Arrivederci, signori. Alle 8 e 40 Phileas Fogg e il servo presero posto in uno stesso scompartimento. Alle 8 e 45 si udì un fischio, e il treno si mosse. La notte era nera. Cadeva una pioggia minuta. Phileas Fogg rannicchiato nel suo angolo non parlava. Passepartout ancora sbalordito, si stringeva macchinalmente al petto il sacco delle banconote. Ma il treno non aveva oltrepassato Sydenham, quando Passepartout gettò un grido d’angoscia.
Che avete? - domandò il signor Fogg.
C’è che... nella fretta... nel turbamento... ho dimenticato...
Che cosa?
Di spegnere il becco a gas nella mia camera!
Ebbene, amico mio, - rispose freddamente il signor Fogg, esso arde a vostre spese.
NOTE.
NOTA 1: Una ghinea è pari a una sterlina e uno scellino, ossia 21 scellini.
NOTA 2: Soprabito da viaggio, di morbida lana pettinata, di solito di colore nocciola.
5.
ALLA BORSA DI LONDRA COMPARE UN NUOVO VALORE.
Phileas Fogg, lasciando Londra, non supponeva certo l’enorme scalpore che la sua partenza avrebbe suscitato.
La notizia della scommessa si diffuse dapprima al Club della Riforma e produsse una vera impressione fra i membri di quell’onorevole Circolo. Poi dal Club si trasmise ai giornali attraverso i cronisti, e dai giornali a tutto il pubblico di Londra e dell’intera Inghilterra. La «questione del giro del mondo» fu commentata, discussa, anatomizzata appassionatamente quasi si fosse trattato di un nuovo «caso “Alabama”» (1). Gli uni parteggiarono per Phileas Fogg; gli altri - e questi furono ben presto una maggioranza considerevole - si pronunciarono contro di lui. Il giro del mondo, da compiersi, ben altro che in teoria e sulla carta, entro quel “minimum” di tempo, con i mezzi di comunicazione allora in uso, era impresa non soltanto impossibile, ma addirittura insensata!
Il “Times”, lo “Standard”, l’”Evening Star”, il “Morning Chronicle” e più di venti altri giornali inglesi di vasta diffusione si dichiararono contro il signor Fogg. Solo il “Daily Telegraph” lo sostenne, per quanto debolmente. Fogg fu qualificato un maniaco, un pazzo; e i suoi colleghi del Club della Riforma furono biasimati per avere accettato quella scommessa che denotava, in chi l’aveva fatta, un indebolimento delle facoltà mentali.
Si versarono fiumi d’inchiostro; si pubblicarono articoli pieni di passione ma logici. E siccome in Inghilterra tutto ciò che riguarda la geografia desta enorme interesse, non c’era lettore di qualsiasi condizione che non divorasse le colonne dedicate al caso di Sir Phileas Fogg.
Durante i primi giorni alcune menti audaci gli furono favorevoli, e soprattutto le donne, particolarmente allorché l’”Illustrated London News” ebbe pubblicato il ritratto del “gentleman” quale si trovava depositato negli archivi del Club. Qualcuno osava dire: «Eh, perché no, alla fin fine? Se ne sono viste di più straordinarie!». Si trattava senz’altro di lettori del “Daily Telegraph”. Ma presto anche questo giornale cominciò a cedere: una voce assai autorevole si era fatta sentire nel campo delle opinioni contrarie. Si trattava di un lungo articolo comparso il 7 ottobre sul “Bollettino della Società Reale di Geografia”. Esso esaminava la questione sotto ogni punto di vista, e dimostrava chiaramente che l’impresa era una follia. Tutto stava contro il viaggiatore: ostacoli dall’uomo, ostacoli dalla natura. Per riuscire, sarebbe occorso che si verificasse un’esattezza miracolosa negli orari di partenza e d’arrivo dei mezzi impiegati, esattezza che non esisteva, che non poteva esistere. A stretto rigore, appena in Europa, dove i tragitti sono di una lunghezza relativamente mediocre, si può contare sull’arrivo dei treni ad ora esatta. Ma quando si impiegano tre giorni ad attraversare l’India, sette giorni ad attraversare gli Stati Uniti, come basare sulla puntualità dei mezzi gli elementi del problema? E i guasti di macchina, i disguidi, gli scontri, la cattiva stagione, l’ostacolo delle nevi, non erano tutte circostanze che stavano contro Phileas Fogg? Sui battelli egli non si sarebbe trovato, durante l’inverno, alla mercé dei venti e delle nebbie? E’ forse una cosa tanto rara che i più veloci piroscafi delle linee transoceaniche subiscano ritardi di due o tre giorni? Ora, sarebbe bastato un ritardo, uno solo, perché la catena delle coincidenze risultasse inesorabilmente spezzata. Se Phileas Fogg avesse perduto, anche per poche ore, la partenza di un piroscafo, si sarebbe trovato costretto ad attendere il piroscafo successivo: il suo viaggio sarebbe stato compromesso senza rimedio. L’articolo fece gran rumore. Tutti i giornali lo riportarono; e le azioni di Phileas Fogg ribassarono straordinariamente. Sì, proprio le «azioni», quelle che si commerciano in Borsa! Nei giorni immediatamente successivi alla partenza del “gentleman” importanti affari si erano intavolati sul rischio della sua mirabolante impresa. In Inghilterra c’è tutto un mondo di scommettitori; cosicché, non solo i membri del Club della Riforma fecero scommesse considerevoli pro e contro Phileas Fogg, ma il pubblico in massa entrò nel gioco. Si puntò su Phileas Fogg come si punta su un cavallo che corra all’ippodromo; e si creò, battezzandolo col suo nome, un nuovo valore di Borsa che venne regolarmente quotato e che andava a ruba. Ma dopo la pubblicazione del famoso articolo della Società di Geografia, gli acquisti delle «Phileas Fogg» cominciarono a diminuire. Le si offriva a mazzetti interi. Prese dapprima a cinque e poi a dieci, le si prendeva ormai solo a venti, a cinquanta, a cento!
Restò loro un solo appassionato. Era il vecchio paralitico Lord Albermale. Il buon “gentleman”, inchiodato sulla poltrona, avrebbe donato la sua fortuna per fare il giro del mondo, fosse pure in dieci anni! Ed egli scommise 5 mila sterline in favore di Phileas Fogg. E quando si tentava di fargli comprendere l’insensatezza del progetto oltre alla sua irrealizzabilità, egli si limitava a rispondere: «Se la cosa è fattibile, è bene che il primo a farla sia un inglese!». Ora le cose erano a questo punto: i partigiani di Phileas Fogg diventavano sempre più scarsi; tutti, e non senza motivo, si mettevano contro di lui; si prendevano le sue azioni a 150, a 200 contro una, quando, sette giorni dopo la sua partenza, un incidente, completamente inatteso, fece sì che esse venissero assolutamente rifiutate. In quella data, alle nove di sera, il Direttore della Polizia metropolitana aveva ricevuto il seguente dispaccio telegrafico:
«Suez - a Londra
Rowan, Direttore Polizia - Amministrazione Centrale - Scotland Place.
Seguo a vista ladro Banca, Phileas Fogg. Spedite immediatamente mandato di cattura a Bombay (Indie inglesi). Fix, “detective”».
L’effetto di questo dispaccio fu immediato. La figura dell’onorabilissimo “gentleman” tramontava per lasciare il campo a quella del ladro di banconote.
La fotografia di Phileas Fogg, depositata presso il Club della Riforma come quella di tutti i suoi colleghi, fu oggetto di attento esame. Essa riproduceva, lineamento per lineamento, tutti i connotati dell’individuo di cui aveva parlato l’inchiesta! Ognuno ricordò adesso il gran mistero che circondava la vita di Phileas Fogg, il suo isolamento, la sua precipitata partenza. Era chiaro che quel personaggio, con il pretesto di compiere l’iperbolico viaggio intorno al mondo ed appoggiandolo sopra una scommessa insensata, non aveva avuto altro scopo che di far perdere le proprie tracce agli agenti della polizia inglese.
NOTE.
NOTA 1: Il «caso “Alabama”» (o affare dell’«Alabama») consistette in
una grave tensione tra gli Stati Uniti e l’Inghilterra: quest’ultima
infatti aveva costruito durante la guerra di Secessione diciotto
incrociatori, il più famoso dei quali fu appunto l’«Alabama», che
causò ingenti perdite alla marina mercantile degli Stati Uniti, i quali, al termine della guerra chiesero un risarcimento danni all’Inghilterra. Quest’ultima, condannata da un tribunale
internazionale a Ginevra il 14 settembre 1872, acconsentì a pagare agli Stati Uniti un’indennità di quindici milioni e mezzo di dollari.
6.
IL DETECTIVE FIX DIMOSTRA UNA BEN LEGITTIMA IMPAZIENZA.
Il sensazionale dispaccio riguardante il ladro di banconote era stato spedito in circostanze che bisogna chiarire. Per le undici antimeridiane del mercoledì 9 ottobre era atteso a Suez l’arrivo del «Mongolia», un piroscafo ad elica e a falso ponte, appartenente alla Compagnia Peninsulare ed Orientale e che faceva i viaggi tra Brindisi e Bombay, passando per il canale di Suez. Era uno dei più veloci marciatori della Compagnia e con le sue 2800 tonnellate di stazza e la sua forza nominale di 500 cavalli, superava sempre la velocità stabilita di 10 miglia all’ora nel tratto Brindisi-Suez e 9,530 miglia nel tratto Suez-Bombay.
Sul molo d’imbarco, attendevano l’arrivo del «Mongolia» due individui che passeggiavano mescolati a una gran folla di indigeni e di stranieri, che confluiscono in questa città, in passato soltanto un borgo al quale la grande opera di Lesseps garantisce un avvenire considerevole.
Di questi due, uno era l’agente consolare del Regno Unito, residente a Suez e che - a dispetto delle spiacevoli previsioni del governo britannico e delle sinistre predizioni dell’ingegnere Stephenson - vedeva ogni giorno delle imbarcazioni britanniche attraversare il canale, abbreviando così di metà l’antica rotta dall’Inghilterra all’India passando per il Capo di Buona Speranza. L’altro era un ometto magro, tutto nervi, dalla fisionomia abbastanza intelligente e che contraeva con insistenza i muscoli delle sopracciglia. Gli occhi gli brillavano straordinariamente vividi; ma egli sapeva a volontà spegnerne il lampo sotto l’ombra delle lunghissime ciglia. In quel momento dava certi segni di impazienza, andando e venendo, senza potersi fermare un istante. Questo personaggio rispondeva al nome di Fix ed era uno dei numerosi “detectives” o agenti investigatori sparpagliati dalla polizia di Londra in numerosi porti dopo il famoso furto commesso alla Banca d’Inghilterra. Compito di Fix era di sorvegliare con la massima scrupolosità tutti i viaggiatori che passavano da Suez, e, se qualcuno gli fosse parso sospetto, metterglisi alle calcagna fintanto che giungesse il mandato d’arresto.
Già da due giorni la polizia di Londra aveva trasmesso ai suoi segugi i connotati del presunto autore del furto: quelli cioè del “gentleman”, che era stato notato nella sala dei pagamenti della Banca. E ora Fix, più che allettato dal vistoso premio promesso a chi fosse riuscito ad acciuffare il manigoldo, aspettava il «Mongolia» con una impazienza facilmente comprensibile.
E voi dite, signor Console, - chiese per la decima volta, che il piroscafo non può tardare?
No, signor Fix. E’ stato segnalato questa mattina al largo di Porto Said; e i 160 chilometri del Canale sono un nonnulla per un simile camminatore. Vi ripeto che il «Mongolia» ha sempre vinto il premio di 25 sterline che il Governo corrisponde per ogni anticipo di 24 ore sui tempi regolamentari.
Codesto piroscafo viene direttamente da Brindisi?
Sì, ed ha fatto coincidenza con la «Valigia delle Indie». Da Brindisi è partito sabato alle cinque pomeridiane. Abbiate quindi pazienza: non può tardare ad essere in porto. Ma ora permettete che vi rivolga io una domanda. Con i semplici connotati che avete ricevuti, come potete sperare di riconoscere il vostro «uomo», se fosse a bordo del «Mongolia»?
Signor Console, simili persone, più che riconoscerle all’aspetto, si individuano al fiuto! Bisogna naturalmente possedere questo senso particolarissimo, a cui concorrono l’udito, la vista e l’odorato insieme. Io, nella mia carriera, ho arrestato più d’uno di tali galantuomini. E vi giuro che, se il furfante è a bordo, non mi sguscerà tra le mani.
Ve lo auguro, signor Fix, giacché si tratta di un furto notevole.
Oh, un furto magnifico! - esclamò il “detective” entusiasmandosi. - Cinquantacinquemila sterline! Cuccagne che capitano di rado. I ladri cominciano a diventare meschini. La razza degli Sheppars comincia a diradarsi! Adesso ci si fa impiccare per pochi scellini!
Signor Fix, - rispondeva il Console, - voi parlate in maniera tale che vi auguro di cuore di riuscire. Tuttavia vi ripeto che nelle condizioni in cui voi siete ho molto timore che questo sia piuttosto difficile. Dai connotati che vi sono stati trasmessi, secondo me, questo ladro assomiglia del tutto a un onest’uomo, sapete?
Signor Console, - rispose con aria sicura l’ispettore di polizia, - i grandi ladri assomigliano sempre a dei galantuomini. Voi capite bene che chi ha la faccia del furfante non può fare altro che conservarsi galantuomo, diversamente l’arresterebbero subito. Le fisionomie oneste: ecco quelle che bisogna sapere particolarmente penetrare. Lavoro difficile, ne convengo: più che una professione, è una vera e propria arte.
Fix non mancava, senza dubbio, di una discreta dose di amor proprio. Frattanto sulla banchina andava crescendo l’animazione. Marinai d’ogni nazionalità, “fellah”, commercianti, sensali, facchini vi si affollavano pigiandosi, urtandosi, vociando. L’arrivo del piroscafo era evidentemente imminente.
In mezzo a tutta questa gente, Fix, per una inveterata abitudine della sua professione, scrutava in volto con un’occhiata tutti quelli che gli passavano vicini.
Scoccarono le dieci e mezzo.
Ma non arriva mai, questo piroscafo! - esclamò, sentendo l’orologio del porto che suonava l’ora.
Non può essere lontano - rispose il Console.
Quanto tempo si fermerà a Suez il «Mongolia»? - chiese Fix.
Quattro ore circa: il tempo occorrente per fare rifornimento di carbone. La navigazione nel Mar Rosso, da Suez ad Aden, è di trecentodieci miglia; perciò bisogna assicurarsi buona provvista di combustibile.
E da Suez il piroscafo andrà direttamente a Bombay?
Sì, senza toccare alcuno scalo intermedio.
Allora, - concluse Fix con tono di sicurezza, - se il ladro ha preso questa strada, sbarca indubbiamente a Suez, con il proposito di portarsi per altra via nei possedimenti olandesi o francesi d’Asia. Egli deve ben capire che per lui non spirerebbe buon vento nelle Indie, che sono territorio inglese.
A meno che - obiettò il Console, - non si tratti come suol dirsi, d’un furfante di prima classe. Allora egli saprebbe che un ladro inglese è sempre meglio nascosto a Londra di quanto non potrebbe esserlo all’estero.
Fatta questa riflessione che lasciò sconcertato il “detective”, il Console ritornò al proprio ufficio situato nelle adiacenze del porto. E Fix rimase solo. Sempre più posseduto dal nervosismo e dal bizzarro presentimento che il ladro dovesse trovarsi proprio a bordo del «Mongolia», egli andava ripetendo in cuor suo:
«Una cosa è certa: se il furfante ha lasciato l’Inghilterra per mettersi in salvo in America, deve aver preferito la via delle Indie, meno sorvegliata o più difficile a sorvegliarsi che non quella dell’Atlantico».
Le riflessioni di Fix furono interrotte da prolungati fischi annuncianti l’arrivo del piroscafo. L’orda dei facchini e dei “fellah” si precipitò verso il molo di sbarco con un tumulto un po’ inquietante per le membra e i vestiti dei passeggeri. Una diecina di canotti si staccarono dalla riva e si diressero verso il «Mongolia». Quasi subito si scorse il gigantesco scafo dello “steamer” che filava tra le rive del Canale; e alle undici in punto il piroscafo entrò ad ancorarsi in rada, sprigionando fragorosi sbuffi di vapore dalla ciminiera.
Il «Mongolia» giungeva carico di passeggeri. Gran parte di questi sostarono a lungo sul ponte ad ammirare il panorama pittoresco della città, ma la maggior parte discesero a terra con i canotti che s’erano accostati al «Mongolia».
Il “detective” esaminava minuziosamente quanti di essi mettevano piede sulla banchina.
Ad un certo momento uno di quei passeggeri, dopo avere respinto a viva forza i “fellah” che lo assalivano con le loro offerte di servigi, si fece incontro a Fix e assai garbatamente gli chiese se sapesse indicargli gli uffici del Consolato inglese. Intanto spiegava un passaporto, su cui senza dubbio bramava di far apporre il «visto» britannico. Fix, di istinto, prese il documento; e con una occhiata esperta lesse da capo a fondo lo specchietto dei connotati. A stento il “detective” trattenne un moto di sorpresa. Il foglio tremò nelle sue mani: i connotati registrati sul passaporto erano identici a quelli trasmessi dalla polizia di Londra.
Questo passaporto è vostro? - chiese Fix al forestiero.
No; è del mio padrone.
E il vostro padrone dove si trova?
A bordo.
Ma, - replicò il “detective”, - occorre che egli stesso si presenti agli uffici del Console per stabilire l’identità personale.
Come, è proprio necessario?
Indispensabile.
E dove sono gli uffici?
Laggiù, all’angolo della piazza - rispose Fix, indicando una bassa ed elegante costruzione discosta un duecento passi.
Allora vado a cercare il mio padrone, al quale non garberà certo incomodarsi.
Ciò detto, il forestiero salutò Fix e risalì a bordo dello “steamer”.
7.
SI HA UN’ULTERIORE PROVA CHE, IN QUESTIONI DI POLIZIA, I PASSAPORTI SI RIVELANO INUTILI.
Fix ripercorse la banchina e raggiunse immediatamente gli uffici del Console. Chiese di parlare d’urgenza con l’alto funzionario; e fu subito introdotto.
Signor Console, - gli disse senza alcun preambolo, - il nostro uomo viaggia a bordo del «Mongolia»!
E narrò l’incontro con il servo, e la presentazione del passaporto rivelatore.
Benissimo, signor Fix! - esclamò il Console. - Sarei proprio lieto di vedere in faccia il furfante! Ma se è quel che è, certamente non si presenterà nel mio ufficio. Un ladro non ama lasciar dietro di sé la traccia del proprio passaggio. D’altronde la formalità del «visto» consolare non è più obbligatoria...
Signor Console, - interruppe il “detective”, - io vi dico invece che se il ladro è un uomo di prima forza, come conviene supporre, verrà!
A far vidimare il suo passaporto?
Sì. I passaporti non servono mai ad altro che ad impacciare le persone oneste e a favorire la fuga dei bricconi. Vi assicuro che questo sarà in regola; ma spero bene che voi non lo vidimerete.
E perché no? - rispose con tono di stupore il funzionario. Se il passaporto è in regola, io non ho il diritto di rifiutare il mio «visto».
Tuttavia, signor Console, è necessario che io trattenga qui questo individuo finché mi giunga da Londra il regolare mandato di cattura!
Ah, ciò poi, signor Fix, è affare vostro. Ma io non posso...
Il Console non terminò la frase. In quel momento era stato bussato alla porta dello studio; e il fattorino introdusse due forestieri. Fix riconobbe immediatamente in uno di essi il servo con cui aveva parlato poco prima.
Erano difatti il padrone e il suo servitore. Il primo esibì il passaporto, pregando brevemente il Console affinché si compiacesse di apporvi il «visto».
Il funzionario ritirò il documento e lo esaminò, mentre Fix, da un angolo della stanza dove si era tenuto in disparte, osservava o piuttosto divorava con gli occhi il gentiluomo forestiero.
Voi siete Sir Phileas Fogg? - chiese a questi il Console, appena ebbe terminato di verificare il passaporto.
Sì, signore - rispose il “gentleman”.
E codesto giovane è il vostro domestico?
Sì. Un francese di nome Passepartout.
Venite da Londra?
Sì.
E andate?
A Bombay.
Bene, signore. Sapete che la formalità della vidimazione non è obbligatoria, e che non si esige più la presentazione del passaporto agli uffici del Consolato.
Lo so - rispose Phileas Fogg. - Ma desidero comprovare, con il vostro «visto», il mio passaggio da Suez.
Non ho nulla in contrario a soddisfarvi, signore.
Firmato e datato il passaporto, il funzionario vi appose il timbro consolare. Fogg pagò i diritti di vidimazione e dopo aver rigidamente salutato uscì seguito dal suo servo.
Ebbene?... - chiese Fix al Console appena furono soli.
Ebbene, se debbo dirvi la verità, signor Fix, quell’individuo mi ha tutta l’aria di un perfetto galantuomo.
Possibilissimo - rispose il “detective”. - Ma ciò non significa nulla. Ditemi piuttosto: non vi pare che quel flemmatico “gentleman” somigli lineamento per lineamento al ladro di cui la polizia ha trasmesso i connotati?
Ne convengo. Tuttavia lo sapete bene che a volte i connotati...
Basta. Ci voglio veder chiaro - concluse precipitosamente Fix.
Il servo mi sembra meno indecifrabile del padrone; inoltre, è un francese, e non sarà difficile farlo parlare. Arrivederla, signor Console!
Cacciatosi il cappello in testa, il “detective” uscì di corsa e si pose alla ricerca di Passepartout.
Frattanto Phileas Fogg dopo aver lasciato la sede consolare, aveva raggiunto il molo. Lì, dati alcuni ordini al servo e lasciato questi a terra, s’imbarcò su una lancia. Tornò a bordo del «Mongolia», e si ritirò nella propria cabina. Prese allora l’elegante taccuino da viaggio su cui erano segnate le seguenti note:
«Lasciato Londra, mercoledì 2 ottobre, ore 8 e 45, sera.
«Arrivo a Parigi, giovedì 3 ottobre, ore 7 e 20, mattino.
«Lasciato Parigi, ore 8 e 40, mattino.
«Arrivo, per il Moncenisio, a Torino, venerdì 4 ottobre, ore 6 e 35, mattino.
«Lasciato Torino, venerdì, ore 7 e 20 mattino.
«Arrivo a Brindisi, sabato 5 ottobre, ore 4 pomeriggio.
«Imbarco sul “Mongolia”, sabato, ore 5 sera.
«Arrivo a Suez, mercoledì 9 ottobre, ore 11, mattina.
«Totale ore impiegate: 158 e 112, equivalenti a giorni 6 e mezzo».
Phileas Fogg riportò diligentemente questi dati sopra un «foglio d’itinerario» tracciato a colonne, su cui venivano messi in evidenza, dal 2 ottobre fino al 21 dicembre, il mese, il giorno, l’orario regolamentare e l’orario effettivo di arrivo in ciascuna delle tappe principali: Parigi, Brindisi, Suez, Bombay, Calcutta, Singapore, Hong Kong, Yokohama, San Francisco, New York, Liverpool, Londra; sistema che permetteva di rilevare e calcolare a colpo d’occhio il tempo di vantaggio o il ritardo realizzati in ogni singola parte del percorso. Quel giorno 9 ottobre, il signor Fogg registrò dunque il suo arrivo a Suez che, concordando con l’arrivo regolamentare, non lo costituiva né in anticipo né in ritardo. Indi si fece servire in cabina la colazione.
A scomodarsi per vedere la città non ci pensò neppure, essendo di quella aristocratica categoria d’Inglesi che fanno visitare dal proprio servo i paesi dove viaggiano.
8.
PASSEPARTOUT PARLA FORSE UN PO’ DI PIU’ DI QUEL CHE SAREBBE CONVENIENTE.
In pochi istanti Fix aveva raggiunto sul molo Passepartout, il quale gironzolava e guardava tutto a destra e a sinistra con enorme interesse.
Ebbene, giovanotto, - gli disse all’improvviso il “detective”, battendogli una mano sulla spalla, - è vidimato il vostro passaporto?
Ah, siete voi, signore? Obbligatissimo! sì, sì, siamo perfettamente in regola.
Sicché, ora vi prendete una vista del paese?
Appunto. Ma col mio padrone si viaggia così in fretta, che mi par di andare in sogno. Siamo proprio a Suez qui?
A Suez.
In Egitto?
In Egitto, certo.
In Africa, allora?!
In Africa.
In Africa! - ripeté Passepartout. - Stento a crederlo! Figuratevi, signore, che io m’immaginavo di non andare più in là di Parigi. E mi sarebbe piaciuto trattenermi un poco nella mia famosa città. Avrei visitato tanto volentieri l’antico cimitero, e il Circo dei Campi Elisi... Invece, tutto quello che ho potuto vedere della famosa capitale fu dalla Stazione Nord alla Stazione di Lione, attraverso i cristalli d’una carrozza e con una pioggia che diluviava, in una corsa precipitosa tra le 7 e 20 e le 8 e 40 del mattino.
Avete dunque molta fretta? - chiese il “detective”.
Io no; ma è il mio padrone che ha fretta. A proposito! devo comperargli delle calze e delle camicie. Siamo partiti senza valigia, con un semplice sacco da viaggio.
Vi condurrò io in un bazar dove troverete tutto quanto vi occorre.
Oh, siete davvero di una gentilezza squisita, signore! esclamò Passepartout.
E si avviò in compagnia dello sconosciuto. Strada facendo, continuava a discorrere.
Purché - disse ad un certo punto, - non mi si faccia tardi per la partenza del piroscafo!
Avete tempo - rispose Fix. - E’ appena l’una.
Passepartout cavò da taschino il suo enorme orologio.
Evvia, l’una! - esclamò. - Sono le dieci e cinquantadue minuti.
Il vostro orologio ritarda - disse Fix.
Il mio orologio?! Un orologio di famiglia, che è appartenuto a mio bisnonno. Non sbaglia di cinque minuti in un anno. E’ un autentico cronometro!
Vi spiegherò come stanno le cose. Voi avete mantenuto l’ora di Londra, che ritarda di circa due ore rispetto a Suez.
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