Arrivederci, signori.  Alle  8  e  40  Phileas  Fogg  e  il servo presero posto in uno stesso scompartimento. Alle 8 e 45 si udì un fischio, e il treno si mosse. La notte era nera.  Cadeva una pioggia minuta.  Phileas Fogg rannicchiato nel  suo  angolo  non  parlava.  Passepartout  ancora  sbalordito,  si stringeva macchinalmente al petto il sacco delle banconote.  Ma il treno non aveva oltrepassato Sydenham, quando Passepartout gettò un grido d’angoscia.

Che avete? - domandò il signor Fogg.

C’è che... nella fretta... nel turbamento... ho dimenticato...

Che cosa?

Di spegnere il becco a gas nella mia camera!

Ebbene, amico mio, - rispose freddamente il signor Fogg, esso arde a vostre spese.

 

 

NOTE.

NOTA 1: Una ghinea è pari a una sterlina  e  uno  scellino,  ossia  21 scellini.

NOTA 2: Soprabito da viaggio,  di morbida lana pettinata, di solito di colore nocciola.

 

 

 

5.

ALLA BORSA DI LONDRA COMPARE UN NUOVO VALORE.

Phileas Fogg, lasciando Londra,  non supponeva certo l’enorme scalpore che la sua partenza avrebbe suscitato.

La notizia della scommessa si diffuse dapprima al Club della Riforma e produsse una vera impressione fra i membri di quell’onorevole Circolo.  Poi  dal  Club  si  trasmise ai giornali attraverso i cronisti,  e dai giornali a tutto il pubblico di Londra e dell’intera Inghilterra.  La  «questione  del  giro  del   mondo»   fu   commentata,   discussa, anatomizzata  appassionatamente  quasi  si  fosse trattato di un nuovo «caso “Alabama”» (1).  Gli uni parteggiarono  per  Phileas  Fogg;  gli altri  - e questi furono ben presto una maggioranza considerevole - si pronunciarono contro di lui.  Il giro del  mondo,  da  compiersi,  ben altro che in teoria e sulla carta,  entro quel “minimum” di tempo, con i mezzi di comunicazione allora  in  uso,  era  impresa  non  soltanto impossibile, ma addirittura insensata!

Il “Times”,  lo “Standard”, l’”Evening Star”, il “Morning Chronicle” e più  di  venti  altri  giornali  inglesi  di   vasta   diffusione   si dichiararono  contro  il  signor  Fogg.  Solo  il “Daily Telegraph” lo sostenne,  per quanto debolmente.  Fogg fu qualificato un maniaco,  un pazzo;  e  i suoi colleghi del Club della Riforma furono biasimati per avere accettato quella scommessa che denotava,  in chi l’aveva  fatta, un indebolimento delle facoltà mentali.

Si  versarono  fiumi  d’inchiostro;  si pubblicarono articoli pieni di passione ma logici. E siccome in Inghilterra tutto ciò che riguarda la geografia desta enorme  interesse,  non  c’era  lettore  di  qualsiasi condizione  che  non  divorasse  le  colonne  dedicate  al caso di Sir Phileas Fogg.

Durante i primi giorni alcune menti audaci gli  furono  favorevoli,  e soprattutto  le donne,  particolarmente allorché l’”Illustrated London News” ebbe pubblicato il ritratto del  “gentleman”  quale  si  trovava depositato  negli archivi del Club.  Qualcuno osava dire: «Eh,  perché no,  alla fin fine?  Se ne  sono  viste  di  più  straordinarie!».  Si trattava senz’altro di lettori del “Daily Telegraph”.  Ma  presto  anche  questo  giornale  cominciò a cedere: una voce assai autorevole si era fatta sentire nel campo delle opinioni contrarie. Si trattava di un lungo articolo comparso il 7  ottobre  sul  “Bollettino della  Società Reale di Geografia”.  Esso esaminava la questione sotto ogni punto di vista,  e dimostrava chiaramente che l’impresa  era  una follia.   Tutto  stava  contro  il  viaggiatore:  ostacoli  dall’uomo, ostacoli  dalla  natura.   Per  riuscire,   sarebbe  occorso  che   si verificasse un’esattezza miracolosa negli orari di partenza e d’arrivo dei  mezzi  impiegati,  esattezza  che  non  esisteva,  che non poteva esistere. A stretto rigore, appena in Europa,  dove i tragitti sono di una  lunghezza relativamente mediocre,  si può contare sull’arrivo dei treni ad ora esatta. Ma quando si impiegano tre giorni ad attraversare l’India,  sette giorni ad attraversare gli Stati  Uniti,  come  basare sulla  puntualità  dei mezzi gli elementi del problema?  E i guasti di macchina,  i disguidi,  gli scontri,  la cattiva stagione,  l’ostacolo delle  nevi,  non  erano  tutte circostanze che stavano contro Phileas Fogg?  Sui battelli egli non si sarebbe  trovato,  durante  l’inverno, alla mercé dei venti e delle nebbie?  E’ forse una cosa tanto rara che i più veloci piroscafi delle linee transoceaniche subiscano ritardi di due o tre giorni? Ora, sarebbe bastato un ritardo, uno solo, perché la catena  delle  coincidenze  risultasse  inesorabilmente  spezzata.  Se Phileas  Fogg avesse perduto,  anche per poche ore,  la partenza di un piroscafo,  si sarebbe trovato costretto  ad  attendere  il  piroscafo successivo: il suo viaggio sarebbe stato compromesso senza rimedio.  L’articolo  fece  gran rumore.  Tutti i giornali lo riportarono;  e le azioni di Phileas Fogg ribassarono straordinariamente. Sì,  proprio le «azioni»,  quelle che si  commerciano  in  Borsa!  Nei giorni   immediatamente  successivi  alla  partenza  del  “gentleman” importanti  affari  si  erano  intavolati  sul   rischio   della   sua  mirabolante   impresa.   In   Inghilterra   c’è   tutto  un  mondo  di scommettitori;  cosicché,  non solo i membri del  Club  della  Riforma fecero  scommesse  considerevoli  pro  e  contro  Phileas Fogg,  ma il pubblico in massa entrò nel gioco.  Si puntò su Phileas Fogg  come  si punta su un cavallo che corra all’ippodromo;  e si creò, battezzandolo col suo nome,  un nuovo valore di Borsa che venne regolarmente quotato e  che  andava  a  ruba.  Ma dopo la pubblicazione del famoso articolo della  Società  di  Geografia,   gli  acquisti  delle  «Phileas  Fogg» cominciarono  a  diminuire.  Le  si  offriva a mazzetti interi.  Prese dapprima a cinque e poi a dieci, le si prendeva ormai solo a venti,  a cinquanta, a cento!

Restò  loro  un  solo  appassionato.  Era  il  vecchio paralitico Lord Albermale.  Il buon “gentleman”,  inchiodato sulla  poltrona,  avrebbe donato la sua fortuna per fare il giro del mondo,  fosse pure in dieci anni!  Ed egli scommise 5 mila sterline in favore di Phileas  Fogg.  E quando  si  tentava  di fargli comprendere l’insensatezza del progetto oltre alla sua irrealizzabilità, egli si limitava a rispondere: «Se la cosa è fattibile, è bene che il primo a farla sia un inglese!».  Ora le cose erano  a  questo  punto:  i  partigiani  di  Phileas  Fogg diventavano sempre più scarsi; tutti, e non senza motivo, si mettevano contro  di lui;  si prendevano le sue azioni a 150,  a 200 contro una, quando, sette giorni dopo la sua partenza, un incidente, completamente inatteso, fece sì che esse venissero assolutamente rifiutate.  In quella  data,  alle  nove  di  sera,  il  Direttore  della  Polizia metropolitana aveva ricevuto il seguente dispaccio telegrafico:

«Suez - a Londra

Rowan,  Direttore  Polizia  -  Amministrazione  Centrale - Scotland Place.

Seguo a  vista  ladro  Banca,  Phileas  Fogg.  Spedite  immediatamente mandato di cattura a Bombay (Indie inglesi).  Fix, “detective”».

L’effetto di questo dispaccio fu immediato.  La  figura  dell’onorabilissimo “gentleman” tramontava per lasciare il campo a quella del ladro di banconote.

La fotografia di Phileas Fogg, depositata presso il Club della Riforma come quella di tutti i suoi colleghi,  fu oggetto  di  attento  esame.  Essa  riproduceva,   lineamento  per  lineamento,  tutti  i  connotati dell’individuo di cui aveva parlato l’inchiesta! Ognuno ricordò adesso il gran mistero che  circondava  la  vita  di  Phileas  Fogg,  il  suo isolamento,   la  sua  precipitata  partenza.   Era  chiaro  che  quel personaggio,  con il pretesto di compiere l’iperbolico viaggio intorno al  mondo  ed  appoggiandolo sopra una scommessa insensata,  non aveva avuto altro scopo che di far perdere le  proprie  tracce  agli  agenti della polizia inglese.

NOTE.

NOTA  1:  Il «caso “Alabama”» (o affare dell’«Alabama») consistette in

una grave tensione tra gli Stati Uniti e  l’Inghilterra:  quest’ultima

infatti  aveva  costruito  durante  la  guerra  di Secessione diciotto

incrociatori,  il più famoso dei quali  fu  appunto  l’«Alabama»,  che

causò  ingenti  perdite  alla  marina mercantile degli Stati Uniti,  i quali,   al  termine  della  guerra  chiesero  un  risarcimento  danni all’Inghilterra.    Quest’ultima,    condannata    da   un   tribunale

internazionale a Ginevra il 14 settembre  1872,  acconsentì  a  pagare agli Stati Uniti un’indennità di quindici milioni e mezzo di dollari.

 

 

6.

IL DETECTIVE FIX DIMOSTRA UNA BEN LEGITTIMA IMPAZIENZA.

Il  sensazionale dispaccio riguardante il ladro di banconote era stato spedito in circostanze che bisogna chiarire.  Per le undici antimeridiane del mercoledì 9 ottobre era atteso a  Suez l’arrivo  del  «Mongolia»,  un  piroscafo  ad  elica  e a falso ponte, appartenente alla Compagnia Peninsulare ed Orientale e  che  faceva  i viaggi tra Brindisi e Bombay,  passando per il canale di Suez. Era uno dei più veloci marciatori della Compagnia e con le sue 2800 tonnellate di stazza e la sua forza nominale di 500 cavalli,  superava sempre  la velocità  stabilita  di  10  miglia all’ora nel tratto Brindisi-Suez e 9,530 miglia nel tratto Suez-Bombay.

Sul molo d’imbarco,  attendevano l’arrivo del «Mongolia» due individui che  passeggiavano  mescolati  a  una  gran  folla  di  indigeni  e di stranieri,  che confluiscono in questa città,  in passato soltanto  un borgo  al  quale  la  grande  opera  di Lesseps garantisce un avvenire considerevole.

Di questi due, uno era l’agente consolare del Regno Unito, residente a Suez e che -  a  dispetto  delle  spiacevoli  previsioni  del  governo britannico  e  delle  sinistre  predizioni dell’ingegnere Stephenson - vedeva ogni giorno  delle  imbarcazioni  britanniche  attraversare  il canale,  abbreviando  così  di  metà  l’antica  rotta dall’Inghilterra all’India passando per il Capo di Buona Speranza.  L’altro era un ometto magro, tutto nervi,  dalla fisionomia abbastanza intelligente   e   che   contraeva  con  insistenza  i  muscoli  delle sopracciglia.  Gli occhi gli brillavano straordinariamente vividi;  ma egli   sapeva  a  volontà  spegnerne  il  lampo  sotto  l’ombra  delle lunghissime ciglia.  In quel momento dava certi segni  di  impazienza, andando e venendo, senza potersi fermare un istante.  Questo  personaggio  rispondeva al nome di Fix ed era uno dei numerosi “detectives” o agenti  investigatori  sparpagliati  dalla  polizia  di Londra  in  numerosi  porti  dopo  il famoso furto commesso alla Banca d’Inghilterra.  Compito di Fix  era  di  sorvegliare  con  la  massima scrupolosità tutti i viaggiatori che passavano da Suez, e, se qualcuno gli  fosse  parso  sospetto,  metterglisi  alle  calcagna fintanto che giungesse il mandato d’arresto.

Già da due giorni la polizia di Londra aveva trasmesso ai suoi  segugi i   connotati   del   presunto  autore  del  furto:  quelli  cioè  del “gentleman”,  che era stato notato  nella  sala  dei  pagamenti  della Banca.  E ora Fix, più che allettato dal vistoso premio promesso a chi fosse riuscito ad acciuffare il manigoldo, aspettava il «Mongolia» con una impazienza facilmente comprensibile.

E voi dite,  signor Console,  - chiese per la decima volta,  che  il piroscafo non può tardare?

No,  signor Fix. E’ stato segnalato questa mattina al largo di Porto Said;  e i 160 chilometri del Canale sono un nonnulla  per  un  simile camminatore.  Vi ripeto che il «Mongolia» ha sempre vinto il premio di 25 sterline che il Governo corrisponde per ogni anticipo di 24 ore sui tempi regolamentari.

Codesto piroscafo viene direttamente da Brindisi?

Sì,  ed ha fatto  coincidenza  con  la  «Valigia  delle  Indie».  Da Brindisi  è  partito  sabato  alle cinque pomeridiane.  Abbiate quindi pazienza: non può tardare ad essere in porto. Ma ora permettete che vi rivolga io una domanda.  Con i semplici connotati che avete  ricevuti, come potete sperare di riconoscere il vostro «uomo»,  se fosse a bordo del «Mongolia»?

Signor Console, simili persone, più che riconoscerle all’aspetto, si individuano al fiuto!  Bisogna  naturalmente  possedere  questo  senso particolarissimo,  a  cui  concorrono  l’udito,  la  vista e l’odorato insieme.  Io,  nella mia carriera,  ho arrestato  più  d’uno  di  tali galantuomini.  E  vi  giuro  che,  se  il  furfante è a bordo,  non mi sguscerà tra le mani.

Ve lo auguro, signor Fix, giacché si tratta di un furto notevole.

Oh, un furto magnifico! - esclamò il “detective” entusiasmandosi.  - Cinquantacinquemila sterline!  Cuccagne che capitano di rado.  I ladri cominciano a diventare meschini.  La razza degli Sheppars  comincia  a diradarsi! Adesso ci si fa impiccare per pochi scellini!

Signor Fix,  - rispondeva il Console,  - voi parlate in maniera tale che vi auguro di cuore di  riuscire.  Tuttavia  vi  ripeto  che  nelle condizioni  in  cui voi siete ho molto timore che questo sia piuttosto difficile.  Dai connotati che vi sono  stati  trasmessi,  secondo  me, questo ladro assomiglia del tutto a un onest’uomo, sapete?

Signor Console,  - rispose con aria sicura l’ispettore di polizia, - i grandi ladri assomigliano sempre a dei galantuomini. Voi capite bene che chi ha la faccia del furfante non può fare altro  che  conservarsi galantuomo,   diversamente  l’arresterebbero  subito.   Le  fisionomie oneste: ecco quelle  che  bisogna  sapere  particolarmente  penetrare.  Lavoro difficile,  ne convengo: più che una professione,  è una vera e propria arte.

Fix non mancava,  senza dubbio,  di una discreta dose di amor proprio.  Frattanto sulla banchina andava crescendo l’animazione. Marinai d’ogni nazionalità,   “fellah”,   commercianti,   sensali,   facchini  vi  si affollavano pigiandosi,  urtandosi,  vociando.  L’arrivo del piroscafo era evidentemente imminente.

In mezzo a tutta questa gente, Fix, per una inveterata abitudine della sua  professione,  scrutava  in volto con un’occhiata tutti quelli che gli passavano vicini.

Scoccarono le dieci e mezzo.

Ma non arriva mai, questo piroscafo! - esclamò,  sentendo l’orologio del porto che suonava l’ora.

Non può essere lontano - rispose il Console.

Quanto tempo si fermerà a Suez il «Mongolia»? - chiese Fix.

Quattro  ore  circa:  il  tempo occorrente per fare rifornimento di carbone.  La navigazione  nel  Mar  Rosso,  da  Suez  ad  Aden,  è  di trecentodieci  miglia;  perciò  bisogna assicurarsi buona provvista di combustibile.

E da Suez il piroscafo andrà direttamente a Bombay?

Sì, senza toccare alcuno scalo intermedio.

Allora, - concluse Fix con tono di sicurezza, - se il ladro ha preso questa strada,  sbarca indubbiamente  a  Suez,  con  il  proposito  di portarsi  per  altra  via nei possedimenti olandesi o francesi d’Asia.  Egli deve ben capire che per  lui  non  spirerebbe  buon  vento  nelle Indie, che sono territorio inglese.

A  meno che - obiettò il Console,  - non si tratti come suol dirsi, d’un furfante di prima classe.  Allora  egli  saprebbe  che  un  ladro inglese  è  sempre  meglio  nascosto  a  Londra di quanto non potrebbe esserlo all’estero.

Fatta questa riflessione che lasciò  sconcertato  il  “detective”,  il Console  ritornò al proprio ufficio situato nelle adiacenze del porto.  E Fix rimase solo.  Sempre più posseduto dal nervosismo e dal bizzarro presentimento  che  il  ladro  dovesse  trovarsi  proprio  a bordo del «Mongolia», egli andava ripetendo in cuor suo:

«Una cosa è certa:  se  il  furfante  ha  lasciato  l’Inghilterra  per mettersi in salvo in America,  deve aver preferito la via delle Indie, meno sorvegliata  o  più  difficile  a  sorvegliarsi  che  non  quella dell’Atlantico».

Le   riflessioni   di  Fix  furono  interrotte  da  prolungati  fischi annuncianti l’arrivo del piroscafo. L’orda dei facchini e dei “fellah” si precipitò verso il molo di sbarco con un tumulto un po’ inquietante per le membra e i vestiti dei passeggeri.  Una diecina di  canotti  si staccarono dalla riva e si diressero verso il «Mongolia».  Quasi  subito si scorse il gigantesco scafo dello “steamer” che filava tra le rive del Canale;  e alle undici in punto il piroscafo entrò  ad ancorarsi  in  rada,  sprigionando  fragorosi  sbuffi  di vapore dalla ciminiera.

Il «Mongolia» giungeva carico di  passeggeri.  Gran  parte  di  questi sostarono  a  lungo sul ponte ad ammirare il panorama pittoresco della città, ma la maggior parte discesero a terra con i canotti che s’erano accostati al «Mongolia».

Il “detective” esaminava minuziosamente quanti di essi mettevano piede sulla banchina.

Ad un certo momento uno di quei passeggeri, dopo avere respinto a viva forza i “fellah” che lo assalivano con le loro offerte di servigi,  si fece  incontro  a  Fix  e  assai  garbatamente  gli  chiese se sapesse indicargli gli uffici  del  Consolato  inglese.  Intanto  spiegava  un passaporto,  su  cui  senza  dubbio  bramava di far apporre il «visto» britannico. Fix,  di istinto,  prese il documento;  e con una occhiata esperta lesse da capo a fondo lo specchietto dei connotati.  A stento il “detective” trattenne un moto di sorpresa. Il foglio tremò nelle sue mani: i connotati registrati sul passaporto erano identici a quelli trasmessi dalla polizia di Londra.

Questo passaporto è vostro? - chiese Fix al forestiero.

No; è del mio padrone.

E il vostro padrone dove si trova?

A bordo.

Ma,  - replicò il “detective”, - occorre che egli stesso si presenti agli uffici del Console per stabilire l’identità personale.

Come, è proprio necessario?

Indispensabile.

E dove sono gli uffici?

Laggiù,  all’angolo della piazza - rispose Fix,  indicando una bassa ed elegante costruzione discosta un duecento passi.

Allora  vado  a cercare il mio padrone,  al quale non garberà certo incomodarsi.

Ciò detto, il forestiero salutò Fix e risalì a bordo dello “steamer”.

 

7.

SI HA UN’ULTERIORE PROVA CHE, IN QUESTIONI DI POLIZIA, I PASSAPORTI SI RIVELANO INUTILI.

Fix ripercorse la banchina e raggiunse immediatamente gli  uffici  del Console.  Chiese  di  parlare  d’urgenza con l’alto funzionario;  e fu subito introdotto.

Signor Console, - gli disse senza alcun preambolo,  - il nostro uomo viaggia a bordo del «Mongolia»!

E  narrò  l’incontro  con il servo,  e la presentazione del passaporto rivelatore.

Benissimo, signor Fix!  - esclamò il Console.  - Sarei proprio lieto di vedere in faccia il furfante! Ma se è quel che è, certamente non si presenterà  nel mio ufficio.  Un ladro non ama lasciar dietro di sé la traccia del proprio passaggio.  D’altronde la  formalità  del  «visto» consolare non è più obbligatoria...

Signor Console, - interruppe il “detective”, - io vi dico invece che se il ladro è un uomo di prima forza, come conviene supporre, verrà!

A far vidimare il suo passaporto?

Sì.  I  passaporti  non  servono  mai ad altro che ad impacciare le persone oneste e a favorire la fuga  dei  bricconi.  Vi  assicuro  che questo sarà in regola; ma spero bene che voi non lo vidimerete.

E  perché no?  - rispose con tono di stupore il funzionario.  Se il passaporto è in regola,  io non ho il  diritto  di  rifiutare  il  mio «visto».

Tuttavia,  signor Console,  è necessario che io trattenga qui questo individuo finché mi giunga da Londra il regolare mandato di cattura!

Ah, ciò poi, signor Fix, è affare vostro. Ma io non posso...

Il Console non terminò la frase.  In quel momento  era  stato  bussato alla porta dello studio; e il fattorino introdusse due forestieri. Fix riconobbe immediatamente in uno di essi il servo con cui aveva parlato poco prima.

Erano  difatti  il  padrone  e  il  suo  servitore.  Il primo esibì il passaporto,  pregando brevemente il Console affinché si compiacesse di apporvi il «visto».

Il  funzionario  ritirò il documento e lo esaminò,  mentre Fix,  da un angolo della stanza dove  si  era  tenuto  in  disparte,  osservava  o piuttosto divorava con gli occhi il gentiluomo forestiero.

Voi  siete Sir Phileas Fogg?  - chiese a questi il Console,  appena ebbe terminato di verificare il passaporto.

Sì, signore - rispose il “gentleman”.

E codesto giovane è il vostro domestico?

Sì. Un francese di nome Passepartout.

Venite da Londra?

Sì.

E andate?

A Bombay.

Bene,  signore.  Sapete che la formalità  della  vidimazione  non  è obbligatoria,  e  che non si esige più la presentazione del passaporto agli uffici del Consolato.

Lo so - rispose Phileas Fogg.  -  Ma  desidero  comprovare,  con  il vostro «visto», il mio passaggio da Suez.

Non ho nulla in contrario a soddisfarvi, signore.

Firmato  e  datato  il passaporto,  il funzionario vi appose il timbro consolare.  Fogg pagò i diritti di vidimazione e dopo aver rigidamente salutato uscì seguito dal suo servo.

Ebbene?... - chiese Fix al Console appena furono soli.

Ebbene,  se debbo dirvi la verità, signor Fix, quell’individuo mi ha tutta l’aria di un perfetto galantuomo.

Possibilissimo - rispose il “detective”.  -  Ma  ciò  non  significa nulla.  Ditemi  piuttosto: non vi pare che quel flemmatico “gentleman” somigli lineamento per lineamento  al  ladro  di  cui  la  polizia  ha trasmesso i connotati?

Ne convengo. Tuttavia lo sapete bene che a volte i connotati...

Basta. Ci voglio veder chiaro - concluse precipitosamente Fix.

Il  servo mi sembra meno indecifrabile del padrone;  inoltre,  è un francese,  e non sarà difficile  farlo  parlare.  Arrivederla,  signor Console!

Cacciatosi  il  cappello  in testa,  il “detective” uscì di corsa e si pose alla ricerca di Passepartout.

Frattanto Phileas Fogg dopo aver lasciato  la  sede  consolare,  aveva raggiunto il molo. Lì, dati alcuni ordini al servo e lasciato questi a terra,  s’imbarcò  su una lancia.  Tornò a bordo del «Mongolia»,  e si ritirò nella propria  cabina.  Prese  allora  l’elegante  taccuino  da viaggio su cui erano segnate le seguenti note:

«Lasciato Londra, mercoledì 2 ottobre, ore 8 e 45, sera.

«Arrivo a Parigi, giovedì 3 ottobre, ore 7 e 20, mattino.

«Lasciato Parigi, ore 8 e 40, mattino.

«Arrivo,  per il Moncenisio,  a Torino, venerdì 4 ottobre, ore 6 e 35, mattino.

«Lasciato Torino, venerdì, ore 7 e 20 mattino.

«Arrivo a Brindisi, sabato 5 ottobre, ore 4 pomeriggio.

«Imbarco sul “Mongolia”, sabato, ore 5 sera.

«Arrivo a Suez, mercoledì 9 ottobre, ore 11, mattina.

«Totale ore impiegate: 158 e 112, equivalenti a giorni 6 e mezzo».

Phileas Fogg riportò  diligentemente  questi  dati  sopra  un  «foglio d’itinerario» tracciato a colonne,  su cui venivano messi in evidenza, dal 2 ottobre fino al  21  dicembre,  il  mese,  il  giorno,  l’orario regolamentare  e  l’orario effettivo di arrivo in ciascuna delle tappe principali: Parigi, Brindisi, Suez, Bombay, Calcutta, Singapore,  Hong Kong,  Yokohama,  San Francisco,  New York, Liverpool, Londra; sistema che permetteva di rilevare e calcolare a colpo d’occhio  il  tempo  di vantaggio o il ritardo realizzati in ogni singola parte del percorso.  Quel giorno 9 ottobre,  il signor Fogg registrò dunque il suo arrivo a Suez che, concordando con l’arrivo regolamentare, non lo costituiva né in anticipo    in  ritardo.  Indi  si  fece  servire  in  cabina  la colazione.

A  scomodarsi  per  vedere  la città non ci pensò neppure,  essendo di quella  aristocratica  categoria  d’Inglesi  che  fanno  visitare  dal proprio servo i paesi dove viaggiano.

 

 

 

 

 

 

 

8.

PASSEPARTOUT   PARLA  FORSE  UN  PO’  DI  PIU’  DI  QUEL  CHE  SAREBBE CONVENIENTE.

In pochi istanti Fix aveva raggiunto sul molo Passepartout,  il  quale gironzolava  e  guardava  tutto  a  destra  e  a  sinistra  con enorme interesse.

Ebbene,  giovanotto,  - gli  disse  all’improvviso  il  “detective”, battendogli una mano sulla spalla, - è vidimato il vostro passaporto?

Ah,  siete voi, signore? Obbligatissimo! sì, sì, siamo perfettamente in regola.

Sicché, ora vi prendete una vista del paese?

Appunto. Ma col mio padrone si viaggia così in fretta, che mi par di andare in sogno. Siamo proprio a Suez qui?

A Suez.

In Egitto?

In Egitto, certo.

In Africa, allora?!

In Africa.

In Africa! - ripeté Passepartout.  - Stento a crederlo!  Figuratevi, signore,  che io m’immaginavo di non andare più in là di Parigi.  E mi sarebbe piaciuto trattenermi un poco nella  mia  famosa  città.  Avrei visitato  tanto  volentieri  l’antico  cimitero,  e il Circo dei Campi Elisi...  Invece,  tutto quello che  ho  potuto  vedere  della  famosa capitale  fu dalla Stazione Nord alla Stazione di Lione,  attraverso i cristalli d’una carrozza e con una pioggia che diluviava, in una corsa precipitosa tra le 7 e 20 e le 8 e 40 del mattino.

Avete dunque molta fretta? - chiese il “detective”.

Io no;  ma è il  mio  padrone  che  ha  fretta.  A  proposito!  devo comperargli delle calze e delle camicie.  Siamo partiti senza valigia, con un semplice sacco da viaggio.

Vi condurrò io in un bazar dove troverete tutto quanto vi occorre.

Oh,  siete davvero di  una  gentilezza  squisita,  signore!  esclamò Passepartout.

E si avviò in compagnia dello sconosciuto.  Strada facendo, continuava a discorrere.

Purché - disse ad un certo punto,  - non mi si faccia tardi  per  la partenza del piroscafo!

Avete tempo - rispose Fix. - E’ appena l’una.

Passepartout cavò da taschino il suo enorme orologio.

Evvia, l’una! - esclamò. - Sono le dieci e cinquantadue minuti.

Il vostro orologio ritarda - disse Fix.

Il mio orologio?!  Un orologio di famiglia,  che è appartenuto a mio bisnonno.  Non sbaglia di cinque minuti in un anno.  E’  un  autentico cronometro!

Vi  spiegherò  come  stanno  le cose.  Voi avete mantenuto l’ora di Londra, che ritarda di circa due ore rispetto a Suez.