficoltà più serie.  Perciò su questo percorso  il  contributo  del  Governo  dell’Unione  si  è  elevato  a quarantottomila dollari per mille, mentre sul terreno pianeggiante era stato di sedicimila dollari soltanto;  gli ingegneri d’altronde, com’è già stato ricordato,  non hanno  fatto  violenza  alla  natura,  hanno giocato con essa, aggirando le difficoltà, e per raggiungere il grande bacino,  su  tutto  il  percorso della ferrovia è stato bucato un solo tunnel, lungo millequattrocento piedi.

Era proprio intorno al Lago Salato che il tracciato aveva  toccato  la sua  maggiore  altitudine.  A partire da questo punto,  il suo profilo descriveva una curva molto larga che si abbassava verso la vallata del Bitter Creek per risalire poi al punto di spartiacque tra  l’Atlantico e il Pacifico. I ruscelli erano numerosi in questa regione montagnosa.  Fu  necessario superare con dei ponticelli il Muddy,  il Green e altri ruscelli ancora. Passepartout era divenuto più impaziente man mano che ci si avvicinava alla conclusione.  Quanto a Fix,  egli avrebbe voluto essere  addirittura  già  uscito  da questa difficile contrada.  Aveva paura dei ritardi,  temeva gli incidenti ed era più preoccupato  dello stesso Phileas Fogg di rimetter piede sul territorio inglese!  Alle  dieci  della  sera,  il  treno  si arrestò alla stazione di Fort Bridger,  che lasciò quasi subito per entrare,  una ventina di  miglia più avanti, nello Stato dello Wyoming, l’antico Dakota, seguendo tutta la  vallata  del  Bitter Creek,  da cui scendono in parte le acque che costituiscono il sistema idrografico del Colorado.  L’indomani,  7 dicembre,  ci fu una fermata di un  quarto  d’ora  alla stazione  di Green River.  La neve era caduta in abbondanza durante la notte,  ma essendo mescolata con la pioggia,  si era sciolta in  buona parte  e  non  poteva ostacolare la marcia del treno.  Tuttavia questo brutto  tempo  non  lasciò  senza  inquietudine  Passepartout,  perché l’accumularsi  della neve,  impantanando le ruote dei vagoni,  avrebbe certamente finito col compromettere il viaggio.  «Che bizzarra idea ha avuto il mio padrone»,  si diceva perciò tra sé, «di  mettersi  in  viaggio durante l’inverno!  Non poteva attendere la bella stagione per aumentare le sue possibilità?».  Ma in quel momento in cui il  bravo  giovanotto  si  preoccupava  solo dello  stato  del  cielo  e  dell’abbassamento  della temperatura,  la signora Auda provava dei timori ben più gravi  e  che  provenivano  da tutt’altra causa.

Infatti, alcuni viaggiatori erano scesi dal vagone e passeggiavano sul marciapiede  della  stazione  di  Green  River  in attesa che il treno ripartisse.  Ebbene,  attraverso  i  vetri,  la  giovane  donna  aveva riconosciuto  tra  questi viaggiatori il colonnello Stamp W.  Proctor, quell’americano che si  era  comportato  con  tanta  grossolanità  con Phileas  Fogg durante il “meeting” di San Francisco.  La signora Auda, non volendosi far scorgere, si era prontamente tirata indietro.  Questa circostanza però aveva profondamente impressionato la  giovane.  Ella si era attaccata a quell’uomo che,  pur con tanta freddezza, ogni giorno le dava dimostrazione della sua più  assoluta  dedizione.  Ella non  comprendeva  affatto,  senza  dubbio,  tutta  la  profondità  del sentimento che le ispirava il suo salvatore,  e  a  questo  sentimento ella attribuiva ancora il nome di riconoscenza, ma, a sua insaputa, vi era già più di questo.

Perciò  il  suo  cuore  si  sentì  stringere,  quando  ella  riconobbe quell’individuo grossolano al quale  il  signor  Fogg  avrebbe  voluto presto  o  tardi chiedere conto della sua condotta.  Evidentemente era stato unicamente  il  caso  a  condurre  su  quel  medesimo  treno  il colonnello  Proctor,  ma  infine  egli  vi  era e bisognava impedire a qualsiasi costo che Phileas Fogg s’imbattesse nel suo avversario.  Appena il treno si fu rimesso in movimento, la signora Auda approfittò di un momento in cui il signor Fogg si era assopito per mettere Fix  e Passepartout al corrente della situazione.

Quel  Proctor  è  sul  nostro  treno?  -  esclamò  Fix.  -  Ebbene, rassicuratevi, signora; quest’individuo, prima di avere a che fare con il signore... con Mister Fogg,  avrà a che fare con me!  Mi sembra del resto  che  in  tutto  questo  incidente  sia stato ancora io ad avere subito i più gravi insulti!

E inoltre,  - aggiunse Passepartout,  - m’incarico volentieri io  di lui, per colonnello che egli sia!

Ma  signor Fix,  - replicò la signora Auda,  - Sir Phileas Fogg non lascerà ad alcuno la cura di vendicarlo,  vi pare?  Egli è gentiluomo, come  ha detto,  da ritornare apposta in America per rintracciare quel provocatore.  Se vede il  colonnello  qui  sul  treno,  nessuno  potrà scongiurare un duello.  Ciò che ad ogni costo quindi dobbiamo fare,  è di impedire che i due s’incontrino.

Avete ragione, signora Auda. Un duello in questo momento rovinerebbe tutto.  Vincitore o vinto,  il signor Fogg sarebbe posto  in  ritardo, e...

E  quei  suoi  cari  colleghi  del Club avrebbero partita vinta!  - terminò Passepartout.  - Ah no,  miei signori!  Io  vi  dico  che  fra quattro  giorni  dobbiamo  essere  a New York: e ci saremo.  Basta che durante questo tempo il signor Fogg non lasci il suo vagone,  e si può sperare  che  il  caso  non  lo  metta  a  faccia  a  faccia  con quel disgraziatissimo Proctor, che il cielo lo confonda! Ora,  per impedire l’inconveniente, sapremo ben noi fare tutto il possibile.  La   conversazione   fu  interrotta  poiché  il  signor  Fogg  si  era risvegliato.  Ma più tardi Passepartout,  fattosi seguire  da  Fix  in corridoio, dove nessuno poteva udirli, gli disse a bruciapelo:

Vi battereste davvero per lui?

Farei  di  tutto  per ricondurlo vivo in Inghilterra!  - rispose il “detective”, con fermo accento che rivelava una volontà implacabile.  Passepartout si sentì un brivido correre per le vene;  e fu lì lì  per scagliarsi addosso a Fix. Ma seppe trattenersi.

In questo momento,  - disse calmo,  - ciò che s’impone è di bloccare il signor  Fogg  nello  scompartimento  per  impedire  ogni  possibile incontro  fra  il  colonnello e lui.  Aiutateci anche voi a trovare un mezzo.

Oh, la cosa non sarà difficile!  - disse Fix;  - il vostro padrone è di indole poco irrequieta,  poco curiosa. Posso dirvi, anzi, che credo di avere un mezzo infallibile per trattenerlo.

E sarebbe?

Ora lo vedrete.

Di lì a poco,  rientrato nello scompartimento e sedutosi in faccia  al “gentleman”, Fix prese a dire:

Come  sono  lente,  vero,  signor  Fogg,  le  ore che si passano in ferrovia?

Infatti  -  rispose  con  brevità  l’interpellato.   -  Ma  passano anch’esse.

Se non sbaglio - ripigliò Fix,  - a bordo dei piroscafi voi avevate l’abitudine di fare la vostra partita a “whist”.

Sì. Ma qui sarebbe impossibile: non ci sono né carte né compagni.

Oh,  se  è  solamente  per  questo,  le  carte  troveremo  certo  da comprarle:  si vende di tutto sui treni americani.  Quanto ai compagni se la signora Auda sapesse...

Certamente, signore! - rispose con vivacità la giovane signora. - Io conosco il “whist”: ciò fa parte dell’educazione inglese.

Benone,  allora!  - applaudì Fix.  - Anch’io ho  qualche  pretesa  a codesto gioco. Perciò si potrebbe giocare in tre, col «morto».

Come  vi  piace - accondiscese Phileas Fogg,  lietissimo di tornare anche in ferrovia, al suo passatempo preferito.  Passepartout si  precipitò  alla  ricerca  dello  “steward”  per  fare acquisto del materiale occorrente;  e tornò di lì a poco con due mazzi di carte,  marche,  gettoni e una tavoletta coperta di panno.  Non  ci mancava nulla.

Il  gioco  cominciò  mentre  il treno,  nella chiara luce del mattino, superava il nevoso Passo Bridger,  uno dei punti più alti  in  cui  la ferrovia attraversa la barriera delle Montagne Rocciose.  Dopo avere percorso circa duecento miglia,  i viaggiatori si trovavano infine su quelle vaste pianure che si estendono fino  all’Atlantico  e che   la  natura  rendeva  tanto  propizie  all’installazione  di  una ferrovia.

Sul  versante  del  bacino  atlantico  si  sviluppavano  già  i  primi ruscelli,  affluenti  o  sub-affluenti  del North Platte River.  Tutto l’orizzonte a nord e ad est era coperto da quell’immensa cortina semi-circolare che  costituisce  la  porzione  settentrionale  delle  Rocky Mountains,  dominata  dal picco di Laramie.  Tra questa curvatura e la ferrovia  si   estendevano   delle   vaste   pianure   abbondantemente innaffiate.  Sulla  destra  della  “rail-road” si stagliavano le prime rampe del massiccio montagnoso che si  arrotondava  a  sud  fino  alle sorgenti  del  fiume  dell’Arkansas,  uno  dei  grandi  tributari  del Missouri.

A mezzogiorno e mezzo,  i viaggiatori intravidero per  un  istante  il Forte  Halleck,  che  controlla questa regione.  Ancora poche ore e si sarebbe concluso il passaggio del treno  attraverso  questa  difficile regione.  La neve aveva cessato di cadere.  Il tempo tendeva al freddo secco.  Dei grossi uccelli,  spaventati  dalla  locomotiva,  fuggivano precipitosamente. Sulla piana non faceva la sua comparsa alcuna bestia selvatica,  orso  o  lupo che fosse.  Era il deserto nella sua immensa nudità.

Dopo un pasto molto confortevole,  servito nel vagone  stesso,  Mister Fogg  e  i  suoi compagni avevano appena ripreso il loro interminabile “whist” quando risuonarono dei violenti colpi di fischietto.  Il treno s’arrestò.

Passepartout  cacciò  subito la testa fuori dello sportello e non vide nulla  che  motivasse  quell’arresto.   Non  c’era  in  vista  nessuna stazione.

La  signora Auda e Fix poterono credere per un istante che Mister Fogg pensasse di scendere sulla strada.  Ma il “gentleman” si accontentò di dire al suo domestico:

Scendete a vedere.

Il servo si slanciò fuori del vagone.

Numerosi  viaggiatori  erano  scesi  prima  di  lui,  e  fra  essi  il colonnello Stamp W. Proctor.

Il treno era giunto ad un  disco  girato  al  rosso:  segnale  di  via chiusa.  Conducente  e  fuochista stavano discutendo con un cantoniere che dalla vicina stazione di Medicine Bow era stato  spedito  incontro al  convoglio.  Radunati  intorno  a  quel  gruppetto,  i  viaggiatori interloquivano con vivacità.  Uno dei più vivaci,  con il  suo  sonoro timbro  di voce e con i suoi gesti imperiosi era proprio il colonnello Proctor.

Passepartout s’avvicinò anch’egli, e udì il conducente che diceva:

Non c’è mezzo di passare.  Il ponte di Medicine  Bow  è  in  cattive condizioni e non sopporterebbe il peso del treno.  Il  ponte  di  cui si trattava era un ponte sospeso,  gettato sopra le rapide del fiume Medicine, a un miglio dal luogo dove il convoglio era stato fermato.  Al dire del cantoniere,  quel ponte minacciava rovina: parecchi cavi erano spezzati. Impossibile rischiare il passaggio.  Il  cantoniere  perciò  non  esagerava  affatto  affermando che non si poteva passare.  E d’altronde,  se si tiene conto della spensieratezza degli  Americani,  si  può  dire  che  quando  essi decidono di essere prudenti, sarebbe davvero una pazzia non fare altrettanto.  Passepartout,  non osando portare una simile notizia al  suo  padrone, ascoltava a denti stretti, immobile come una statua.

Il colonnello Proctor, ad un certo punto, gridò:

Oh, non staremo qui a piantar radici sulla neve, immagino!

Si  calmi,  colonnello  - rispose il povero conducente.  - E’ stato telegrafato alla stazione di Omaha per chiedere un  treno.  Ma  non  è possibile che giunga a Medicine Bow prima di sei ore.

Sei ore!! - proruppe Passepartout.

Sicuro  giovanotto.  Del  resto  tanto tempo ci sarà necessario per portarci a piedi a quella stazione.

A piedi! - esclamarono tutti i viaggiatori.

Ma a che distanza è, dunque, questa stazione?  - domandò uno di essi al conducente.

A dodici miglia, dall’altra parte del fiume.

Dodici miglia nella neve! - si lamentò Stamp W. Proctor.

Il colonnello lanciò una sfilata d’imprecazioni,  pigliandosela con la Compagnia,  col conducente,  col fuochista  e  con  la  Sovrintendenza dell’Unione al funzionamento delle linee ferroviarie.  Passepartout non era lungi dal fare altrettanto.  «Ecco  questa  volta  un  ostacolo  naturale  davanti  a  cui anche le banconote del mio padrone valgono quanto carta  straccia»,  rifletteva amaramente in cuor suo.

Il disappunto del resto era generale fra tutti i passeggeri i quali, a prescindere dal ritardo,  si vedevano costretti a compiere a piedi una marcia di quasi quindici miglia attraverso la pianura coperta di neve.  Un inferno  di  grida  e  di  proteste  si  levava  alle  stelle:  uno schiamazzo  assordante  che  avrebbe  certo  attirato  l’attenzione di Phileas Fogg, se egli non fosse stato assorbito nel suo “whist”.  Tuttavia Passepartout aveva ormai l’obbligo d’informare il padrone.  E a  testa  bassa  si  dirigeva a compiere il proprio dovere,  quando il fuochista, un vero «yankee» di nome Forster, dalla massiccia figura di atleta, disse con voce che dominò il clamore generale:

Signori, ci sarebbe forse il mezzo di passare.

Sul ponte?! - chiese una voce.

Sul ponte.

Con il nostro treno? - domandò il colonnello.

Con il nostro treno.

Passepartout si era fermato e divorava con  gli  occhi  il  fuochista, pendendo letteralmente dal suo labbro.

Ma il ponte minaccia rovina! - riprese il conducente.

Non importa - replicò Forster.  - Io dico che, lanciando il treno al massimo di velocità, si avrebbero delle probabilità di passare.

Diavolo!! - fece Passepartout.

Tuttavia un certo numero di viaggiatori erano  rimasti  immediatamente conquistati  dall’idea.  Essa  piaceva  particolarmente  al colonnello Proctor.   Quel  cervello  infuocato  trovava  la  cosa  perfettamente realizzabile.  Ricordò  persino  che gli ingegneri avevano prospettato l’idea di fare valicare dei fiumi «senza ponte»  lanciando  dei  treni rigidi a tutta velocità eccetera.  E così, tutto sommato, tutti coloro che si erano interessati della questione abbracciarono il  parere  del fuochista.

Abbiamo cinquanta probabilità su cento di passare! - diceva.

Sessanta! - affermava un altro. - Ottanta!... novanta su cento!

Passepartout era sbalordito.