Ah... io non ci credo affatto.

Burlone! - rispose il francese, strizzando l’occhio.

Fix restò allibito.  Quell’aggettivo e quell’espressione  nascondevano certo  un  sottinteso.  Che Passepartout gli avesse fiutato addosso la segreta qualità di “detective”?

Tale pensiero tormentò per più giorni il povero agente di polizia.  Un bel  mattino Passepartout gli accrebbe poi ancora maggiormente le pene con una maliziosa domanda:

Dite un po’, signor Fix, a Hong Kong avremo per caso la disgrazia di dovervi lasciare?

Ma... non so... Forse.

Ah, se ci accompagnaste sarebbe un vero piacere per me.  Suvvia!  Un agente  della  Compagnia  Peninsulare  non  dovrebbe  fermarsi  a metà strada.  Voi non andavate che a Bombay: ed eccovi fra  poco  in  Cina!  L’America  non  è  lontana;  e  dall’America all’Europa non c’è che un passo.

Fix scrutava il suo interlocutore il  quale  mostrava  la  faccia  più amabile di questo mondo.  Pensò bene di ridere anche lui, e con grande sforzo ci riuscì. Ma quel giorno il francese era in vena.

Vi frutta molto il vostro mestiere,  signor Fix?  -  chiese  con  un risolino all’angolo della bocca.

  e  no.  Ci sono buoni e cattivi affari.  Ma capite bene che non viaggio a mie spese.

Oh, per questo, ne sono più che certo!

E Passepartout,  dopo una risata fragorosa,  girò sui tacchi e  se  ne andò.

Fix scese in cabina, si buttò desolatamente sulla cuccetta e si mise a riflettere.

«Sono  stato scoperto!...  Comunque sia,  quel francese del demonio ha riconosciuto la mia qualità di “detective”.  Ma ne avrà  informato  il suo  padrone?  Che  parte  gioca  il  servo  in tutta la faccenda?  E’ complice, o no? E io,  devo considerare i miei piani irrimediabilmente falliti? Vediamo un poco...».

L’agente passò alcune ore difficili. Infine trovò un’ennesima risorsa.  «Eh,  via,  io  gioco  d’astuzia!  Se a Hong Kong non trovo il mandato pronto per arrestare immediatamente Fogg,  e se capisco che  egli  sta per  ripartire  subito e lasciare,  questa volta per sempre,  il suolo inglese,  spiffero tutto a Passepartout.  O il servo  è  complice  del padrone,  e allora l’affare resta, come intanto lo sarebbe egualmente, definitivamente compromesso;  o il servo non  c’entra  per  nulla  nel furto,  e in questo caso, promettendogli una parte del premio, lo tiro con facilità dalla mia, e gli dimostro che è suo interesse abbandonare il padrone e aiutare me a trattenere Fogg a  Hong  Kong  fintanto  che giunga il mandato per arrestarlo».

Questa  luminosa  trovata  ebbe  la virtù di ristabilire un tantino di calma nel cervello scombussolatissimo di Fix.  Questa era dunque la situazione rispettiva di questi due personaggi, e al di sopra di essi planava nella sua  maestosa  indifferenza  Phileas Fogg.  Egli  compiva in modo razionale la sua orbita intorno al mondo, senza inquietarsi per gli asteroidi che  gravitavano  intorno  a  lui.  Eppure,  nelle  vicinanze,  vi era,  come direbbero gli astronomi,  un astro turbatore che avrebbe dovuto provocare certe  perturbazioni  nel cuore  di  questo gentiluomo.  Invece nulla!  Il fascino della signora Auda non aveva alcun effetto,  con grande sorpresa di Passepartout,  e le perturbazioni,  se pur ve n’erano, sarebbero state più difficili da calcolare che non quelle di Uranio, che hanno portato alla scoperta di Nettuno.

Sì,  quella era una meraviglia rinnovata ogni giorno per  Passepartout che  poteva leggere negli occhi della giovane un’infinita riconoscenza verso il suo padrone.  Decisamente Phileas Fogg  aveva  un  cuore  per comportarsi  in  maniera  coraggiosa,  ma  non per amare!  Quanto alle preoccupazioni che le  possibilità  di  questo  viaggio  potevano  far nascere in lui,  non ve n’era traccia. Passepartout, invece, viveva in una  continua  tensione.  Un  giorno  stava  appoggiato  al  parapetto dell’”engine  room”,   la  sala  macchine,   e  guardava  il  possente macchinario  che  ogni  tanto  si  imbizzarriva,  quando  un  violento movimento  di  beccheggio  faceva  girare vorticosamente l’elica al di sopra dei flutti;  il vapore usciva allora  sibilando  dalle  valvole, provocando una gran collera nel brav’uomo.  «Non  sono calibrate,  quelle valvole!»,  esclamava.  «Non si cammina!  Ecco come sono quest’Inglesi! Ah!, se fosse una nave americana,  forse si salterebbe in aria, ma si andrebbe ben più veloci!».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

18.

PHILEAS FOGG, PASSEPARTOUT, FIX, OGNUNO PER PROPRIO CONTO, SI DEDICANO AI PROPRI AFFARI.

Negli ultimi giorni della traversata,  il tempo fu abbastanza cattivo.  Il vento divenne molto forte.  Provenendo costantemente da nord-ovest, si opponeva alla marcia del piroscafo. Il «Rangoon», troppo instabile, rollò  notevolmente e i passeggeri ebbero tutto il diritto di adirarsi con gli spaventosi cavalloni che  il  vento  sollevava  sull’acqua  al largo.

Nei  giorni  3 e 4 novembre ci fu una specie di tempesta.  La burrasca batteva il mare con veemenza.  Il «Rangoon» dovette mettere alla cappa per  una  mezza  giornata,  conservando  solo  dieci giri d’elica,  in maniera da andare di sbieco con quei cavalloni.  Le vele  erano  state serrate,  ma  il  sartiame  opponeva ancora troppa resistenza e faceva sibilare il vento che l’investiva.  La velocità del piroscafo,  lo  si capisce  bene,  venne  notevolmente  diminuita  e si poté cominciare a ritenere che si sarebbe arrivati ad Hong Kong con venti ore di ritardo sull’orario regolamentare,  e forse anche di più,  se la tempesta  non fosse cessata.

Phileas   Fogg   assisteva   con  l’impassibilità  abituale  a  quello spettacolo di un mare furioso che sembrava lottare direttamente contro di lui.  La sua fronte non si corrugò per un solo istante,  eppure  un ritardo  di  venti  ore poteva compromettere il suo viaggio facendogli perdere la coincidenza con il piroscafo per  Yokohama.  Ma  quest’uomo niente  affatto  nervoso  non  provava    impazienza né irritazione.  Sembrava proprio che questa tempesta rientrasse  nei  suoi  programmi, che  essa  fosse  prevista.  La  signora  Auda,  che  parlò con il suo compagno di questo contrattempo, lo trovò calmo quanto nel passato.  Fix,  invece,  non guardava queste cose con lo stesso occhio.  Ben  al contrario.  Questa  tempesta gli faceva piacere.  La sua soddisfazione sarebbe stata persino senza  limiti,  se  il  «Rangoon»,  fosse  stato obbligato  a  scappare  dinanzi  alla  tormenta.  Tutti questi ritardi andavano bene per lui,  perché avrebbero obbligato il  signor  Fogg  a restare qualche giorno ad Hong Kong.  Finalmente il cielo,  con le sue ventate e le sue burrasche,  appoggiava il suo impegno.  Stava un  po’ male,  ma che importava! Non teneva conto delle sue nausee e quando il suo corpo si torceva per il mal di mare,  il suo spirito si rallegrava con una soddisfazione immensa.

Quanto   a  Passepartout  è  comprensibile  con  quanta  collera  poco dissimulata egli trascorresse questo  tempo  di  prova.  Fino  a  quel momento  tutto  era  andato  così bene!  La terra e l’acqua sembravano essere a disposizione  del  suo  padrone.  Piroscafi  e  ferrovie  gli obbedivano.  Il  vento  e  il  vapore  si  univano per favorire il suo viaggio.  Era infine suonata l’ora delle  disillusioni?  Passepartout, quasi che le ventimila sterline della scommessa dovessero uscire dalla sua  borsa,  non  viveva  più.  Questa tempesta lo esasperava,  questa bufera lo faceva infuriare,  ed avrebbe volentieri frustato quel  mare disobbediente!  Povero  ragazzo!  Fix  gli  nascose  con  cura  la sua soddisfazione personale,  e fece bene,  perché se Passepartout  avesse intuito  la  contentezza  nascosta  di Fix,  questi avrebbe passato un brutto quarto d’ora.  Passepartout rimase sul ponte del «Rangoon»  per tutto il tempo che durò la burrasca.  Non avrebbe potuto restarsene in basso;  si  aggrappava  all’alberatura;  meravigliava  l’equipaggio  e s’impegnava  in tutto con un’abilità da scimmia.  Andò un centinaio di volte ad interrogare il capitano,  gli ufficiali,  i marinai  che  non potevano  impedirsi  di  ridere,  vedendo  un ragazzo così sbalordito.  Passepartout voleva assolutamente sapere quanto tempo  sarebbe  durata la  tempesta.  Lo si rispediva allora a controllare il barometro,  che non si decideva a risalire. Passepartout scuoteva il barometro, ma non serviva a nulla,  né gli scossoni né le ingiurie di cui  egli  copriva l’innocente strumento.

Finalmente  la procella si calmò.  Lo stato del mare si modificò nella giornata del 4 novembre.  Il vento saltò di due quarti verso il sud  e ridivenne favorevole.

Passepartout si rasserenò allo stesso modo del tempo.  Vennero sciolte le gabbie e le vele,  e il «Rangoon» riprese la  sua  strada  con  una meravigliosa velocità.

Ma  non  era  possibile  ricuperare tutto il tempo perduto.  Bisognava accettare questa realtà dei fatti e la terra venne segnalata solo il 6 novembre alle cinque del mattino.  Il calendario  fissato  da  Phileas Fogg indicava l’arrivo del piroscafo al 5.  Arrivando invece il giorno 6, aveva, dunque, ventiquattr’ore di ritardo. La partenza per Yokohama era, dunque, rimandata.

Alle 6,  salì a bordo del «Rangoon» e prese posto sulla passerella  il pilota  che  doveva  guidare  il piroscafo nel dedalo fino al porto di Hong Kong.

Passepartout moriva  dalla  voglia  di  interrogare  quell’uomo  e  di chiedergli  se il piroscafo di Yokohama avesse già lasciato Hong Kong.  Ma non osava farlo,  preferendo conservare un  po’  di  speranza  fino all’ultimo istante.  Egli aveva confidato le sue inquietudini a Fix il quale, da buona volpe,  tentò di consolarlo dicendo che il signor Fogg sarebbe  riuscito  a  prendere  il  piroscafo  successivo.  Ma  questo provocava in Passepartout una rabbia velenosa.  Tuttavia,  se Passepartout non s’azzardò  ad  interrogare  il  pilota, Mister Fogg,  dopo avere consultato il suo “Orario Bradshaw”,  domandò con la sua solita aria tranquilla al  pilota  se  egli  sapeva  quando sarebbe partito un battello da Hong Kong per Yokohama.

Domani, con la marea del mattino.

Bene - fece il signor Fogg senz’ombra di meraviglia.

Passepartout,  presente al dialogo,  avrebbe volentieri abbracciato il pilota, a cui Fix invece avrebbe con piacere torto il collo.

E qual è il nome dello steamer  in  partenza?  -  chiese  ancora  il signor Fogg.

Il «Carnatic».

Non doveva partire ieri?

Sì,  signore.  Ma si è resa necessaria una revisione alle caldaie; e la partenza è stata rimandata a domani.

Vi ringrazio dell’informazione - rispose Fogg, e con il suo passo da automa ridiscese nel salone del «Rangoon».  Passepartout ne approfittò per slanciarsi ad  afferrare  la  mano  del pilota e stringerla con effusione.

Siete un grand’uomo! - gli gridò sul volto.

Il  pilota  non  seppe  mai spiegarsi il perché di quella stretta e di quell’elogio.

A un colpo di fischietto salì sulla plancia,  e diresse  con  perfette manovra  il  «Rangoon»  tra  la flottiglia di giunche,  di prahòs,  di tankas e di battelli d’ogni specie che ingombravano la  rada  di  Hong Kong.

Il caso questa volta si era alleato con Phileas Fogg!  Senza  quella  necessità di una revisione alle caldaie,  il «Carnatic» non  sarebbe  più  stato  in  porto  all’arrivo  del  «Rangoon»,  e  i passeggeri  diretti  in  Giappone  avrebbero dovuto aspettare per otto giorni la partenza del piroscafo successivo.  E’ vero che il signor Fogg in complesso si trovava con un  ritardo  di 24 ore rispetto ai tempi previsti; ma ciò non aveva conseguenza per il restante  del  viaggio,  poiché  da  Yokohama  il  piroscafo  per  San Francisco non poteva partire fino a che non  fosse  giunto  quello  di Hong  Kong,  e  d’altra  parte  le  ore  di  ritardo  sarebbero  state facilmente ricuperate nei ventidue giorni di traversata del Pacifico.  Siccome la partenza del  «Carnatic»  era  annunziata  per  il  mattino seguente,  Phileas Fogg aveva davanti a sé sedici ore durante le quali poteva occuparsi della sistemazione della signora Auda.  Sbarcò dando il braccio alla giovane compagna di viaggio;  e  noleggiò un palanchino, dopo aver chiesto ai portatori di indicargli un albergo di prima classe.

Gli  fu  suggerito  l’«Hôtel  du  Club».  Il palanchino vi si diresse, seguito da Passepartout che camminava a piedi.  All’«Hôtel du Club», Phileas Fogg fissò un appartamento per la signora Auda. Qui la giovane indiana rimase in attesa del “gentleman” il quale frattanto si metteva immediatamente in cerca di  quel  tale  onorevole Jejeeh, presso cui Auda pensava di trovare ospitalità.  Phileas  Fogg,  sempre  in  palanchino,  si  fece condurre alla Borsa, ritenendo che là  senza  dubbio  doveva  essere  conosciuto  il  ricco personaggio, uno dei più facoltosi della città.  L’agente  di  cambio  a  cui  Fogg  si  rivolse  conosceva  infatti il negoziante parsì.  Ma  diede  notizia  che  da  due  anni  costui  non risiedeva  più  in  Cina:  radunata  una  bella fortuna,  era andato a stabilirsi in  Europa,  in  Olanda  probabilmente,  date  le  numerose relazioni  che  aveva  sempre  avute  con  quel  paese  durante la sua carriera commerciale.

Il “gentleman” tornò all’«Hôtel du Club»;  fece chiedere alla  signora Auda  il  permesso  di  salire a parlarle,  e la informò del risultato delle ricerche.

La signora Auda tacque a lungo,  soprappensiero.  Si  passò  una  mano sulla fronte, poi disse con la sua voce dolce:

Che devo fare, signor Fogg?

Semplicissimo, signora Auda; venirvene in Europa.

Ma non posso abusare...

Voi  non abusate.  E la vostra presenza non disturba affatto il mio programma. Passepartout!

Signore? - rispose il servo presentandosi.

Andate al porto, e fissate tre cabine sul «Carnatic».

Passepartout  raggiante  al  pensiero  di  proseguire  il  viaggio  in compagnia  della  signora  Auda che era tanto benevola con lui,  scese piroettando le scale dell’«Hôtel du Club».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

19.

PASSEPARTOUT SI PREOCCUPA TROPPO DEL  SUO  PADRONE  ED  ECCO  COSA  NE DERIVA.

Hong Kong è soltanto un isolotto che il trattato di Nanchino,  dopo la guerra del 1842,  ha assegnato alla Gran Bretagna.  Nel giro di  pochi anni,   il  genio  colonizzatore  degli  Inglesi  vi  ha  fondato  una importante  città  e  vi  ha  creato  un  porto,  il  Porto  Vittoria.  Quest’isola  è  situata  all’imbocco  della foce di Canton,  e solo 60 miglia  la  separano  dalla  città  portoghese  di  Macao,   costruita sull’altra riva.  Hong Kong doveva necessariamente vincere Macao in un confronto commerciale,  e attualmente la maggior  parte  del  traffico cinese  viene  trattata  dalla  città  inglese.   Dei  “docks”,  degli ospedali,  dei “wharfs”,  dei magazzini,  una cattedrale  gotica,  una «Governement-house»  (sede  del  governo),  delle  strade con il fondo secondo il sistema di Mac Adam,  tutto farebbe pensare che ci si trovi in  una città commerciale delle contee di Kent o del Surrey,  che dopo avere attraversato lo sferoide terrestre  sia  venuta  a  spuntare  in questo punto della Cina, quasi ai suoi antipodi originari.  Passepartout, con le mani ficcate in tasca, si diresse dunque verso il Porto Vittoria,  guardando i palanchini,  i carretti velati, ancora in vigore nel  Celeste  Impero,  e  tutta  quella  folla  di  Cinesi,  di Giapponesi e di Europei, che si spintonava sulle strade.

Su per giù è ancora Bombay,  Calcutta o Singapore che ritrovo sulla mia strada!  - rifletteva il giovanotto.  - Ho capito: tutt’intorno al mondo c’è come una fascia di città inglesi.  Al porto trovò un formicolio di navi di tutte le nazionalità: inglesi, francesi,  americane,  olandesi;  navi  da  guerra  e navi mercantili, giunche, sampan, e persino piccole imbarcazioni adorne di ghirlande di fiori, che formavano sull’acqua delle specie di aiuole galleggianti.  Entrato nella bottega d’un barbiere, per farsi radere, Passepartout ne uscì poco dopo, raso proprio alla cinese;  poi si diresse al molo dove stava attraccato il «Carnatic».

Là,  come  c’era  da aspettarselo,  trovò Fix che passeggiava avanti e indietro.

Il “detective” aveva una faccia piena di dispetto,  in conseguenza del fatto  che  il  mandato  gli  mancava  ancora.  Quel  disgraziatissimo documento gli correva dietro,  e naturalmente non poteva  raggiungerlo finché Fix non si fosse fermato almeno un po’ di tempo in un qualunque porto d’arrivo.

Passepartout con il sorriso abituale andò incontro al suo compagno.

Ebbene, signor Fix, siete deciso a venire in America con noi?

Sì - rispose Fix a denti stretti.

Il francese proruppe in una risata.

Evvia!  Lo sapevo che non potevate separarvi da noi. Venite, venite: andiamo a fissare anche la vostra cabina!  Entrarono insieme negli uffici  della  Compagnia,  e  noleggiarono  le cabine per quattro persone.

L’impiegato si fece premura d’informare i due forestieri che,  essendo terminati i lavori  di  revisione  alle  caldaie  del  «Carnatic»,  il piroscafo  sarebbe partito la sera stessa alle otto anziché il mattino appresso.

Benissimo - esclamò Passepartout.  - Corro subito  ad  avvertire  il signor Fogg.

In quell’istante Fix prese la sua decisione estrema.

Che fretta volete avere,  giovanotto?  - disse,  trattenendo per un braccio il francese. - Vi rimane tanto tempo! Accettate un rinfresco?  Nella via adiacente al molo c’era una discreta taverna. I due compagni vi entrarono.  Si trovarono in  una  sala  vasta,  ben  arredata.  Una trentina  di  avventori  sedevano  a  tavolini  di giunco intrecciato, ingombri di boccali di birra e bottiglie di “gin”.  La maggior parte di quegli uomini fumavano lunghe pipe di creta rossa, cariche con pallottoline da cui saliva un fumo  dall’odore  snervante, misto a fragranza d’essenza di rose.

Di  tanto in tanto qualche fumatore scivolava sotto la tavola.  Allora due camerieri accorrevano,  lo  sollevavano  per  i  piedi  e  per  le braccia,  e  lo  portavano  di  peso su un ampio divano disposto nella penombra in fondo alla sala.  Su quel letto il dormiente continuava  i suoi  sonni  beati,  accanto ad una diecina d’altri dormienti come lui che già vi stavano distesi.

Passepartout entrando nel locale non aveva girato subito gli occhi  da quella parte.  Un senso penoso di disgusto lo colse quando,  osservata meglio tutta la scena che gli si svolgeva intorno,  comprese di essere capitato in una taverna di fumatori d’oppio.  Si  trovava  infatti in una di quelle fumerie che esistono a centinaia in Hong Kong e che sono frequentate da esseri miserabili  abbrutiti  e inebetiti dall’uso del potente narcotico.  L’uso  dell’oppio  è  uno dei più deplorevoli e funesti,  poiché porta all’indebolimento del fisico e di tutte le energie mentali.  In  Cina, ove durante il secolo scorso esso è andato tragicamente diffondendosi, il  Governo  ha  fatto  enormi  sforzi  per arginarlo,  ma quasi senza risultato.  Colà uomini e donne sono per  la  maggior  parte  accaniti fumatori  d’oppio: c’è chi arriva a fumarne anche otto pipe al giorno.  Ma con quali conseguenze!  Fino persino a morirne nel giro  di  cinque anni!

Davanti  a  due  bottiglie  di porto che Fix aveva generosamente fatte venire in tavola,  la conversazione fra lui e il francese si protrasse alquanto. I due ciarlavano del più e del meno. Passepartout, che aveva accettato  per  cortesia  non avendo un denaro in tasca,  faceva onore alle bottiglie, che presto furono vuotate.  Solo allora il servo si ricordò  di  dover  correre  ad  avvertire  il signor Fogg circa il mutato orario di partenza del «Carnatic».  Fix lo trattenne.

Un momento! - disse. - Ho da parlarvi di cose serie.

Di  cose serie?  - ribatté Passepartout stupito,  scolando l’ultimo fondo del bicchiere che aveva davanti. - Ebbene,  ne parleremo domani.  Oggi non ho più tempo.

Fix insisté.

Si tratta del vostro padrone.

A queste parole Passepartout scrutò in viso il suo interlocutore; e si rimise a sedere.

Che avete da dirmi, suvvia?

Fix appoggiò la mano sul braccio del compagno.

Voi avete indovinato chi sono io, vero? - gli disse a voce bassa.

Altro che! - rispose Passepartout, sorridendo.

Allora vi confesserò tutto...

Ah,  ah, bella forza d’intelligenza la vostra! Adesso che già lo so.

Basta;  parlate pure.  Ma  prima  lasciate  ch’io  vi  dica  che  quei gentiluomini sprecano il loro denaro proprio inutilmente.

Se dite così, si vede che non conoscete l’importanza della somma.

Ma sì: ventimila sterline.

Fix serrò la mano di Passepartout.

Cinquantacinquemila! - disse con enorme espressività.

Che?!  Il  signor Fogg avrebbe osato tanto?  Non lo credo.  Ad ogni modo, del resto, è una ragione di più per non perdere un istante.  E il servo tornò ad  alzarsi  per  andarsene.  Fix,  che  aveva  fatto portare intanto una terza bottiglia, lo costrinse di nuovo a sedersi.

Cinquantacinquemila sterline! - ripigliò. - E se riesco, guadagno un premio  di  duemila  sterline,  capite?  Ne volete cinquecento voi,  a condizione d’aiutarmi, beninteso?

Aiutarvi?!  - domandò Passepartout,  sgranando gli occhi.  - E a far che?

A trattenere il signor Fogg per qualche giorno ad Hong Kong.

E via,  questo è troppo!  - proruppe il francese.  - Non contenti di far pedinare il mio padrone,  di sospettare  della  sua  lealtà,  quei gentiluomini  suoi  colleghi  del  Club vogliono anche causargli degli intoppi?! Arrossisco per loro!

Ah, davvero? Ma che cosa volete dire con questo? - domandò Fix.

Voglio dire che è una vera mancanza di delicatezza.  Tanto  varrebbe spogliare il signor Fogg e tirargli fuori il denaro direttamente dalle tasche.

Ma è precisamente quello a cui cerchiamo di arrivare!

Questa è proprio una trappola!  - gridò Passepartout,  che si stava riscaldando sotto l’influsso del “brandy” servitogli da Fix e che egli beveva senza rendersi conto.  - E’ proprio una trappola!  E  sono  dei “gentlemen”, dei colleghi!

Fix cominciava a non raccapezzarsi più.

Dei colleghi!  - continuava ad esclamare Passepartout,  - dei membri del Club della Riforma! Sappiate, signor Fix,  che il mio padrone è un uomo  dabbene  e che,  quando ha fatto una scommessa è solo in maniera pienamente leale che intende vincerla.

Ma chi credete dunque che io sia?  - domandò Fix,  fissando  il  suo sguardo su Passepartout.

Che  diamine!  un agente dei membri del Club della Riforma,  che ha l’incarico di controllare l’itinerario del mio padrone, e questa è una cosa davvero umiliante!  Tanto che benché io abbia intuito la cosa già da diverso tempo, mi sono ben guardato dal rivelarla al signor Fogg!

Lui non sa nulla?... - domandò con vivacità Fix.

Nulla.  - E dicendo Passepartout vuotò con energia il bicchiere che Fix gli aveva riempito per l’ennesima volta.  Il “detective” si passò una mano sulla fronte,  e rifletté un  attimo.  L’errore di Passepartout appariva sincero.  Evidentemente quel giovane parlava in buona fede e non era complice del suo padrone.  «Ebbene, dal momento che non è suo complice, mi aiuterà».  Questa fu la conclusione  fulminea  di  Fix,  il  quale  si  decise  a giuocare l’ultima carta.

Sentitemi,  amico - disse a bassa voce,  parlando quasi all’orecchio di Passepartout.  - Io non  sono  quello  che  voi  credete:  sono  un “detective”,  incaricato  d’una  delicata  missione  dalla  Polizia di Londra.

Voi!... un poliziotto?!

Sì; e ve lo provo. Ecco il mio brevetto.

Fix  trasse  dal  portafogli,  e  mostrò  al  compagno,  il  documento incontestabile rilasciato dalla Direzione di Scotland Place.  Passepartout non riusciva più ad articolare parola.

La scommessa del signor Fogg - riprese Fix,  - è un pretesto da cui siete stati abbindolati voi e i suoi colleghi del Club,  giacché  egli aveva  interesse ad assicurarsi la vostra inconsapevole complicità.  E ora vi spiego.  Il 29 settembre scorso,  venne commesso ai danni della Banca  d’Inghilterra  un  furto  di cinquantacinquemila sterline da un individuo i cui connotati poterono essere raccolti. Eccoli: lineamento per lineamento sono quelli del signor Fogg.  Passepartout batté sul tavolino un pugno formidabile.

Evvia! - gridò.  - Il mio padrone è il più gran galantuomo di questo mondo!

Che  ne  sapete voi?  - insinuò il “detective”.  - Non lo conoscete neppure!  Entraste al suo servizio il giorno stesso in cui egli partì, con un pretesto insensato,  senza valigia,  portando con sé una grossa somma di banconote. E voi osate sostenere che è un onest’uomo?

Sì! sì!... - ripeteva macchinalmente il povero giovane.

Volete dunque essere arrestato come suo complice?

Il francese si era portato le mani alla  testa.  Era  irriconoscibile.  Non  osava  più guardare in faccia l’ispettore di polizia;  e la mente gli turbinava.  Phileas Fogg,  un ladro?  lui,  il salvatore di  Auda, l’uomo generoso e tutto coraggio?!  Eppure,  quanti sospetti contro la sua persona!  Passepartout avrebbe voluto  scacciarli  quei  terribili sospetti che la voce insinuante del poliziotto si accaniva a ficcargli come  un  tormento nel cervello.  Non voleva credere alla colpevolezza del suo padrone.

Insomma,  cosa volete da me?  - chiese infine,  contenendosi con  un ultimo sforzo.

Ecco.  Ho seguito il signor Fogg fin qui;  ma non ho ancora ricevuto il mandato per arrestarlo.  Bisogna che mi aiutiate  a  trattenere  il vostro padrone a Hong Kong.

Io, aiutarvi a...

E  dividerò  con  voi  il premio di duemila sterline promesse dalla Banca d’Inghilterra.

Mai!

Passepartout  aveva  tentato  di  rialzarsi;   ma  ricadde  a   sedere sentendosi vacillare sulle gambe.

Signor Fix,  - balbettò,  - quand’anche tutto ciò che mi avete detto fosse  vero,  quand’anche  il  mio  padrone...   fosse  il  ladro  che cercate...  cosa che io nego!...  sono stato...  sono al suo servizio.  L’ho visto buono e generoso... Tradirlo?... mai,  no,  per tutto l’oro del  mondo!  Io,  signor Fix,  sono di un villaggio dove non si mangia codesto pane!

Rifiutate?

Rifiuto.

E allora,  - si affrettò a concludere il “detective”,  facciamo come se non vi avessi detto nulla. E beviamo, da amici come prima.

Sì, beviamo!

Passepartout si sentiva sempre più salire al cervello i fumi del vino.  Il “detective” divorava con gli occhi ogni sua espressione, e comprese che era venuto il momento di farla finita.  Sulla  tavola  c’erano  alcune  pipe  cariche  di  oppio.  Fix ne pose destramente una nella mano di Passepartout, il quale l’afferrò,  se la portò alle labbra, l’accese, ne trasse alcune boccate di fumo, e tosto ciondolò la testa appesantita sotto l’influenza del narcotico.

Finalmente!   -  gongolò  Fix,   sostando  un  attimo  a  guardare Passepartout annichilito.