Ah... io non ci credo affatto.
Burlone! - rispose il francese, strizzando l’occhio.
Fix restò allibito. Quell’aggettivo e quell’espressione nascondevano certo un sottinteso. Che Passepartout gli avesse fiutato addosso la segreta qualità di “detective”?
Tale pensiero tormentò per più giorni il povero agente di polizia. Un bel mattino Passepartout gli accrebbe poi ancora maggiormente le pene con una maliziosa domanda:
Dite un po’, signor Fix, a Hong Kong avremo per caso la disgrazia di dovervi lasciare?
Ma... non so... Forse.
Ah, se ci accompagnaste sarebbe un vero piacere per me. Suvvia! Un agente della Compagnia Peninsulare non dovrebbe fermarsi a metà strada. Voi non andavate che a Bombay: ed eccovi fra poco in Cina! L’America non è lontana; e dall’America all’Europa non c’è che un passo.
Fix scrutava il suo interlocutore il quale mostrava la faccia più amabile di questo mondo. Pensò bene di ridere anche lui, e con grande sforzo ci riuscì. Ma quel giorno il francese era in vena.
Vi frutta molto il vostro mestiere, signor Fix? - chiese con un risolino all’angolo della bocca.
Sì e no. Ci sono buoni e cattivi affari. Ma capite bene che non viaggio a mie spese.
Oh, per questo, ne sono più che certo!
E Passepartout, dopo una risata fragorosa, girò sui tacchi e se ne andò.
Fix scese in cabina, si buttò desolatamente sulla cuccetta e si mise a riflettere.
«Sono stato scoperto!... Comunque sia, quel francese del demonio ha riconosciuto la mia qualità di “detective”. Ma ne avrà informato il suo padrone? Che parte gioca il servo in tutta la faccenda? E’ complice, o no? E io, devo considerare i miei piani irrimediabilmente falliti? Vediamo un poco...».
L’agente passò alcune ore difficili. Infine trovò un’ennesima risorsa. «Eh, via, io gioco d’astuzia! Se a Hong Kong non trovo il mandato pronto per arrestare immediatamente Fogg, e se capisco che egli sta per ripartire subito e lasciare, questa volta per sempre, il suolo inglese, spiffero tutto a Passepartout. O il servo è complice del padrone, e allora l’affare resta, come intanto lo sarebbe egualmente, definitivamente compromesso; o il servo non c’entra per nulla nel furto, e in questo caso, promettendogli una parte del premio, lo tiro con facilità dalla mia, e gli dimostro che è suo interesse abbandonare il padrone e aiutare me a trattenere Fogg a Hong Kong fintanto che giunga il mandato per arrestarlo».
Questa luminosa trovata ebbe la virtù di ristabilire un tantino di calma nel cervello scombussolatissimo di Fix. Questa era dunque la situazione rispettiva di questi due personaggi, e al di sopra di essi planava nella sua maestosa indifferenza Phileas Fogg. Egli compiva in modo razionale la sua orbita intorno al mondo, senza inquietarsi per gli asteroidi che gravitavano intorno a lui. Eppure, nelle vicinanze, vi era, come direbbero gli astronomi, un astro turbatore che avrebbe dovuto provocare certe perturbazioni nel cuore di questo gentiluomo. Invece nulla! Il fascino della signora Auda non aveva alcun effetto, con grande sorpresa di Passepartout, e le perturbazioni, se pur ve n’erano, sarebbero state più difficili da calcolare che non quelle di Uranio, che hanno portato alla scoperta di Nettuno.
Sì, quella era una meraviglia rinnovata ogni giorno per Passepartout che poteva leggere negli occhi della giovane un’infinita riconoscenza verso il suo padrone. Decisamente Phileas Fogg aveva un cuore per comportarsi in maniera coraggiosa, ma non per amare! Quanto alle preoccupazioni che le possibilità di questo viaggio potevano far nascere in lui, non ve n’era traccia. Passepartout, invece, viveva in una continua tensione. Un giorno stava appoggiato al parapetto dell’”engine room”, la sala macchine, e guardava il possente macchinario che ogni tanto si imbizzarriva, quando un violento movimento di beccheggio faceva girare vorticosamente l’elica al di sopra dei flutti; il vapore usciva allora sibilando dalle valvole, provocando una gran collera nel brav’uomo. «Non sono calibrate, quelle valvole!», esclamava. «Non si cammina! Ecco come sono quest’Inglesi! Ah!, se fosse una nave americana, forse si salterebbe in aria, ma si andrebbe ben più veloci!».
18.
PHILEAS FOGG, PASSEPARTOUT, FIX, OGNUNO PER PROPRIO CONTO, SI DEDICANO AI PROPRI AFFARI.
Negli ultimi giorni della traversata, il tempo fu abbastanza cattivo. Il vento divenne molto forte. Provenendo costantemente da nord-ovest, si opponeva alla marcia del piroscafo. Il «Rangoon», troppo instabile, rollò notevolmente e i passeggeri ebbero tutto il diritto di adirarsi con gli spaventosi cavalloni che il vento sollevava sull’acqua al largo.
Nei giorni 3 e 4 novembre ci fu una specie di tempesta. La burrasca batteva il mare con veemenza. Il «Rangoon» dovette mettere alla cappa per una mezza giornata, conservando solo dieci giri d’elica, in maniera da andare di sbieco con quei cavalloni. Le vele erano state serrate, ma il sartiame opponeva ancora troppa resistenza e faceva sibilare il vento che l’investiva. La velocità del piroscafo, lo si capisce bene, venne notevolmente diminuita e si poté cominciare a ritenere che si sarebbe arrivati ad Hong Kong con venti ore di ritardo sull’orario regolamentare, e forse anche di più, se la tempesta non fosse cessata.
Phileas Fogg assisteva con l’impassibilità abituale a quello spettacolo di un mare furioso che sembrava lottare direttamente contro di lui. La sua fronte non si corrugò per un solo istante, eppure un ritardo di venti ore poteva compromettere il suo viaggio facendogli perdere la coincidenza con il piroscafo per Yokohama. Ma quest’uomo niente affatto nervoso non provava né impazienza né irritazione. Sembrava proprio che questa tempesta rientrasse nei suoi programmi, che essa fosse prevista. La signora Auda, che parlò con il suo compagno di questo contrattempo, lo trovò calmo quanto nel passato. Fix, invece, non guardava queste cose con lo stesso occhio. Ben al contrario. Questa tempesta gli faceva piacere. La sua soddisfazione sarebbe stata persino senza limiti, se il «Rangoon», fosse stato obbligato a scappare dinanzi alla tormenta. Tutti questi ritardi andavano bene per lui, perché avrebbero obbligato il signor Fogg a restare qualche giorno ad Hong Kong. Finalmente il cielo, con le sue ventate e le sue burrasche, appoggiava il suo impegno. Stava un po’ male, ma che importava! Non teneva conto delle sue nausee e quando il suo corpo si torceva per il mal di mare, il suo spirito si rallegrava con una soddisfazione immensa.
Quanto a Passepartout è comprensibile con quanta collera poco dissimulata egli trascorresse questo tempo di prova. Fino a quel momento tutto era andato così bene! La terra e l’acqua sembravano essere a disposizione del suo padrone. Piroscafi e ferrovie gli obbedivano. Il vento e il vapore si univano per favorire il suo viaggio. Era infine suonata l’ora delle disillusioni? Passepartout, quasi che le ventimila sterline della scommessa dovessero uscire dalla sua borsa, non viveva più. Questa tempesta lo esasperava, questa bufera lo faceva infuriare, ed avrebbe volentieri frustato quel mare disobbediente! Povero ragazzo! Fix gli nascose con cura la sua soddisfazione personale, e fece bene, perché se Passepartout avesse intuito la contentezza nascosta di Fix, questi avrebbe passato un brutto quarto d’ora. Passepartout rimase sul ponte del «Rangoon» per tutto il tempo che durò la burrasca. Non avrebbe potuto restarsene in basso; si aggrappava all’alberatura; meravigliava l’equipaggio e s’impegnava in tutto con un’abilità da scimmia. Andò un centinaio di volte ad interrogare il capitano, gli ufficiali, i marinai che non potevano impedirsi di ridere, vedendo un ragazzo così sbalordito. Passepartout voleva assolutamente sapere quanto tempo sarebbe durata la tempesta. Lo si rispediva allora a controllare il barometro, che non si decideva a risalire. Passepartout scuoteva il barometro, ma non serviva a nulla, né gli scossoni né le ingiurie di cui egli copriva l’innocente strumento.
Finalmente la procella si calmò. Lo stato del mare si modificò nella giornata del 4 novembre. Il vento saltò di due quarti verso il sud e ridivenne favorevole.
Passepartout si rasserenò allo stesso modo del tempo. Vennero sciolte le gabbie e le vele, e il «Rangoon» riprese la sua strada con una meravigliosa velocità.
Ma non era possibile ricuperare tutto il tempo perduto. Bisognava accettare questa realtà dei fatti e la terra venne segnalata solo il 6 novembre alle cinque del mattino. Il calendario fissato da Phileas Fogg indicava l’arrivo del piroscafo al 5. Arrivando invece il giorno 6, aveva, dunque, ventiquattr’ore di ritardo. La partenza per Yokohama era, dunque, rimandata.
Alle 6, salì a bordo del «Rangoon» e prese posto sulla passerella il pilota che doveva guidare il piroscafo nel dedalo fino al porto di Hong Kong.
Passepartout moriva dalla voglia di interrogare quell’uomo e di chiedergli se il piroscafo di Yokohama avesse già lasciato Hong Kong. Ma non osava farlo, preferendo conservare un po’ di speranza fino all’ultimo istante. Egli aveva confidato le sue inquietudini a Fix il quale, da buona volpe, tentò di consolarlo dicendo che il signor Fogg sarebbe riuscito a prendere il piroscafo successivo. Ma questo provocava in Passepartout una rabbia velenosa. Tuttavia, se Passepartout non s’azzardò ad interrogare il pilota, Mister Fogg, dopo avere consultato il suo “Orario Bradshaw”, domandò con la sua solita aria tranquilla al pilota se egli sapeva quando sarebbe partito un battello da Hong Kong per Yokohama.
Domani, con la marea del mattino.
Bene - fece il signor Fogg senz’ombra di meraviglia.
Passepartout, presente al dialogo, avrebbe volentieri abbracciato il pilota, a cui Fix invece avrebbe con piacere torto il collo.
E qual è il nome dello steamer in partenza? - chiese ancora il signor Fogg.
Il «Carnatic».
Non doveva partire ieri?
Sì, signore. Ma si è resa necessaria una revisione alle caldaie; e la partenza è stata rimandata a domani.
Vi ringrazio dell’informazione - rispose Fogg, e con il suo passo da automa ridiscese nel salone del «Rangoon». Passepartout ne approfittò per slanciarsi ad afferrare la mano del pilota e stringerla con effusione.
Siete un grand’uomo! - gli gridò sul volto.
Il pilota non seppe mai spiegarsi il perché di quella stretta e di quell’elogio.
A un colpo di fischietto salì sulla plancia, e diresse con perfette manovra il «Rangoon» tra la flottiglia di giunche, di prahòs, di tankas e di battelli d’ogni specie che ingombravano la rada di Hong Kong.
Il caso questa volta si era alleato con Phileas Fogg! Senza quella necessità di una revisione alle caldaie, il «Carnatic» non sarebbe più stato in porto all’arrivo del «Rangoon», e i passeggeri diretti in Giappone avrebbero dovuto aspettare per otto giorni la partenza del piroscafo successivo. E’ vero che il signor Fogg in complesso si trovava con un ritardo di 24 ore rispetto ai tempi previsti; ma ciò non aveva conseguenza per il restante del viaggio, poiché da Yokohama il piroscafo per San Francisco non poteva partire fino a che non fosse giunto quello di Hong Kong, e d’altra parte le ore di ritardo sarebbero state facilmente ricuperate nei ventidue giorni di traversata del Pacifico. Siccome la partenza del «Carnatic» era annunziata per il mattino seguente, Phileas Fogg aveva davanti a sé sedici ore durante le quali poteva occuparsi della sistemazione della signora Auda. Sbarcò dando il braccio alla giovane compagna di viaggio; e noleggiò un palanchino, dopo aver chiesto ai portatori di indicargli un albergo di prima classe.
Gli fu suggerito l’«Hôtel du Club». Il palanchino vi si diresse, seguito da Passepartout che camminava a piedi. All’«Hôtel du Club», Phileas Fogg fissò un appartamento per la signora Auda. Qui la giovane indiana rimase in attesa del “gentleman” il quale frattanto si metteva immediatamente in cerca di quel tale onorevole Jejeeh, presso cui Auda pensava di trovare ospitalità. Phileas Fogg, sempre in palanchino, si fece condurre alla Borsa, ritenendo che là senza dubbio doveva essere conosciuto il ricco personaggio, uno dei più facoltosi della città. L’agente di cambio a cui Fogg si rivolse conosceva infatti il negoziante parsì. Ma diede notizia che da due anni costui non risiedeva più in Cina: radunata una bella fortuna, era andato a stabilirsi in Europa, in Olanda probabilmente, date le numerose relazioni che aveva sempre avute con quel paese durante la sua carriera commerciale.
Il “gentleman” tornò all’«Hôtel du Club»; fece chiedere alla signora Auda il permesso di salire a parlarle, e la informò del risultato delle ricerche.
La signora Auda tacque a lungo, soprappensiero. Si passò una mano sulla fronte, poi disse con la sua voce dolce:
Che devo fare, signor Fogg?
Semplicissimo, signora Auda; venirvene in Europa.
Ma non posso abusare...
Voi non abusate. E la vostra presenza non disturba affatto il mio programma. Passepartout!
Signore? - rispose il servo presentandosi.
Andate al porto, e fissate tre cabine sul «Carnatic».
Passepartout raggiante al pensiero di proseguire il viaggio in compagnia della signora Auda che era tanto benevola con lui, scese piroettando le scale dell’«Hôtel du Club».
19.
PASSEPARTOUT SI PREOCCUPA TROPPO DEL SUO PADRONE ED ECCO COSA NE DERIVA.
Hong Kong è soltanto un isolotto che il trattato di Nanchino, dopo la guerra del 1842, ha assegnato alla Gran Bretagna. Nel giro di pochi anni, il genio colonizzatore degli Inglesi vi ha fondato una importante città e vi ha creato un porto, il Porto Vittoria. Quest’isola è situata all’imbocco della foce di Canton, e solo 60 miglia la separano dalla città portoghese di Macao, costruita sull’altra riva. Hong Kong doveva necessariamente vincere Macao in un confronto commerciale, e attualmente la maggior parte del traffico cinese viene trattata dalla città inglese. Dei “docks”, degli ospedali, dei “wharfs”, dei magazzini, una cattedrale gotica, una «Governement-house» (sede del governo), delle strade con il fondo secondo il sistema di Mac Adam, tutto farebbe pensare che ci si trovi in una città commerciale delle contee di Kent o del Surrey, che dopo avere attraversato lo sferoide terrestre sia venuta a spuntare in questo punto della Cina, quasi ai suoi antipodi originari. Passepartout, con le mani ficcate in tasca, si diresse dunque verso il Porto Vittoria, guardando i palanchini, i carretti velati, ancora in vigore nel Celeste Impero, e tutta quella folla di Cinesi, di Giapponesi e di Europei, che si spintonava sulle strade.
Su per giù è ancora Bombay, Calcutta o Singapore che ritrovo sulla mia strada! - rifletteva il giovanotto. - Ho capito: tutt’intorno al mondo c’è come una fascia di città inglesi. Al porto trovò un formicolio di navi di tutte le nazionalità: inglesi, francesi, americane, olandesi; navi da guerra e navi mercantili, giunche, sampan, e persino piccole imbarcazioni adorne di ghirlande di fiori, che formavano sull’acqua delle specie di aiuole galleggianti. Entrato nella bottega d’un barbiere, per farsi radere, Passepartout ne uscì poco dopo, raso proprio alla cinese; poi si diresse al molo dove stava attraccato il «Carnatic».
Là, come c’era da aspettarselo, trovò Fix che passeggiava avanti e indietro.
Il “detective” aveva una faccia piena di dispetto, in conseguenza del fatto che il mandato gli mancava ancora. Quel disgraziatissimo documento gli correva dietro, e naturalmente non poteva raggiungerlo finché Fix non si fosse fermato almeno un po’ di tempo in un qualunque porto d’arrivo.
Passepartout con il sorriso abituale andò incontro al suo compagno.
Ebbene, signor Fix, siete deciso a venire in America con noi?
Sì - rispose Fix a denti stretti.
Il francese proruppe in una risata.
Evvia! Lo sapevo che non potevate separarvi da noi. Venite, venite: andiamo a fissare anche la vostra cabina! Entrarono insieme negli uffici della Compagnia, e noleggiarono le cabine per quattro persone.
L’impiegato si fece premura d’informare i due forestieri che, essendo terminati i lavori di revisione alle caldaie del «Carnatic», il piroscafo sarebbe partito la sera stessa alle otto anziché il mattino appresso.
Benissimo - esclamò Passepartout. - Corro subito ad avvertire il signor Fogg.
In quell’istante Fix prese la sua decisione estrema.
Che fretta volete avere, giovanotto? - disse, trattenendo per un braccio il francese. - Vi rimane tanto tempo! Accettate un rinfresco? Nella via adiacente al molo c’era una discreta taverna. I due compagni vi entrarono. Si trovarono in una sala vasta, ben arredata. Una trentina di avventori sedevano a tavolini di giunco intrecciato, ingombri di boccali di birra e bottiglie di “gin”. La maggior parte di quegli uomini fumavano lunghe pipe di creta rossa, cariche con pallottoline da cui saliva un fumo dall’odore snervante, misto a fragranza d’essenza di rose.
Di tanto in tanto qualche fumatore scivolava sotto la tavola. Allora due camerieri accorrevano, lo sollevavano per i piedi e per le braccia, e lo portavano di peso su un ampio divano disposto nella penombra in fondo alla sala. Su quel letto il dormiente continuava i suoi sonni beati, accanto ad una diecina d’altri dormienti come lui che già vi stavano distesi.
Passepartout entrando nel locale non aveva girato subito gli occhi da quella parte. Un senso penoso di disgusto lo colse quando, osservata meglio tutta la scena che gli si svolgeva intorno, comprese di essere capitato in una taverna di fumatori d’oppio. Si trovava infatti in una di quelle fumerie che esistono a centinaia in Hong Kong e che sono frequentate da esseri miserabili abbrutiti e inebetiti dall’uso del potente narcotico. L’uso dell’oppio è uno dei più deplorevoli e funesti, poiché porta all’indebolimento del fisico e di tutte le energie mentali. In Cina, ove durante il secolo scorso esso è andato tragicamente diffondendosi, il Governo ha fatto enormi sforzi per arginarlo, ma quasi senza risultato. Colà uomini e donne sono per la maggior parte accaniti fumatori d’oppio: c’è chi arriva a fumarne anche otto pipe al giorno. Ma con quali conseguenze! Fino persino a morirne nel giro di cinque anni!
Davanti a due bottiglie di porto che Fix aveva generosamente fatte venire in tavola, la conversazione fra lui e il francese si protrasse alquanto. I due ciarlavano del più e del meno. Passepartout, che aveva accettato per cortesia non avendo un denaro in tasca, faceva onore alle bottiglie, che presto furono vuotate. Solo allora il servo si ricordò di dover correre ad avvertire il signor Fogg circa il mutato orario di partenza del «Carnatic». Fix lo trattenne.
Un momento! - disse. - Ho da parlarvi di cose serie.
Di cose serie? - ribatté Passepartout stupito, scolando l’ultimo fondo del bicchiere che aveva davanti. - Ebbene, ne parleremo domani. Oggi non ho più tempo.
Fix insisté.
Si tratta del vostro padrone.
A queste parole Passepartout scrutò in viso il suo interlocutore; e si rimise a sedere.
Che avete da dirmi, suvvia?
Fix appoggiò la mano sul braccio del compagno.
Voi avete indovinato chi sono io, vero? - gli disse a voce bassa.
Altro che! - rispose Passepartout, sorridendo.
Allora vi confesserò tutto...
Ah, ah, bella forza d’intelligenza la vostra! Adesso che già lo so.
Basta; parlate pure. Ma prima lasciate ch’io vi dica che quei gentiluomini sprecano il loro denaro proprio inutilmente.
Se dite così, si vede che non conoscete l’importanza della somma.
Ma sì: ventimila sterline.
Fix serrò la mano di Passepartout.
Cinquantacinquemila! - disse con enorme espressività.
Che?! Il signor Fogg avrebbe osato tanto? Non lo credo. Ad ogni modo, del resto, è una ragione di più per non perdere un istante. E il servo tornò ad alzarsi per andarsene. Fix, che aveva fatto portare intanto una terza bottiglia, lo costrinse di nuovo a sedersi.
Cinquantacinquemila sterline! - ripigliò. - E se riesco, guadagno un premio di duemila sterline, capite? Ne volete cinquecento voi, a condizione d’aiutarmi, beninteso?
Aiutarvi?! - domandò Passepartout, sgranando gli occhi. - E a far che?
A trattenere il signor Fogg per qualche giorno ad Hong Kong.
E via, questo è troppo! - proruppe il francese. - Non contenti di far pedinare il mio padrone, di sospettare della sua lealtà, quei gentiluomini suoi colleghi del Club vogliono anche causargli degli intoppi?! Arrossisco per loro!
Ah, davvero? Ma che cosa volete dire con questo? - domandò Fix.
Voglio dire che è una vera mancanza di delicatezza. Tanto varrebbe spogliare il signor Fogg e tirargli fuori il denaro direttamente dalle tasche.
Ma è precisamente quello a cui cerchiamo di arrivare!
Questa è proprio una trappola! - gridò Passepartout, che si stava riscaldando sotto l’influsso del “brandy” servitogli da Fix e che egli beveva senza rendersi conto. - E’ proprio una trappola! E sono dei “gentlemen”, dei colleghi!
Fix cominciava a non raccapezzarsi più.
Dei colleghi! - continuava ad esclamare Passepartout, - dei membri del Club della Riforma! Sappiate, signor Fix, che il mio padrone è un uomo dabbene e che, quando ha fatto una scommessa è solo in maniera pienamente leale che intende vincerla.
Ma chi credete dunque che io sia? - domandò Fix, fissando il suo sguardo su Passepartout.
Che diamine! un agente dei membri del Club della Riforma, che ha l’incarico di controllare l’itinerario del mio padrone, e questa è una cosa davvero umiliante! Tanto che benché io abbia intuito la cosa già da diverso tempo, mi sono ben guardato dal rivelarla al signor Fogg!
Lui non sa nulla?... - domandò con vivacità Fix.
Nulla. - E dicendo Passepartout vuotò con energia il bicchiere che Fix gli aveva riempito per l’ennesima volta. Il “detective” si passò una mano sulla fronte, e rifletté un attimo. L’errore di Passepartout appariva sincero. Evidentemente quel giovane parlava in buona fede e non era complice del suo padrone. «Ebbene, dal momento che non è suo complice, mi aiuterà». Questa fu la conclusione fulminea di Fix, il quale si decise a giuocare l’ultima carta.
Sentitemi, amico - disse a bassa voce, parlando quasi all’orecchio di Passepartout. - Io non sono quello che voi credete: sono un “detective”, incaricato d’una delicata missione dalla Polizia di Londra.
Voi!... un poliziotto?!
Sì; e ve lo provo. Ecco il mio brevetto.
Fix trasse dal portafogli, e mostrò al compagno, il documento incontestabile rilasciato dalla Direzione di Scotland Place. Passepartout non riusciva più ad articolare parola.
La scommessa del signor Fogg - riprese Fix, - è un pretesto da cui siete stati abbindolati voi e i suoi colleghi del Club, giacché egli aveva interesse ad assicurarsi la vostra inconsapevole complicità. E ora vi spiego. Il 29 settembre scorso, venne commesso ai danni della Banca d’Inghilterra un furto di cinquantacinquemila sterline da un individuo i cui connotati poterono essere raccolti. Eccoli: lineamento per lineamento sono quelli del signor Fogg. Passepartout batté sul tavolino un pugno formidabile.
Evvia! - gridò. - Il mio padrone è il più gran galantuomo di questo mondo!
Che ne sapete voi? - insinuò il “detective”. - Non lo conoscete neppure! Entraste al suo servizio il giorno stesso in cui egli partì, con un pretesto insensato, senza valigia, portando con sé una grossa somma di banconote. E voi osate sostenere che è un onest’uomo?
Sì! sì!... - ripeteva macchinalmente il povero giovane.
Volete dunque essere arrestato come suo complice?
Il francese si era portato le mani alla testa. Era irriconoscibile. Non osava più guardare in faccia l’ispettore di polizia; e la mente gli turbinava. Phileas Fogg, un ladro? lui, il salvatore di Auda, l’uomo generoso e tutto coraggio?! Eppure, quanti sospetti contro la sua persona! Passepartout avrebbe voluto scacciarli quei terribili sospetti che la voce insinuante del poliziotto si accaniva a ficcargli come un tormento nel cervello. Non voleva credere alla colpevolezza del suo padrone.
Insomma, cosa volete da me? - chiese infine, contenendosi con un ultimo sforzo.
Ecco. Ho seguito il signor Fogg fin qui; ma non ho ancora ricevuto il mandato per arrestarlo. Bisogna che mi aiutiate a trattenere il vostro padrone a Hong Kong.
Io, aiutarvi a...
E dividerò con voi il premio di duemila sterline promesse dalla Banca d’Inghilterra.
Mai!
Passepartout aveva tentato di rialzarsi; ma ricadde a sedere sentendosi vacillare sulle gambe.
Signor Fix, - balbettò, - quand’anche tutto ciò che mi avete detto fosse vero, quand’anche il mio padrone... fosse il ladro che cercate... cosa che io nego!... sono stato... sono al suo servizio. L’ho visto buono e generoso... Tradirlo?... mai, no, per tutto l’oro del mondo! Io, signor Fix, sono di un villaggio dove non si mangia codesto pane!
Rifiutate?
Rifiuto.
E allora, - si affrettò a concludere il “detective”, facciamo come se non vi avessi detto nulla. E beviamo, da amici come prima.
Sì, beviamo!
Passepartout si sentiva sempre più salire al cervello i fumi del vino. Il “detective” divorava con gli occhi ogni sua espressione, e comprese che era venuto il momento di farla finita. Sulla tavola c’erano alcune pipe cariche di oppio. Fix ne pose destramente una nella mano di Passepartout, il quale l’afferrò, se la portò alle labbra, l’accese, ne trasse alcune boccate di fumo, e tosto ciondolò la testa appesantita sotto l’influenza del narcotico.
Finalmente! - gongolò Fix, sostando un attimo a guardare Passepartout annichilito.
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