Le leggende bramine sostengono che questa città occupa il posto dov’era situata l’antica Casi, un tempo sospesa a mezz’aria, tra lo zenit e il nadir, come la tomba di Maometto. Ma in quest’epoca più realista, Benares, l’Atene dell’India come dichiarano gli orientalisti, posava prosaicamente sulla terra e Passepartout poté intravedere per un istante le sue case di mattoni e le sue capanne su palafitte, che le conferivano un aspetto assolutamente desolato, senza alcun colore locale.
Era qui che Sir Francis Cromarty doveva scendere, perché le truppe che andava a raggiungere erano a qualche miglio a nord della città. Accomiatatosi dalla signora Auda, la quale gli attestò commossa la propria gratitudine, l’ufficiale onorò Passepartout d’un addio cameratesco. Infine salutò Phileas Fogg, augurandogli il pieno successo del suo viaggio.
Il “gentleman” gli rispose con una lieve stretta di mano. Ma l’ufficiale ormai aveva capito che, per quel gelido inglese, anche una semplice pressione di dita poteva essere segno di un sentimento profondo.
Da Benares a Calcutta la linea ferrata scende lungo la stupenda valle del Gange. Attraverso i cristalli del vagone i viaggiatori contemplavano un paesaggio singolare: rivi e stagni popolati di alligatori, villaggi disseminati nella foresta verdeggiante, torme di zebù e di elefanti che scendevano a bagnarsi nel fiume sacro; e, dovunque, le sue acque e le sue rive pullulanti di indù, uomini, donne e fanciulli, i quali nonostante il freddo della stagione già inoltrata adempivano piamente le loro sante abluzioni. Questi fedeli, nemici accaniti del buddismo, sono fervidi seguaci della religione braminica, che s’incarna in tre persone: Visnù, la divinità solare, Shiva, la personificazione divina delle forze naturali, e Brahma, signore supremo dei sacerdoti e dei legislatori. Chissà con quale occhio adesso Brahma, Shiva e Visnù dovevano considerare quell’India «britannizzata», mentre qualche battello a vapore passava sbuffando e agitava le acque sacre del Gange, spaventando i gabbiani che volavano alla sua superficie, le tartarughe che pullulavano sulle sue rive e i devoti sparsi sulle sue spiagge. Tutto questo panorama sfilò dinanzi agli occhi come un baleno e spesso una nube di vapore bianco ne nascose i dettagli. I viaggiatori poterono appena intravedere il forte di Chunar, venti miglia a sud-est di Benares, antica fortezza dei rajah del Behar, Ghazipur e le sue importanti fabbriche di acqua di rosa, la tomba di Lord Cornwallis edificata sulla riva sinistra del Gange, la città fortificata di Buxar, Patna, grande città e piena di commerci, in cui ha luogo il principale mercato d’oppio dell’India, Monghyr, città più che europea, inglese come Manchester o Birmingham, rinomata per le sue fonderie di ferro, le sue fabbriche di coltelli e di armi bianche, e le cui alte ciminiere oscuravano con un gran fumo nero il cielo di Brahma, un vero insulto al paese del sogno’ Poi scese la notte e, nel bel mezzo delle urla delle tigri, degli orsi, dei lupi che fuggivano dinanzi alla locomotiva, il treno passò a tutta velocità e non si scorse più nulla delle meraviglie del Bengala, né Colgond, né Gur in rovine, né Murshidabad, che in altri tempi fu anche capitale, né Burdwan, né Hooghly, né Chandragarh, un punto francese del territorio indiano, su cui Passepartout sarebbe stato fiero di vedere sventolare la bandiera della sua patria. Alle sette del mattino, infine il treno lanciò il suo fischio sotto le tettoie della stazione di Calcutta.
Il piroscafo in partenza per Hong Kong doveva levar l’ancora a mezzogiorno. Phileas Fogg aveva dunque cinque ore disponibili. La situazione dell’orario del “gentleman” non presentava né anticipo né ritardo. L’arrivo a Calcutta era stato previsto a ventitré giorni dalla partenza da Londra, ossia per il 25 ottobre: e così avveniva. Sfortunatamente i due giorni guadagnati nel percorso fra Londra e Bombay, erano stati perduti nell’avventurosa traversata della penisola indiana. Ma è probabile che Phileas Fogg non li rimpiangesse.
15.
IL SACCO DELLE BANCONOTE SI ALLEGGERISCE ANCORA DI QUALCHE MIGLIAIO DI STERLINE.
Il “gentleman”, sceso dal vagone dietro a Passepartout che si era precipitato per primo, aiutò cavallerescamente la sua giovane compagna a porre piede sulla banchina.
Phileas Fogg intendeva recarsi subito al porto, al fine di fissare sul piroscafo una cabina per la signora Auda che egli non avrebbe abbandonata un istante finché si trovavano in quel paese per lei tanto pericoloso.
Al momento in cui il signor Fogg stava per uscire dalla stazione, un poliziotto gli si avvicinò e gli chiese:
Il signor Phileas Fogg?
Sono io.
Quell’uomo è il vostro servo? - e il poliziotto additò Passepartout.
Compiacetevi di seguirmi entrambi.
Il signor Fogg non aveva fatto un movimento che denotasse la minima sorpresa. Questo poliziotto era un rappresentante della legge e per qualsiasi inglese la legge è sacra. Passepartout invece, con le sue abitudini francesi, voleva protestare, ma il poliziotto lo toccò con la sua bacchetta e il padrone gli fece cenno di obbedire in silenzio.
Questa giovane signora può accompagnarci? - chiese il “gentleman” al poliziotto.
Faccia pure.
L’agente della legge condusse i suoi personaggi a prendere posto su un “palkigarri”, una specie di vettura a quattro ruote e con quattro posti, tirato da due cavalli.
Il rumoroso veicolo si slanciò dapprima attraverso le viuzze strette e maleodoranti della «città indù» fiancheggiate da casupole e affollate da un brulichio di gente sudicia e cenciosa; quindi percorse gli ariosi viali della «città europea» abbelliti da file di palme e dove c’era un incessante via-vai di eleganti carrozze. Dopo una ventina di minuti, il “palkigarri” si fermò davanti a una bassa costruzione che non aveva affatto l’aspetto di un’abitazione civile.
I prigionieri, perché così ormai li si poteva definire, furono fatti scendere e introdotti in uno stanzone con le finestre a inferriata.
Alle otto e mezzo comparirete davanti al giudice Obadiah disse il poliziotto. Uscì e chiuse la porta.
Eccoci in gabbia!... - mormorò in un fiato Passepartout, lasciandosi cadere sopra una sedia.
La signora Auda, senza riuscire a nascondere l’emozione che le tremava nella voce, disse precipitosamente a Phileas Fogg:
Signore, dovete abbandonarmi! E’ per me che siete perseguitati dalla polizia: per avermi salvata!
Non è possibile - s’affrettò a rispondere il “gentleman”. Arrestati per la faccenda del “sutty”? E voi credete che quei bramini osino far denuncia e comparire davanti ad un giudice? No; qui dev’esserci qualche equivoco. In tutti i casi, non vi lascerò prima di avervi condotta ad Hong Kong.
Ma il piroscafo parte a mezzogiorno! - fece osservare Passepartout.
Prima di mezzogiorno saremo a bordo.
L’affermazione di Phileas Fogg era stata così recisa che Passepartout a sua volta non poté fare a meno di ripetere:
Diamine, certo! Prima di mezzogiorno saremo a bordo.
Alle otto e mezzo la porta si aprì. Ricomparve il poliziotto, che introdusse i prigionieri nella sala vicina. Era una sala del tribunale e c’era già lì un pubblico alquanto numeroso e composto di europei e di indigeni. Il signor Fogg, la signora Auda e Passepartout vennero fatti sedere su una panca collocata dinanzi ai seggi dei magistrati e del cancelliere. Questo magistrato, il giudice Obadiah, entrò quasi subito, seguito dal cancelliere. Era un uomo robusto e anzi piuttosto obeso. Staccò una parrucca da un chiodo e se l’infilò con rapidità.
La prima causa - esclamò.
Ma subito aggiunse, portandosi la mano alla testa:
Ehi, ma non è la mia parrucca!
In realtà, signor Obadiah, è la mia - rispose il cancelliere.
Caro signor Oysterpuf, come volete che un giudice possa emanare una buona sentenza se porta la parrucca di un cancelliere? Venne fatto immediatamente lo scambio delle parrucche. Durante questi preliminari, Passepartout ribolliva d’impazienza, perché gli sembrava che la lancetta marciasse in modo terribilmente veloce sul quadrante del grande orologio del tribunale.
La prima causa - ripeté quindi il giudice Obadiah.
Phileas Fogg? - interrogò il cancelliere Oysterpuf.
Eccomi - rispose il signor Fogg.
Passepartout?
Presente! - rispose Passepartout.
Bene! - disse il giudice Obadiah. - Imputati, sono già due giorni che vi si dà la caccia su tutti i treni provenienti da Bombay.
Ma di che cosa ci si accusa? - domandò Passepartout, con impazienza.
Lo saprete subito - rispose il giudice.
Signore, - disse allora il signor Fogg - io sono cittadino inglese e ho diritto...
Le hanno mancato di rispetto? - domandò il signor Obadiah.
No, per nulla.
Bene, fate entrare i querelanti.
Dietro quest’ordine del giudice, si aprì una porta e un usciere introdusse tre sacerdoti indù.
Proprio loro! - mormorò Passepartout. - Sono quei bricconi che volevano bruciare viva la signora Auda!
I tre bramini si tennero in piedi davanti al giudice, mentre il cancelliere leggeva ad alta voce una «querela per sacrilegio» contro il signor Phileas Fogg e il suo servo, colpevoli di avere violato un luogo sacro alla religione braminica.
Avete sentito l’accusa? - chiese il giudice a Phileas Fogg.
Sissignore - rispose il “gentleman”, consultando l’orologio. E confesso.
Ah, voi confessate?
Sì. Ed attendo che quei tre sacerdoti di Brahma confessino a loro volta che cosa erano andati a fare alla pagoda di Pillaji! I bramini si guardarono in faccia come se non comprendessero il senso di tali parole.
Proprio sì! - rincalzò con impeto Passepartout. - A quella pagoda di Pillaji davanti alla quale stavano per bruciare viva la loro vittima. Il giudice Obadiah aveva una faccia stranamente sorpresa.
Che vittima? - chiese. - Bruciare, chi?... in piena città di Bombay?
Bombay!!!
Tale nome fu come una rivelazione per la mente di Phileas Fogg e del suo servo. L’incidente della pagoda di Malebar-Hill essi lo avevano dimenticato: ed era proprio quello, invece, che li trascinava ora davanti al magistrato di Calcutta.
Infatti la voce del giudice andava spiegando:
Signori, qui non si tratta della pagoda di Pillaji, bensì della pagoda di Malebar-Hill a Bombay.
E, come corpo del reato, ecco le scarpe del profanatore aggiunse il cancelliere deponendole sulla scrivania.
Le mie scarpe!
Passepartout fuori di sé per la sorpresa e per la contentezza del ritrovamento, non aveva saputo trattenere l’involontaria esclamazione. Ma un istante dopo avrebbe dato tutto quel che possedeva, per ritirare le imprudenti parole.
Se il bravo giovanotto fosse stato meno preoccupato per il fatto proprio, avrebbe scorto in un angolo del tribunale un personaggio di sua conoscenza.
L’agente Fix, l’autore di tutta quella macchinazione, seguiva il dibattimento con un interesse facile a comprendersi. A Bombay l’intraprendente “detective” aveva calcolato tutto il vantaggio che poteva derivargli dall’incidente provocato da Passepartout nella pagoda di Malebar-Hill. Ritardando di dodici ore la partenza, Fix aveva tenuto consiglio con i bramini; aveva promesso loro un indennizzo considerevole, sapendo che il Governo inglese si mostrava severissimo contro quel genere di delitti; poi col treno successivo aveva lanciato i tre furiosi sacerdoti indù sulle tracce del sacrilego.
Ma a cagione del tempo impiegato nell’avventuroso salvataggio tra le
foreste dei Vidhya, Fogg e il suo servo erano giunti a Calcutta dopo i
loro inseguitori. Fix trascorse ventiquattro ore fra mortali
inquietudini, nel timore che il suo ladro si fosse dileguato
attraverso le province settentrionali; ma infine, appostandolo alla stazione, poté avere la gioia di vederlo e di farlo arrestare dal poliziotto al momento in cui scendeva dal vagone in compagnia di una giovane signora.
Ora il “detective” attendeva con nervosismo la conclusione della causa. A lui occorreva assolutamente creare al suo «ladro» un intoppo che lo fermasse a Calcutta, poiché anche qui, come a Bombay e come a Suez, il mandato d’arresto non era ancora giunto. - I fatti sono dunque confessati? - riprese la voce nasale del giudice.
Confessati - confermò freddamente il signor Fogg.
Pertanto, in base alla legge inglese che intende proteggere egualmente tutte le religioni dell’India, il signor Passepartout reo confesso di avere violato con piede sacrilego il lastrico della pagoda di Malebar-Hill a Bombay il giorno 20 ottobre, viene condannato a quindici giorni di carcere e a una multa di trecento sterline.
Trecento sterline? - si lamentò Passepartout, che non era veramente sensibile che all’ammenda.
Silenzio! - intervenne con voce stridula il cancelliere.
Inoltre, - aggiunse il giudice Obadiah, - poiché non è materialmente provato che non vi sia stata connivenza tra il domestico e il padrone e che in ogni caso costui è tenuto responsabile delle azioni e dei gesti di un suo servitore alle sue dipendenze, il tribunale condanna il suddetto Phileas Fogg a otto giorni di carcere e centocinquanta sterline di ammenda. Cancelliere, introduca un’altra causa! Nel suo angolo, Fix provava una soddisfazione indicibile. Phileas Fogg trattenuto otto giorni a Calcutta: era più di quanto fosse necessario per consentire l’arrivo del mandato di cattura. Passepartout era sbalordito. Quella condanna rovinava il suo padrone. Una scommessa di ventimila sterline persa, e tutto ciò perché lui, da vero babbeo, era entrato in quella maledetta pagoda! Phileas Fogg era rimasto padrone di sé, senza nemmeno batter ciglio, come se quella sentenza non lo riguardasse. Ma quasi subito disse:
Offro cauzione.
E’ nel vostro diritto - rispose il giudice.
Il “detective” si sentì agghiacciare; e riprese un attimo di speranza solo quando il giudice Obadiah fissò la cauzione nella somma enorme di mille sterline per ciascuna delle persone da riscattare. Ma a Phileas Fogg la cifra non fece impressione.
Pago - disse.
E dal sacco portogli da Passepartout estrasse un pacco di banconote che depose sul tavolo del cancelliere.
Questa somma di duemila sterline vi sarà restituita al momento in cui uscirete dal carcere, se vorrete col tempo scontare la pena per non perdere la cifra - proferì il giudice. - Frattanto siete liberi, sotto cauzione.
Phileas Fogg disse semplicemente al suo servo:
Venite.
Ma almeno restituiscano le scarpe! - proruppe Passepartout con un moto d’ira. Gli restituirono le sue scarpe.
Affé, se costano care! - borbottò il giovane, riponendole nel sacco da viaggio. - Più di mille sterline l’una! E pensare che mi calzano male.
Passepartout, mogio come un cane bastonato, uscì seguendo Phileas Fogg il quale aveva offerto il braccio alla signora Auda. Salirono tutti e tre in una carrozza che si diresse al trotto verso il porto. Fix confidava ancora che il suo ladro non avrebbe rinunciato a quella grossa cifra che avrebbe persa se non avesse fatto gli otto giorni di carcere, e, con la lingua di fuori, si gettò sulle tracce della vettura.
Suonavano le undici quando Phileas Fogg, dando il braccio alla sua giovane compagna di viaggio e seguito da Passepartout, scese sul molo. Giungeva in anticipo di un’ora. A mezzo miglio in rada il «Rangoon» stava ancorato con la bandiera di partenza sventolante all’albero più alto.
Fix vide la piccola comitiva prendere posto in una lancia a vapore che tosto filò sottobordo al piroscafo.
Il “detective” batté il piede a terra:
Furfante! - sibilò. - Parte davvero. Duemila sterline sacrificate!
Prodigo come tutti i ladri! Oh, ma gli terrò dietro fino in capo al mondo, se occorrerà. Certo, però, andando di questo passo egli darà fondo a tutto il denaro!...
La riflessione di Fix era più che ragionevole. Da quando il “gentleman” aveva lasciato Londra, tra spese di viaggio, premi, acquisto dell’elefante, cauzione e multa, aveva già seminato più di cinquemila sterline sulla sua strada. E la percentuale della somma da ricuperarsi, spettante al “detective”, andava assottigliandosi.
16.
FIX NON DA’ L’IMPRESSIONE DI CONOSCERE BENE LE COSE DI CUI GLI SI PARLA.
Il «Rangoon», uno dei piroscafi che la Compagnia Peninsulare e Orientale utilizza per i mari della Cina e del Giappone, era un battello in ferro, spinto ad elica, con una stazza di millesettecentosettanta tonnellate e dotato di una forza nominale di 400 cavalli. Il «Rangoon» eguagliava il «Mongolia» quanto a velocità, ma non quanto a comodità. Perciò la signora Auda non venne bene installata quanto l’avrebbe desiderato Phileas Fogg. Dopo tutto, non si trattava che di una traversata di 3500 miglia, ossia di undici-dodici giorni, e la giovane donna non si dimostrò una passeggera difficile.
Durante i primi giorni a bordo del «Rangoon», la signora Auda fece più ampia conoscenza con Phileas Fogg. Ad ogni occasione essa gli attestava vivissima gratitudine. Ma il flemmatico “gentleman” l’ascoltava con freddezza. Si occupava, è vero, di sorvegliare affinché nessuna comodità mancasse alla giovane signora; in determinate ore del giorno andava anche a conversare con lei, o per meglio dire, ad ascoltarla. Ma tutto faceva meccanicamente, come un automa caricato, senza una parola o un gesto che svelassero la minima emozione.
La signora Auda non sapeva proprio capacitarsene. Per fortuna Passepartout le aveva un tantino illustrato il carattere originale del suo padrone. Le aveva anche raccontato per quale eccentrica scommessa costui stesse compiendo il giro del mondo. La giovane indiana aveva sorriso a tutto ciò. Del resto, doveva la vita a quel “gentleman”; e il sentimento della riconoscenza verso di lui le rendeva grate anche le sue originalità.
La signora Auda confermò il racconto che l’indù aveva fatto della sua commovente storia. Ella apparteneva effettivamente alla razza che occupa il primo posto tra le razze indigene. Molti negozianti parsì si sono procurati grosse fortune in India nel commercio del cotone. Uno di essi, Sir James Jejeebhoy, è stato nobilitato dal governo inglese, e la signora Auda era parente di questo ricco personaggio che abitava Bombay. Era appunto un cugino di Sir Jejeebhoy, l’onorevole Jejeeh, che ella contava di andare a raggiungere a Hong Kong. Più di una volta la signora Auda, parlando del ricco parente presso il quale intendeva recarsi in Hong Kong, ebbe ad esprimere la propria inquietudine. Avrebbe trovato ricetto ed assistenza in casa di lui? Non poteva esserne certa.
Il signor Fogg le rispondeva in modo invariabile: di stare tranquilla, che tutto si sarebbe accomodato matematicamente. La signora Auda non comprendeva bene il significato di quell’orribile avverbio; e i suoi grandi occhi, limpidi e calmi come due laghi d’acqua, si fissavano interrogativi in volto a Phileas Fogg. Ma l’intrattabile inglese, più che mai chiuso, si guardava dall’aggiungere parola.
Quella prima parte della traversata del «Rangoon» venne compiuta in condizioni eccellenti. Il tempo era magnifico. Tutta quella porzione dell’immensa baia che i marinai chiamano «le braccia del Bengala» si mostrò favorevole alla marcia del piroscafo. Il «Rangoon» fece presto la conoscenza della Andaman Settentrionale, la principale isola del gruppo delle Andamane, che la sua pittoresca montagna di Saddle-Peak alta 732 metri segnala da molto lontano ai navigatori. Fu rasentata la costa, ma i selvaggi papua dell’isola non si mostrarono affatto. Sono degli esseri collocati all’ultimo gradino della scala umana, ma gli si fa un torto a ritenerli antropofagi. I panorami che offrivano queste isole erano superbi. Foreste immense di latani, di areche, di bambù, di miristiche, di tek, di mimose gigantesche, di felci arborescenti, occupavano il primo piano, mentre sullo sfondo si profilava l’elegante sagoma delle montagne. Sulla costa pullulavano a migliaia quelle preziose salangane, i cui nidi commestibili costituiscono un cibo ricercato nel Celeste Impero cinese. Ma tutto questo meraviglioso spettacolo offerto agli sguardi dal gruppo delle Andamane, svanì in fretta e il «Rangoon» si diresse rapidamente verso lo Stretto di Malacca, che gli avrebbe dato accesso ai Mari della Cina.
Che faceva durante questa traversata l’ispettore Fix, così
malvolentieri trascinato in un viaggio di circumnavigazione? A
Calcutta, dopo avere lasciato istruzioni perché il famoso mandato, sempre che arrivasse, gli fosse inviato a Hong Kong, era riuscito ad imbarcarsi a bordo del «Rangoon» senza essere stato visto da Passepartout, e sperava di poter dissimulare la sua presenza fino all’arrivo del piroscafo. In realtà, gli sarebbe stato difficile spiegare come mai si trovasse a bordo del «Rangoon» senza risvegliare i sospetti di Passepartout che doveva crederlo a Bombay. Ma fu trascinato a rifare la conoscenza del buon giovanotto dalla logica stessa delle circostanze. Come? Lo vedremo subito. Tutte le speranze e le aspirazioni dell’ispettore di polizia erano ora concentrate su un unico punto del globo, su Hong Kong, perché il piroscafo faceva una sosta troppo breve a Singapore perché egli potesse operare in questa città. Era perciò ad Hong Kong che doveva avvenire l’arresto del ladro; se invece questi gli sfuggiva, era per così dire senza possibilità di ritorno.
Hong Kong, infatti, era ancora una terra inglese, ma era l’ultima che si incontrava sulla strada. Al di là, la Cina, il Giappone e l’America avrebbero offerto un rifugio pressoché sicuro al signor Fogg. A Hong Kong, se egli avesse finalmente trovato il mandato di arresto che evidentemente gli correva dietro, Fix avrebbe arrestato Fogg e l’avrebbe messo nelle mani della polizia locale. Non ci sarebbe stata alcuna difficoltà. Dopo Hong Kong, invece, non sarebbe più stato sufficiente un semplice mandato di arresto. Sarebbe stato necessario un mandato di estradizione. Di conseguenza, ci sarebbero stati ritardi, lentezze, ostacoli di ogni natura, di cui quel mascalzone avrebbe approfittato per svignarsela definitivamente. Se l’operazione fosse fallita a Hong Kong, sarebbe stato, se non impossibile, almeno molto difficile riprenderla con qualche speranza di successo. «Dunque», si ripeteva Fix durante le lunghe ore che trascorreva nella sua cabina, «dunque, o il mandato di arresto sarà a Hong Kong e io arresterò il mio uomo, oppure non ci sarà e questa volta bisogna che ad ogni costo io riesca a ritardare la sua partenza. Ho fallito a Bombay, ho fallito a Calcutta! Se manco il mio colpo ad Hong Kong, la mia reputazione è liquidata! Costi quel che costi, bisogna riuscire. Ma che espediente utilizzare per ritardare, se questo è necessario, la partenza di questo maledetto Fogg?».
Come ultima risorsa, Fix era ormai deciso a confessare tutto a Passepartout, a fargli sapere chi fosse il padrone che egli stava servendo e di cui non era certamente complice. Passepartout, dopo avere ascoltato questa rivelazione e per evitare di compromettersi, si sarebbe certamente messo dalla sua parte, dalla parte di Fix. Ma questo era un espediente davvero estremo e al quale ricorrere solo quando fossero falliti tutti gli altri. Una sola parola di Passepartout al suo padrone sarebbe stata sufficiente a compromettere irrevocabilmente tutto l’affare.
L’ispettore di polizia era dunque in un imbarazzo estremo, quando la presenza della signora Auda a bordo del «Rangoon», in compagnia di Phileas Fogg gli aprì nuove prospettive.
«Chi è quella donna? Quale vicenda ne ha fatto la compagna di Fogg? Non c’è dubbio che l’incontro deve essere avvenuto fra Bombay e Calcutta. Ma dove, precisamente? Ed è stato un incontro casuale, oppure il viaggio del “gentleman” attraverso l’India è stato intrapreso al preciso scopo di raggiungere quella leggiadra creatura? Poiché, bisogna dire la verità, è leggiadra davvero...». Fix, che aveva avuto tempo di osservare la giovane indiana nella sala del tribunale di Calcutta, finì per concludere con un’idea che gli si fissò nel cervello:
«Dev’essere proprio come dico io: sia maritata o no quella donna, la faccenda nasconde un rapimento! E allora io posso suscitare al rapitore imbarazzi talmente seri che questa volta non potrà districarsene pur con tutto il suo denaro». Non bisognava tuttavia aspettare ad agire al momento dell’arrivo ad Hong Kong: era consigliabile avvertire le autorità inglesi segnalando il passeggero del «Rangoon» prima del suo sbarco. Nulla di più facile, giacché il piroscafo doveva toccare Singapore per farvi carico di carbone: e Singapore è collegato ad Hong Kong da un cavo telegrafico. Il «Rangoon» già filava ad imboccare lo stretto di Malacca: l’indomani stesso avrebbe fatto la dovuta sosta di un’ora per rifornire i serbatoi. Fix entrò immediatamente in azione. Allo scopo di procedere con sicurezza gli occorrevano alcune informazioni precise; e deliberò di far cantare Passepartout. Quel mattino, uscendo finalmente dalla clausura della propria cabina, il “detective” salì perciò sul ponte alla caccia del suo uomo. Passepartout passeggiava a prua. Fix dando segni di viva sorpresa gli si precipitò incontro.
Voi? sul «Rangoon»! - esclamò.
Chi si rivede??! Il signor Fix a bordo!
La meraviglia di Passepartout nel ritrovare il suo compagno del «Mongolia» fu proprio sincera.
Vi ho lasciato a Bombay, ed ecco che vi trovo sulla rotta di Bombay.
Ma dunque, signor Fix, fate anche voi il giro del mondo?
No, no! Intendo fermarmi a Hong Kong almeno qualche mese.
Ah! E come va che non vi ho visto a bordo, dalla partenza da Calcutta fino ad oggi?
Ecco, un certo malessere... - rispose Fix tra il faceto e l’imbarazzato. - Ho dovuto starmene coricato in cabina. Il golfo del Bengala non mi si addice quanto l’Oceano Indiano. E il vostro padrone come sta?
In ottima salute; è puntuale come un cronometro, con il suo itinerario! A proposito, signor Fix, non sapete che abbiamo con noi anche una giovane signora?
Fix mostrò di cader dalle nuvole. E Passepartout non ci mise gran che a sfoderargli tutta la storia: l’incidente alla pagoda di Bombay, l’acquisto dell’elefante al prezzo di duemila sterline, la scena del “sutty”, il rapimento in foresta, la condanna al tribunale di Calcutta, la libertà sotto cauzione.
Questi ultimi incidenti Fix li conosceva assai bene; ma finse di ignorarli come il resto. Infine precipitò la domanda che gli urgeva in gola:
E ditemi un po’, giovanotto: in conclusione, il signor Fogg intende condurre la giovane indiana in Europa?
Ma no, signor Fix, nemmeno per sogno! Noi andiamo semplicemente ad affidarla alle cure di un suo parente ricchissimo, un negoziante di Hong Kong.
«Nulla da fare!» disse tra sé il “detective”; e dissimulando il dispetto aggiunse: - Un bicchierino di “gin”, signor Passepartout?
Volentieri, signor Fix. Dobbiamo proprio brindare al nostro incontro a bordo del «Rangoon»!
17.
DURANTE LA TRAVERSATA DA SINGAPORE A HONG KONG SI TRATTA DI DIVERSE COSE.
Dopo quel giorno, Passepartout e il “detective” si incontrarono frequentemente, ma l’agente di polizia si mantenne in una grandissima riservatezza con il suo amico e non tentò affatto di farlo parlare. Soltanto una volta o due intravide il signor Fogg, che restava volentieri nella sala grande del «Rangoon» per tenere compagnia alla signora Auda oppure per giocare a “whist”, secondo la sua invariabile abitudine.
Quanto a Passepartout, si era messo a riflettere molto seriamente sul caso davvero singolare che aveva messo ancora una volta Fix sulla strada del suo padrone. E in effetti c’era almeno da restare sconcertati.
Questo gentiluomo amabilissimo, compitissimo, in cui t’incontri dapprima a Suez, che s’imbarca sul «Mongolia», che sbarca a Bombay dove ti dice di dover soggiornare, che ti ricapita fra i piedi sul «Rangoon» in viaggio per Hong Kong, in una parola, che segue passo passo l’itinerario del signor Fogg, è una cosa per lo meno bizzarra, che merita proprio di rifletterci su!
Passepartout, dal giorno dell’inatteso incontro con Fix, si era dato a meditare più che seriamente sul mistero delle singolari coincidenze che avevano messo di nuovo quell’individuo sulla strada del suo padrone.
«A chi mai terrà dietro Fix?... Sono pronto a scommettere, per le mie preziose pantofole, che costui lascerà Hong Kong al pari di noi, e proprio sullo stesso piroscafo!».
Avesse anche riflettuto cent’anni, Passepartout non avrebbe mai indovinato la verità, cioè che il suo padrone era braccato, come un ladro, intorno al globo terrestre. Tuttavia poiché fa parte della natura umana l’impegno di dare una spiegazione ad ogni cosa, Passepartout ricevette un’improvvisa illuminazione e finì per arrivare ad una conclusione molto plausibile.
«Ho capito!», disse a se stesso, inorgogliendosi della scoperta. «Fix, è una spia, un agente informatore sguinzagliato sulle tracce del signor Fogg dai suoi colleghi del Club della Riforma, per verificare se il viaggio intorno al mondo si compie regolarmente secondo l’itinerario previsto. Ah, ma è una cosa che non sta bene! Un gentiluomo così probo, così onorabile, farlo spiare! Signori del Club, ciò vi costerà caro!».
Passepartout risolse di non dire nulla al padrone, temendo che egli potesse giustamente sentirsi offeso dall’ignobile sospetto dei suoi avversari. Soltanto, si propose di smascherare Fix motteggiandolo a parole velate senza compromettersi.
Al tramonto del quinto giorno di viaggio, mercoledì 30 ottobre, il «Rangoon» imboccava lo Stretto di Malacca che separa la penisola di questo nome da Sumatra. Una corona di isolotti scoscesi, molto pittoreschi, nascondeva ai passeggeri la vista della grande isola. Spuntava l’alba quando lo “steamer” poggiava al principale approdo dell’isola di Singapore.
Singapore non è molto vasta, né di aspetto imponente poiché le manca il profilo dei monti. Ma è deliziosa nella sua lussureggiante vegetazione tropicale, selvaggiamente bella nell’aspetto dalle giungle di cui in parte è rivestita e dove si annidano le tigri, che ci vanno da Malacca attraversando a nuoto lo stretto. Il «Rangoon» giungeva con dodici ore di anticipo sul tempo regolamentare. Phileas Fogg annotò quel vantaggio nell’apposita colonna; e si dispose a scendere a terra per accompagnare la signora Auda, la quale aveva esposto il desiderio di fare una breve passeggiata.
Fix, a cui ogni mossa di Fogg pareva sospetta, li seguì a distanza. Passepartout, che rideva in cuor suo osservando le mosse di quell’individuo, se ne andò per il solito giro di compere. L’isola di Singapore non era grande né imponente d’aspetto. Le montagne, vale a dire i profili, sono assenti. Tuttavia è attraente nella sua piattezza E’ un parco percorso da belle strade. Un gioioso equipaggio tirato dagli eleganti cavalli che sono stati importati dalla Nuova Olanda (ossia l’Australia), trasportò la signora Auda e Phileas Fogg nel mezzo di folti palmizi dall’abbondante fogliame, e di alberi di garofano, i cui chiodi sono formati dallo stesso bottone del fiore semiaperto.
Cespugli di alberi del pepe rimpiazzavano le siepi spinose delle campagne europee; degli alberi del pane, delle grandi felci con la loro superba ramificazione, variavano l’aspetto di questa regione tropicale; delle miristiche dal fogliame lucido saturavano l’aria di un penetrante profumo. Nei boschi non mancavano le scimmie, riunite in bande irrequiete e schiamazzanti, e neppure mancavano le tigri nella giungla. Qualcuno forse si stupirà nel sentire che in quest’isola, relativamente così piccola, questi terribili carnivori siano stati distrutti solo recentemente, ma gli si può fare osservare che essi vengono da Malacca, attraversando a nuoto lo stretto. Dopo aver percorso la campagna per un paio d’ore, la signora Auda e il suo accompagnatore - che guardava un poco senza nulla vedere -fecero ritorno nella città, un vasto agglomerato di abitazioni pesanti e schiacciate, circondate da meravigliosi giardini nei quali proliferano le manguste, gli ananassi e tutti i migliori frutti del mondo. Alle dieci il “gentleman” e la sua giovane compagna fecero ritorno al piroscafo, senza neppure sospettare che qualcuno li avesse seguiti e spiati passo passo: era Fix, che aveva dovuto sobbarcarsi anche lui la spesa del noleggio d’una carrozza.
Passepartout aspettava già sul ponte del «Rangoon», e presentò alla signora Auda alcune manguste rosee e polpose, e alcuni ananassi profumatissimi: il delizioso omaggio dei più squisiti frutti del mondo, per i quali Singapore va famosa.
Alle undici il «Rangoon», con i serbatoi riforniti, levava l’ancora. E presto i passeggeri perdevano di vista le alte montagne di Malacca le cui foreste albergano le più magnifiche tigri del mondo. Trecento miglia circa separano Singapore dall’isola di Hong-Kong, piccolo territorio inglese staccato dalla costa cinese. Phileas Fogg aveva interesse a percorrere quella distanza in non più di sei giorni, per poter prendere a Hong Kong il battello che il 6 novembre doveva partire per Yokohama, uno dei principali porti del Giappone. A Singapore si erano imbarcati indù, singalesi, cinesi, portoghesi e malesi in gran numero, che occupavano la seconda classe. Il tempo, abbastanza bello fino ad allora, cambiò con l’ultimo quarto della luna. Vi fu mare grosso. Il vento soffiò talvolta a gran brezza, ma fortunatamente dalla parte di sud-est, il che favoriva la corsa dello “steamer”. Quando si riusciva a maneggiarla, il capitano faceva alzare la velatura. Il «Rangoon» armato da brick navigò spesso con le sue due vele di gabbia e la vela di trinchetto, e la sua velocità si accrebbe sotto la doppia spinta del vapore e del vento. In questo modo si costeggiarono su una rotta stretta e talvolta faticosa le coste dell’Annam e della Cocincina (l’attuale Vietnam). Ma la colpa era più del «Rangoon» che del mare, ed era con questo piroscafo che avrebbero dovuto prendersela i passeggeri, la maggior parte dei quali si ammalò durante la traversata. In realtà, le navi della Compagnia Peninsulare, che prestano servizio nei Mari della Cina, hanno un serio difetto di costruzione. Il rapporto tra il loro pescaggio e il loro tonnellaggio è stato calcolato male e di conseguenza esse non offrono che una debole resistenza al mare. Il loro volume chiuso e impenetrabile all’acqua è insufficiente. Esse sono come «annegate» e di conseguenza basta qualche ondata più forte per modificare la loro marcia. Queste navi sono perciò molto inferiori - se non per il motore e per il sistema di evaporazione, almeno per la costruzione - ai tipi di Messaggerie francesi, come l’«Impératrice» e il «Cambodge». A differenza di queste ultime, che secondo i calcoli degli ingegneri devono imbarcare un peso d acqua equivalente alla loro stazza prima di andare a fondo, le navi della Compagnia Peninsulare, il «Golgonda», il «Corea» e il «Rangoon», non potrebbero imbarcare più di un sesto del loro peso senza andare a fondo.
Perciò, quando c’era cattivo tempo, era opportuno prendere delle grosse precauzioni. Ogni tanto bisognava mettere alla cappa, a piccolo vapore.
Tutte queste perdite di tempo non turbavano affatto Phileas Fogg. Passepartout invece ne era furibondo. Egli accusava il capitano, il macchinista, la Compagnia, e mandava al diavolo tutti coloro che s’impicciano di trasportare passeggeri. Forse anche il pensiero di quel famoso becco a gas che continuava ad ardere a sue spese nella casa di Saville Row aveva molta parte nell’impazienza del bravo giovane.
Ma avete dunque tanta fretta di giungere ad Hong Kong? - gli chiese un giorno Fix, testimone delle sue smanie.
Altro che! - rispose Passepartout.
Pensate che il signor Fogg abbia premura di prendere a Hong Kong il piroscafo per Yokohama?
Una premura dannata!
Voi ora dunque credete a questo viaggio intorno al mondo?
Certo che ci credo! E voi, signor Fix?
Io?!...
1 comment