Non v’era più alcuna simpatia né alcuna intimità. Fix in realtà non aveva cambiato affatto il suo modo di fare, Passepartout si manteneva invece in un estremo riserbo, pronto a tentare di strangolare l’ex-amico al primo dubbio che avesse avuto su di lui. Un’ora dopo la partenza del treno, cominciò a cadere la neve, una neve fine che, davvero fortunatamente, non poteva ritardare la marcia del convoglio. Attraverso i finestrini si poteva scorgere solo un’immensa cappa bianca, a confronto della quale il vapore della locomotiva, che si lanciava in grandi volute verso il cielo, sembrava diventato grigiastro.
Alle otto, entrò nel vagone uno “steward” che annunciò ai viaggiatori che era suonata l’ora di andare a riposare. Quel vagone era uno «sleeping-car» che in pochi minuti venne trasformato in dormitorio. Gli schienali dei sedili vennero ripiegati, dei lettini accuratamente impacchettati vennero tirati fuori con un ingegnoso sistema, in qualche istante vennero improvvisate delle cabine e ciascun viaggiatore ebbe ben presto a sua disposizione un letto confortevole che spessi tendaggi difendevano da ogni sguardo indiscreto. Le lenzuola erano candide e i guanciali molto morbidi. Restava una sola cosa da fare: mettersi a letto e addormentarsi, e fu quello che fece ciascuno, come se si fosse trovato nella confortevole cabina di un piroscafo, mentre il treno correva a tutto vapore attraverso lo Stato della California.
In questa porzione del territorio che si estende tra San Francisco e Sacramento, il terreno è poco accidentato. Questa tratta ferroviaria, che ha il nome di «Central Pacific Road» prendeva anzitutto Sacramento come punto di partenza e s’avanzava verso est per incrociarsi con quella che veniva da Omaha. Da San Francisco alla capitale della California, la linea correva direttamente in direzione di nord-est, costeggiando l’American River, che si getta nella baia di San Pablo. Le centoventi miglia comprese tra queste due importanti città vennero superate in sei ore, e verso mezzanotte, mentre i viaggiatori erano immersi nel loro primo sonno, il treno superò Sacramento. Essi non videro perciò nulla di questa città considerevole, sede della legislatura dello Stato della California, né i suoi bei moli, né le sue ampie strade né i suoi splendidi hôtels, né le sue “squares” (piazze), né i suoi templi.
Uscendo da Sacramento, il treno, dopo avere superato le stazioni di Junction, di Roclin, di Auburn e di Colfax, s’incuneò nel massiccio della Sierra Nevada. Erano le sette del mattino, quando il treno attraversò la stazione di Cisco. Un’ora più tardi il dormitorio era ridiventato un vagone normale e i viaggiatori potevano intravedere attraverso i vetri il pittoresco panorama di quel paese montagnoso. Il tracciato del treno obbediva ai capricci della Sierra, qui sui ripidi pendii montagnosi e là sospeso al di sopra dei precipizi, evitando angoli troppo acuti con delle audaci curvature, lanciandosi in gole strettissime che pareva fossero prive di sbocco. La locomotiva, sfavillante come un reliquiario, con quel grande fanale che lanciava dei lampi fulvi, la campanella d’argento, il «cacciavacche» che si protendeva in avanti come uno sperone, mescolava i suoi sbuffi e i suoi muggiti a quelli dei torrenti e delle cascate, e mescolava il suo fumo al nero intreccio dei rami degli abeti. Sul percorso ci s’imbatteva in pochissimi tunnel e ponti. La linea ferroviaria aggirava il fianco delle montagne, non cercando nella linea diritta il tragitto più breve tra un punto e l’altro, e non facendo violenza alla natura.
Verso le nove, attraverso la valle di Carson, il treno penetrava nello Stato del Nevada, proseguendo sempre la sua corsa in direzione nord-est. A mezzogiorno, lasciava Reno, dove i viaggiatori si arrestarono una ventina di minuti per mangiare.
Da quel punto in poi, la ferrovia, costeggiando l’Humboldt River, si diresse per alcune miglia verso nord, seguendo questo corso d’acqua. Poi piegò verso est, e non doveva più perdere di vista questo corso d’acqua prima di aver raggiunto gli Humboldt Ranges, che ne costituiscono la sorgente, quasi all’estremità orientale dello Stato del Nevada.
Dopo aver mangiato, il signor Fogg, la signora Auda e i loro compagni di viaggio ripresero posto nel vagone. Phileas Fogg, la giovane donna, Fix e Passepartout, comodamente seduti, ammiravano il paesaggio che scorreva dinanzi ai loro occhi: vaste praterie, montagne che si profilavano all’orizzonte, “creeks” che facevano rotolare le loro acque spumeggianti. Talvolta un grande gregge di bisonti che si ammassava all’orizzonte dava l’idea di una diga mobile. Questi innumerevoli eserciti di ruminanti oppongono spesso un ostacolo insormontabile al passaggio dei treni. E’ stato possibile scorgere migliaia di questi animali sfilare per ore, a ranghi strettissimi, attraverso il binario. In questo caso la locomotiva è costretta ad arrestarsi e attendere che la strada sia ridiventata libera. Fu proprio questo che avvenne per i nostri viaggiatori. Verso le tre del pomeriggio, la ferrovia si trovò sbarrata da una mandria di almeno dieci-dodicimila capi. La locomotiva, dopo avere ridotto la velocità, tentò di incuneare il suo sperone nel fianco dell’interminabile colonna, ma dovette arrendersi di fronte all’impenetrabilità di quella massa.
Si vedevano quei ruminanti - quei bufali, come li chiamano impropriamente gli Americani - procedere col loro passo tranquillo e lanciando di tanto in tanto dei terribili muggiti. Avevano una corporatura superiore a quella dei tori europei, con zampe e coda piuttosto corte, il garrese ascendente che formava una gobba di muscoli, le corna divaricate alla base, la testa, il collo e le spalle coperte da una criniera dal lungo pelo. Quando i bisonti hanno scelto una direzione, nulla potrebbe né ostacolare né modificare la loro marcia. E’ un torrente di carne vivente che nessuna diga sarebbe in grado di contenere.
I viaggiatori, dispersi sui passatoi, ammiravano questo curioso spettacolo. Tuttavia proprio colui che avrebbe dovuto essere il più preoccupato di tutti, Phileas Fogg, se n’era rimasto al suo posto ed attendeva con calma filosofica che fosse piaciuto ai bufali liberargli il passaggio. Passepartout era furioso per il ritardo che gli causava questo ammasso di animali. Avrebbe voluto scaricare contro di loro il suo arsenale di revolver.
Che razza di paese! - gridò. - Dei semplici buoi che arrestano dei treni e che se ne vanno a ritmo processionale, senza proprio darsi pensiero del fatto che stanno ostacolando la circolazione! Perbacco! Vorrei proprio sapere se il signor Fogg avesse previsto questo contrattempo nel suo programma! E quel macchinista che non è capace di lanciare la sua locomotiva attraverso questo bestiame ingombrante! Il macchinista non aveva tentato affatto di rovesciare l’ostacolo, e aveva agito con prudenza. Con lo sperone della locomotiva avrebbe certamente fatto un macello dei bufali più vicini; ma, pur con tutta la sua forza d’urto, la locomotiva sarebbe stata fermata ben presto, ci sarebbe stato inevitabilmente un deragliamento e così il treno sarebbe rimasto bloccato.
La cosa migliore era perciò di attendere con pazienza, salvo poi a riguadagnare il tempo perduto con una accelerazione della marcia del treno. La sfilata dei bisonti durò ben tre ore, e la strada ridivenne libera solo mentre stava ormai calando la notte. Solo a quel punto attraversavano le rotaie le retroguardie della mandria, le cui avanguardie sparivano laggiù, all’orizzonte meridionale. Erano dunque le otto, quando il treno superava i passi degli Humboldt Ranges, e le nove e mezzo quando penetrava nel territorio dell’Utah, la regione del grande Lago Salato, il curioso paese dei Mormoni.
NOTE.
NOTA 1:«Dall’Oceano all’Oceano».
27.
PASSEPARTOUT SEGUE, ALLA VELOCITA’ DI VENTI MIGLIA ALL’ORA, UN CORSO DI STORIA MORMONE.
Durante la notte dal 5 al 6 dicembre, il treno corse verso sud-est per una cinquantina di miglia; poi risalì di altrettante verso il nord-est, avvicinandosi al grande Lago Salato. Verso le nove del mattino, Passepartout andò a prendere un po’ d’aria sui passatoi. Il tempo era freddo, il cielo era grigio, ma non nevicava più. Il disco del sole, reso più ampio dalla bruma, appariva come un’enorme moneta d’oro, e Passepartout si divertiva a calcolarne il valore in lire sterline, quando fu distratto da questo utilissimo lavoro dalla comparsa di un personaggio piuttosto strano. Questo individuo, che era salito sul treno alla stazione di Elko, era un uomo dalla corporatura robusta, molto scuro in faccia, con un paio di mustacchi neri, pantaloni neri, cravatta immacolata, guanti di pelle di cane. Lo si sarebbe detto un pastore. Andava da un’estremità all’altra del treno incollando sulla portiera di ogni vagone con della cera per sigilli un foglio di carta scritto a mano. Passepartout si accostò e lesse su uno di quei fogli che l’onorevole “elder” (anziano) William Hitch, missionario mormone, approfittando della sua presenza sul treno numero 48, dalle undici a mezzogiorno, avrebbe tenuto nella vettura 117 una conferenza sul mormonismo a cui erano invitati tutti i gentiluomini preoccupati di istruirsi su quanto riguardava i misteri della religione dei «Santi degli ultimi giorni». «Certo che ci vado!», disse tra sé Passepartout, che del mormonismo conosceva unicamente le usanze poligamiche, base della società mormone.
La notizia si diffuse rapidamente nel treno che trasportava un centinaio di passeggeri. Una trentina di essi, allettati dall’attrattiva della conferenza, alle undici occupavano le panchette della vettura numero 117. Tra i primi nella fila figurava Passepartout, mentre né il suo padrone né Fix avevano ritenuto di doversi disturbare.
All’ora stabilita, l’”elder” William Hitch si alzò in piedi e con una voce piuttosto irritata, come se lo avessero appena contraddetto, dichiarò:
Io vi dichiaro, sì, che Joe Smyth è un martire, che suo fratello Hyram è un martire, e che le persecuzioni del Governo dell’Unione contro i profeti stanno per fare un martire anche di Brigham Young! Chi di voi oserebbe sostenere il contrario? Nessuno si azzardò a contraddire il missionario, la cui esaltazione contrastava con la sua fisionomia calma per natura. Ma senza dubbio la sua collera trovava una spiegazione nel fatto che il mormonismo veniva attualmente sottoposto a una prova molto severa. In realtà, il Governo degli Stati Uniti era riuscito appena allora, e non senza fatica, a sottomettere quei fanatici indipendenti. Si era impadronito dell’Utah, e l’aveva sottoposto alle leggi dell’Unione, dopo avere imprigionato Brigham Young, accusato di ribellione e di poligamia. Da quel momento in poi, i discepoli del profeta avevano raddoppiato i loro sforzi e, mentre ne attendevano gli atti, resistevano con la parola alle pretese del Congresso.
Come si vede, l’”elder” William Hitch faceva del proselitismo persino sul treno.
Allora, egli si mise a raccontare, variando la narrazione con scoppi di voce e la violenza dei gesti, la storia del mormonismo a partire dall’epoca biblica: «Come, in Israele, un profeta mormone della tribù di Giuseppe pubblicò gli annali della nuova religione e li lasciò in eredità a suo figlio Morom; come, molti secoli più tardi, una traduzione di questo prezioso libro, scritto in caratteri egiziani, venne fatta da Joseph Smyth junior, colono nello Stato del Vermont, che si rivelò come profeta mistico nel 1825; come, infine, un messaggero celeste gli apparve in una foresta luminosa e gli consegnò gli annali del Signore».
A quel punto, alcuni uditori, poco interessati dal racconto retrospettivo del missionario, abbandonarono il vagone; ma William Hitch, proseguendo, raccontò «come Smyth junior, riunendo suo padre, i suoi due fratelli e alcuni discepoli fondò la religione dei Santi degli ultimi giorni, religione che, adottata non solamente in America, ma in Inghilterra, in Scandinavia, in Germania, conta tra i suoi fedeli degli artigiani e anche un certo numero di persone che esercitano professioni liberali; come una colonia sia stata fondata nell’Ohio; come un tempio sia stato edificato con una spesa di duecentomila dollari e una città sia stata costruita a Kirland; come Smyth divenne un coraggioso banchiere e ricevette da un semplice presentatore di mummie un papiro contenente un racconto scritto di pugno da Abramo e da altri celebri egiziani». Poiché questa narrazione diventava un po’ troppo lunga, i ranghi degli uditori si assottigliarono ulteriormente, e il pubblico rimasto era costituito di appena una ventina di persone. Tuttavia l’”elder”, senza inquietarsi di questa diserzione, raccontò con ricchezza di particolari «come fu che Joe Smyth fece bancarotta nel 1837; come fu che i suoi azionisti rovinati lo spalmarono di catrame e lo fecero rotolare sulle piume; come fu che lo si ritrovò più onorabile e più onorato che mai, alcuni anni dopo a Independance, nel Missouri, alla testa di una fiorente comunità costituita da non meno di tremila discepoli, e che allora, perseguitato dall’odio dei gentili, era dovuto fuggire nel Far West americano». Appena dieci ascoltatori erano ancora là, e tra di essi vi era il buon Passepartout, che ascoltava con le orecchie tese. Fu così che egli apprese «come, dopo lunghe persecuzioni, Smyth riapparve nell’Illinois e nel 1839 sulle rive del Mississippi fondò Nauvoo-la-Belle, la cui popolazione crebbe fino a venticinquemila anime; come Smyth ne divenne il sindaco, il giudice supremo e il generale in capo; come, nel 1843, egli pose la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, e come infine, attirato in un’imboscata a Cartagine, venne gettato in prigione e assassinato da una banda di uomini mascherati». A questo punto Passepartout era rimasto assolutamente da solo nel vagone e l’”elder”, mirandolo in faccia e affascinandolo con le sue parole, gli ricordò che due anni dopo l’assassinio di Smyth, il suo successore, il profeta ispirato Brigham Young, abbandonando Nauvoo, era venuto a stabilirsi sulle rive del Lago Salato e che là, su quel meraviglioso territorio, nel mezzo di quella fertile contrada, sulla rotta degli emigranti che attraversavano lo Utah per recarsi in California, la nuova colonia, grazie ai principi poligamici del mormonismo, aveva preso uno sviluppo enorme.
Ecco, - aggiunse William Hitch, - ecco perché la gelosia del Congresso si è eccitata contro di noi! ecco perché i soldati dell’Unione hanno calpestato il suolo dello Utah! perché il nostro capo, il profeta Brigham Young, è stato imprigionato con spregio di qualsiasi forma di giustizia! Cederemo noi alla forza? Mai! Cacciati dal Vermont, cacciati dall’Illinois, cacciati dall’Ohio, cacciati dal Missouri, cacciati dallo Utah, noi ritroveremo ancora qualche territorio indipendente dove pianteremo la nostra tenda... E voi, mio fedele, - aggiunse l’”elder” fissando sguardi corruschi sul suo unico uditore, pianterete voi la vostra tenda all’ombra della nostra bandiera?
No - rispose coraggiosamente Passepartout, che scappò via a sua volta, lasciando quell’energumeno a predicare nel deserto. Durante tutta questa conferenza, però, il treno aveva marciato con rapidità e verso mezzogiorno e mezzo arrivava alla punta nord-occidentale del grande Lago Salato. Da quel punto si poteva abbracciare su un vasto perimetro l’aspetto di questo mare interno, che porta pure il nome di Mar Morto e nel quale si getta un Giordano d’America. Lago ammirevole, inquadrato da belle rocce selvagge, a larghi strati, incrostate di sale bianco, superbo specchio d’acqua che in altri tempi copriva uno spazio ben maggiore; ma con il passare del tempo le sue rive, crescendo a poco a poco, ne hanno ridotto la superficie, accrescendone tuttavia la profondità. Il Lago Salato, lungo circa settanta miglia e largo trentacinque, è situato a tremilaottocento piedi al di sopra del livello del mare. Molto diversamente dal lago Asphaltite, la cui depressione misura milleduecento piedi al di sotto, la sua salsedine è considerevole e le sue acque mantengono in soluzione il quarto del loro peso di materia solida. Il loro peso specifico è di 1170, mentre quello dell’acqua distillata è di 1000. I pesci perciò non ci possono vivere. Quelli che vi vengono gettati dal Giordano, dal Weber e da altri corsi d’acqua vi muoiono molto presto; non è vero però che le sue acque siano così dense da poter sostenere un uomo.
Intorno al lago, la campagna è mirabilmente coltivata, poiché i Mormoni se ne intendono di lavori agricoli: ci sono dei “ranchos” e dei “corrals” per gli animali domestici, dei campi di grano, di mais, di sorgo (o saggina), praterie lussureggianti, da ogni parte vi sono siepi di rosai selvatici, dei cespugli di acacia e di euforbia: tale sarebbe stato il panorama sei mesi più tardi, ma in quel momento il suolo era sparito sotto una sottile coperta di neve che lo impolverava leggermente.
Alle due, i viaggiatori scendevano alla stazione di Ogden. Il treno sarebbe ripartito solo alle sei e perciò il signor Fogg, la signora Auda e i loro due compagni avevano il tempo per recarsi alla Città dei Santi mediante la breve diramazione che partiva appunto da Ogden. Due ore sarebbero state sufficienti per visitare quella città caratteristicamente americana e, in quanto tale, costruita sul modello di tutte le città dell’Unione, vaste scacchiere dalle lunghe fredde linee che provocano «la lugubre tristezza degli angoli retti», per dirla con Victor Hugo. Il fondatore della Città dei Santi non poteva sfuggire a quel bisogno di simmetria che contraddistingue gli Anglosassoni. In questo singolare paese, in cui gli uomini non sono certamente all’altezza delle istituzioni, tutto si fa «ad angoli retti»: le città, le case e anche le stupidaggini. Alle tre, i viaggiatori passeggiavano dunque nelle vie della città costruita tra la riva del Giordano e le prime ondulazioni dei monti Wahsatch. Non notarono alcuna chiesa o quasi, ma osservarono come dei monumenti la casa del profeta, la Cort-house e l’arsenale; poi, delle case costruite in laterizio bluastro con verande e gallerie, circondate da giardini e attorniate da acacie, palmizi e carrubi. La città era cinta da un muro di argilla e pietre edificato nel 1853. Nella via principale, in cui si teneva il mercato, erano stati costruiti alcuni alberghi ornati da padiglioni, e tra gli altri la Salt-Lake-House.
Il signor Fogg e i suoi compagni non ebbero l’impressione che la città fosse densamente popolata. Le strade erano quasi deserte, eccetto però nel quartiere del Tempio, che essi raggiunsero solo dopo avere attraversato parecchie zone circondate da palizzate. Le donne erano abbastanza numerose, e la cosa è comprensibile se si pensa alla singolare composizione delle famiglie mormoni. Non bisogna credere tuttavia che i Mormoni siano tutti poligami. Si è liberi, ma è bene ricordare che sono particolarmente le cittadine dello Utah a desiderare di essere sposate, perché, secondo la religione del paese, il cielo mormone non ammette come beneficiarie delle sue beatitudini le donne nubili.
Queste povere creature non sembrano né facilitate né felici. Alcune, le più ricche senza dubbio, portavano una giacchetta di seta nera aperta alla vita, sotto un cappuccio o uno scialle molto modesto. Le altre erano vestite semplicemente di tela indiana. Passepartout da parte sua, nella sua qualità di bravo ragazzo, non guardava senza un certo disagio tutte quelle donne mormoni incaricate di fare in molte la felicità di un solo uomo mormone. Nel suo buonsenso, era il marito che egli soprattutto compiangeva. A lui pareva terribile dover guidare tante donne insieme attraverso le vicissitudini della vita, e condurle in tal modo tutte insieme fino al paradiso mormone, con quella prospettiva di ritrovarvele per l’eternità in compagnia del glorioso Smyth, che doveva costituire l’ornamento di quel luogo di delizie. Decisamente non si sentiva questa vocazione e riteneva - ma in questo forse si sbagliava - che le cittadine di Great-Lake-City gettassero sulla sua persona degli sguardi un po’ inquietanti.
Era una vera fortuna che il suo soggiorno nella Città dei Santi non si dovesse protrarre a lungo. Alle quattro meno qualche minuto, i viaggiatori si ritrovavano alla stazione e riprendevano posto nei loro vagoni.
Si sentì un colpo di fischietto; ma proprio nel momento in cui le ruote motrici della locomotiva, slittando sulle rotaie, cominciavano a imprimere al treno un po’ di moto, si sentirono echeggiare delle grida: - Fermi! Fermi!
Non si può fermare un treno in marcia. Il gentiluomo che lanciava quel grido era evidentemente un mormone rimasto attardato. Correva a perdifiato. Fortunatamente per lui la stazione non aveva né porte né barriere. Si lanciò perciò sulla via, saltò sulla piattaforma dell’ultima vettura e si lasciò cadere senza fiato su una panchetta del vagone.
Passepartout, che aveva seguito con trepidazione gli incidenti di questa ginnastica, si avvicinò per osservare questo ritardatario per il quale ebbe un interesse ancora maggiore quando venne a sapere che questo cittadino dell’Utah era scappato in quella maniera precipitosa dopo una scenata in famiglia.
Quando il mormone ebbe ripreso fiato, Passepartout si azzardò a domandargli educatamente quante donne avesse, lui da solo - e dal modo con cui era appena fuggito precipitosamente Passepartout pensava che ne avesse almeno una ventina.
Una, signore! - rispose il mormone levando le braccia al cielo. - Una, e ce n’è abbastanza!
28.
PASSEPARTOUT NON RIESCE A FAR INTENDERE IL LINGUAGGIO DELLA RAGIONE.
Il treno, dopo avere lasciato il Great-Salt-Lake e la stazione di Ogden, si diresse per un’ora verso il nord, fino al fiume Weber e aveva compiuto così novecento miglia da quando era partito da San Francisco. Da quel punto in poi riprese a marciare in direzione est attraverso l’accidentato massiccio dei monti Wahsatch. E’ stato in questa parte di territorio, compreso tra questi monti e le Montagne Rocciose propriamente dette che gli ingegneri ferroviari americani hanno dovuto affrontare le difficoltà più serie. Perciò su questo percorso il contributo del Governo dell’Unione si è elevato a quarantottomila dollari per mille, mentre sul terreno pianeggiante era stato di sedicimila dollari soltanto; gli ingegneri d’altronde, com’è già stato ricordato, non hanno fatto violenza alla natura, hanno giocato con essa, aggirando le difficoltà, e per raggiungere il grande bacino, su tutto il percorso della ferrovia è stato bucato un solo tunnel, lungo millequattrocento piedi.
Era proprio intorno al Lago Salato che il tracciato aveva toccato la sua maggiore altitudine. A partire da questo punto, il suo profilo descriveva una curva molto larga che si abbassava verso la vallata del Bitter Creek per risalire poi al punto di spartiacque tra l’Atlantico e il Pacifico. I ruscelli erano numerosi in questa regione montagnosa. Fu necessario superare con dei ponticelli il Muddy, il Green e altri ruscelli ancora. Passepartout era divenuto più impaziente man mano che ci si avvicinava alla conclusione. Quanto a Fix, egli avrebbe voluto essere addirittura già uscito da questa difficile contrada. Aveva paura dei ritardi, temeva gli incidenti ed era più preoccupato dello stesso Phileas Fogg di rimetter piede sul territorio inglese! Alle dieci della sera, il treno si arrestò alla stazione di Fort Bridger, che lasciò quasi subito per entrare, una ventina di miglia più avanti, nello Stato dello Wyoming, l’antico Dakota, seguendo tutta la vallata del Bitter Creek, da cui scendono in parte le acque che costituiscono il sistema idrografico del Colorado. L’indomani, 7 dicembre, ci fu una fermata di un quarto d’ora alla stazione di Green River. La neve era caduta in abbondanza durante la notte, ma essendo mescolata con la pioggia, si era sciolta in buona parte e non poteva ostacolare la marcia del treno. Tuttavia questo brutto tempo non lasciò senza inquietudine Passepartout, perché l’accumularsi della neve, impantanando le ruote dei vagoni, avrebbe certamente finito col compromettere il viaggio. «Che bizzarra idea ha avuto il mio padrone», si diceva perciò tra sé, «di mettersi in viaggio durante l’inverno! Non poteva attendere la bella stagione per aumentare le sue possibilità?». Ma in quel momento in cui il bravo giovanotto si preoccupava solo dello stato del cielo e dell’abbassamento della temperatura, la signora Auda provava dei timori ben più gravi e che provenivano da tutt’altra causa.
Infatti, alcuni viaggiatori erano scesi dal vagone e passeggiavano sul marciapiede della stazione di Green River in attesa che il treno ripartisse. Ebbene, attraverso i vetri, la giovane donna aveva riconosciuto tra questi viaggiatori il colonnello Stamp W. Proctor, quell’americano che si era comportato con tanta grossolanità con Phileas Fogg durante il “meeting” di San Francisco. La signora Auda, non volendosi far scorgere, si era prontamente tirata indietro. Questa circostanza però aveva profondamente impressionato la giovane. Ella si era attaccata a quell’uomo che, pur con tanta freddezza, ogni giorno le dava dimostrazione della sua più assoluta dedizione. Ella non comprendeva affatto, senza dubbio, tutta la profondità del sentimento che le ispirava il suo salvatore, e a questo sentimento ella attribuiva ancora il nome di riconoscenza, ma, a sua insaputa, vi era già più di questo.
Perciò il suo cuore si sentì stringere, quando ella riconobbe quell’individuo grossolano al quale il signor Fogg avrebbe voluto presto o tardi chiedere conto della sua condotta. Evidentemente era stato unicamente il caso a condurre su quel medesimo treno il colonnello Proctor, ma infine egli vi era e bisognava impedire a qualsiasi costo che Phileas Fogg s’imbattesse nel suo avversario. Appena il treno si fu rimesso in movimento, la signora Auda approfittò di un momento in cui il signor Fogg si era assopito per mettere Fix e Passepartout al corrente della situazione.
Quel Proctor è sul nostro treno? - esclamò Fix. - Ebbene, rassicuratevi, signora; quest’individuo, prima di avere a che fare con il signore... con Mister Fogg, avrà a che fare con me! Mi sembra del resto che in tutto questo incidente sia stato ancora io ad avere subito i più gravi insulti!
E inoltre, - aggiunse Passepartout, - m’incarico volentieri io di lui, per colonnello che egli sia!
Ma signor Fix, - replicò la signora Auda, - Sir Phileas Fogg non lascerà ad alcuno la cura di vendicarlo, vi pare? Egli è gentiluomo, come ha detto, da ritornare apposta in America per rintracciare quel provocatore. Se vede il colonnello qui sul treno, nessuno potrà scongiurare un duello. Ciò che ad ogni costo quindi dobbiamo fare, è di impedire che i due s’incontrino.
Avete ragione, signora Auda. Un duello in questo momento rovinerebbe tutto. Vincitore o vinto, il signor Fogg sarebbe posto in ritardo, e...
E quei suoi cari colleghi del Club avrebbero partita vinta! - terminò Passepartout. - Ah no, miei signori! Io vi dico che fra quattro giorni dobbiamo essere a New York: e ci saremo. Basta che durante questo tempo il signor Fogg non lasci il suo vagone, e si può sperare che il caso non lo metta a faccia a faccia con quel disgraziatissimo Proctor, che il cielo lo confonda! Ora, per impedire l’inconveniente, sapremo ben noi fare tutto il possibile. La conversazione fu interrotta poiché il signor Fogg si era risvegliato. Ma più tardi Passepartout, fattosi seguire da Fix in corridoio, dove nessuno poteva udirli, gli disse a bruciapelo:
Vi battereste davvero per lui?
Farei di tutto per ricondurlo vivo in Inghilterra! - rispose il “detective”, con fermo accento che rivelava una volontà implacabile. Passepartout si sentì un brivido correre per le vene; e fu lì lì per scagliarsi addosso a Fix. Ma seppe trattenersi.
In questo momento, - disse calmo, - ciò che s’impone è di bloccare il signor Fogg nello scompartimento per impedire ogni possibile incontro fra il colonnello e lui. Aiutateci anche voi a trovare un mezzo.
Oh, la cosa non sarà difficile! - disse Fix; - il vostro padrone è di indole poco irrequieta, poco curiosa. Posso dirvi, anzi, che credo di avere un mezzo infallibile per trattenerlo.
E sarebbe?
Ora lo vedrete.
Di lì a poco, rientrato nello scompartimento e sedutosi in faccia al “gentleman”, Fix prese a dire:
Come sono lente, vero, signor Fogg, le ore che si passano in ferrovia?
Infatti - rispose con brevità l’interpellato. - Ma passano anch’esse.
Se non sbaglio - ripigliò Fix, - a bordo dei piroscafi voi avevate l’abitudine di fare la vostra partita a “whist”.
Sì. Ma qui sarebbe impossibile: non ci sono né carte né compagni.
Oh, se è solamente per questo, le carte troveremo certo da comprarle: si vende di tutto sui treni americani. Quanto ai compagni se la signora Auda sapesse...
Certamente, signore! - rispose con vivacità la giovane signora. - Io conosco il “whist”: ciò fa parte dell’educazione inglese.
Benone, allora! - applaudì Fix. - Anch’io ho qualche pretesa a codesto gioco. Perciò si potrebbe giocare in tre, col «morto».
Come vi piace - accondiscese Phileas Fogg, lietissimo di tornare anche in ferrovia, al suo passatempo preferito. Passepartout si precipitò alla ricerca dello “steward” per fare acquisto del materiale occorrente; e tornò di lì a poco con due mazzi di carte, marche, gettoni e una tavoletta coperta di panno. Non ci mancava nulla.
Il gioco cominciò mentre il treno, nella chiara luce del mattino, superava il nevoso Passo Bridger, uno dei punti più alti in cui la ferrovia attraversa la barriera delle Montagne Rocciose. Dopo avere percorso circa duecento miglia, i viaggiatori si trovavano infine su quelle vaste pianure che si estendono fino all’Atlantico e che la natura rendeva tanto propizie all’installazione di una ferrovia.
Sul versante del bacino atlantico si sviluppavano già i primi ruscelli, affluenti o sub-affluenti del North Platte River. Tutto l’orizzonte a nord e ad est era coperto da quell’immensa cortina semi-circolare che costituisce la porzione settentrionale delle Rocky Mountains, dominata dal picco di Laramie. Tra questa curvatura e la ferrovia si estendevano delle vaste pianure abbondantemente innaffiate. Sulla destra della “rail-road” si stagliavano le prime rampe del massiccio montagnoso che si arrotondava a sud fino alle sorgenti del fiume dell’Arkansas, uno dei grandi tributari del Missouri.
A mezzogiorno e mezzo, i viaggiatori intravidero per un istante il Forte Halleck, che controlla questa regione. Ancora poche ore e si sarebbe concluso il passaggio del treno attraverso questa difficile regione. La neve aveva cessato di cadere. Il tempo tendeva al freddo secco. Dei grossi uccelli, spaventati dalla locomotiva, fuggivano precipitosamente. Sulla piana non faceva la sua comparsa alcuna bestia selvatica, orso o lupo che fosse. Era il deserto nella sua immensa nudità.
Dopo un pasto molto confortevole, servito nel vagone stesso, Mister Fogg e i suoi compagni avevano appena ripreso il loro interminabile “whist” quando risuonarono dei violenti colpi di fischietto. Il treno s’arrestò.
Passepartout cacciò subito la testa fuori dello sportello e non vide nulla che motivasse quell’arresto. Non c’era in vista nessuna stazione.
La signora Auda e Fix poterono credere per un istante che Mister Fogg pensasse di scendere sulla strada. Ma il “gentleman” si accontentò di dire al suo domestico:
Scendete a vedere.
Il servo si slanciò fuori del vagone.
Numerosi viaggiatori erano scesi prima di lui, e fra essi il colonnello Stamp W. Proctor.
Il treno era giunto ad un disco girato al rosso: segnale di via chiusa. Conducente e fuochista stavano discutendo con un cantoniere che dalla vicina stazione di Medicine Bow era stato spedito incontro al convoglio. Radunati intorno a quel gruppetto, i viaggiatori interloquivano con vivacità. Uno dei più vivaci, con il suo sonoro timbro di voce e con i suoi gesti imperiosi era proprio il colonnello Proctor.
Passepartout s’avvicinò anch’egli, e udì il conducente che diceva:
Non c’è mezzo di passare. Il ponte di Medicine Bow è in cattive condizioni e non sopporterebbe il peso del treno. Il ponte di cui si trattava era un ponte sospeso, gettato sopra le rapide del fiume Medicine, a un miglio dal luogo dove il convoglio era stato fermato. Al dire del cantoniere, quel ponte minacciava rovina: parecchi cavi erano spezzati. Impossibile rischiare il passaggio. Il cantoniere perciò non esagerava affatto affermando che non si poteva passare. E d’altronde, se si tiene conto della spensieratezza degli Americani, si può dire che quando essi decidono di essere prudenti, sarebbe davvero una pazzia non fare altrettanto. Passepartout, non osando portare una simile notizia al suo padrone, ascoltava a denti stretti, immobile come una statua.
Il colonnello Proctor, ad un certo punto, gridò:
Oh, non staremo qui a piantar radici sulla neve, immagino!
Si calmi, colonnello - rispose il povero conducente. - E’ stato telegrafato alla stazione di Omaha per chiedere un treno. Ma non è possibile che giunga a Medicine Bow prima di sei ore.
Sei ore!! - proruppe Passepartout.
Sicuro giovanotto. Del resto tanto tempo ci sarà necessario per portarci a piedi a quella stazione.
A piedi! - esclamarono tutti i viaggiatori.
Ma a che distanza è, dunque, questa stazione? - domandò uno di essi al conducente.
A dodici miglia, dall’altra parte del fiume.
Dodici miglia nella neve! - si lamentò Stamp W. Proctor.
Il colonnello lanciò una sfilata d’imprecazioni, pigliandosela con la Compagnia, col conducente, col fuochista e con la Sovrintendenza dell’Unione al funzionamento delle linee ferroviarie. Passepartout non era lungi dal fare altrettanto. «Ecco questa volta un ostacolo naturale davanti a cui anche le banconote del mio padrone valgono quanto carta straccia», rifletteva amaramente in cuor suo.
Il disappunto del resto era generale fra tutti i passeggeri i quali, a prescindere dal ritardo, si vedevano costretti a compiere a piedi una marcia di quasi quindici miglia attraverso la pianura coperta di neve. Un inferno di grida e di proteste si levava alle stelle: uno schiamazzo assordante che avrebbe certo attirato l’attenzione di Phileas Fogg, se egli non fosse stato assorbito nel suo “whist”. Tuttavia Passepartout aveva ormai l’obbligo d’informare il padrone. E a testa bassa si dirigeva a compiere il proprio dovere, quando il fuochista, un vero «yankee» di nome Forster, dalla massiccia figura di atleta, disse con voce che dominò il clamore generale:
Signori, ci sarebbe forse il mezzo di passare.
Sul ponte?! - chiese una voce.
Sul ponte.
Con il nostro treno? - domandò il colonnello.
Con il nostro treno.
Passepartout si era fermato e divorava con gli occhi il fuochista, pendendo letteralmente dal suo labbro.
Ma il ponte minaccia rovina! - riprese il conducente.
Non importa - replicò Forster. - Io dico che, lanciando il treno al massimo di velocità, si avrebbero delle probabilità di passare.
Diavolo!! - fece Passepartout.
Tuttavia un certo numero di viaggiatori erano rimasti immediatamente conquistati dall’idea. Essa piaceva particolarmente al colonnello Proctor. Quel cervello infuocato trovava la cosa perfettamente realizzabile. Ricordò persino che gli ingegneri avevano prospettato l’idea di fare valicare dei fiumi «senza ponte» lanciando dei treni rigidi a tutta velocità eccetera. E così, tutto sommato, tutti coloro che si erano interessati della questione abbracciarono il parere del fuochista.
Abbiamo cinquanta probabilità su cento di passare! - diceva.
Sessanta! - affermava un altro. - Ottanta!... novanta su cento!
Passepartout era sbalordito.
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