Qualche altra volta toglieva le lunghe spine dalle piante dei piedi ai suoi amici, poiché i lupi soffrono orribilmente quando le spine o le lappole si attaccano loro addosso. A volte, di notte, scendeva a valle, nei terreni coltivati, e osservava con grande curiosità i contadini nelle loro capanne, ma aveva una grande diffidenza per gli uomini, perché Bagheera gli aveva fatto vedere una cassa quadrata chiusa da una saracinesca, nascosta tanto abilmente nella jungla, che poco ci mancò che non vi cadessero dentro, e gli aveva detto che era una trappola. Più di tutto gli piaceva di entrare con Bagheera nel cuore scuro e caldo della foresta, di dormire durante tutta la giornata snervante e, quando era arrivata la notte, di osservare come Bagheera azzannava la preda. Bagheera ammazzava a destra e a sinistra, senza riguardi, quando era affamata, e così pure faceva Mowgli, con una sola eccezione. Appena fu abbastanza grandicello per capire, Bagheera gli disse che non doveva mai uccidere il bestiame bovino, poiché egli era stato accettato nel branco grazie all’offerta di un toro.

- Tutta la jungla è tua, - gli disse Bagheera - e tu puoi ammazzare ogni animale contro cui ti basti la forza, ma in onore del toro che ti ha riscattato, tu non devi mai uccidere né mangiare nessun animale bovino vecchio o giovane che sia. Questa è la Legge della Jungla.

Mowgli obbedì fedelmente. Egli cresceva a vista d’occhio, robusto come può diventare un ragazzo che ignora l’obbligo dello studio, e non ha nessun altro pensiero al mondo se non di procurarsi da mangiare.

Mamma Lupa gli disse due o tre volte che non c’era da fidarsi di Shere Khan, e che un giorno o l’altro egli avrebbe dovuto ammazzarlo, ma mentre un lupacchiotto si sarebbe ricordato dell’avvertimento di continuo, Mowgli lo dimenticò, perché era solo un ragazzo, benché si sarebbe chiamato lupo se avesse saputo parlare in qualche lingua umana. Mowgli incontrava sempre Shere Khan sulla sua strada nella jungla.

Akela diventava sempre più vecchio e più debole, e la tigre zoppa aveva stretto una grande amicizia con i lupi più giovani del branco, che la seguivano per avere degli avanzi; una cosa che Akela non avrebbe mai sopportato se avesse osato spingere la sua autorità fino ai giusti limiti. Shere Khan li adulava anche, e diceva di non sapersi rendere conto di come dei cacciatori così belli e giovani sopportassero di essere guidati da un lupo decrepito e da un cucciolo d’uomo.

- Mi dicono, - era solita ripetere Shere Khan, - che al Consiglio non osate guardarlo negli occhi, - e i lupacchiotti facevano sentire un brontolìo minaccioso e drizzavano il pelo.

Bagheera, che vedeva e sentiva tutto, ne sapeva qualcosa e una volta o due disse francamente a Mowgli che un giorno o l’altro Shere Khan lo avrebbe ammazzato, ma Mowgli si metteva a ridere e rispondeva:

- Io ho il branco che mi difende e ho te, e anche Baloo, benché sia così pigro, se servisse una botta o due per me la darebbe. Perché dovrei aver paura?

Era una giornata caldissima, quando a Bagheera venne in mente un’idea nuova, suggeritale da qualche cosa che le aveva riferito, se ricordava bene, Ikki il Porcospino, e la disse a Mowgli, quando furono nel folto della jungla, mentre il ragazzo se ne stava disteso con la testa appoggiata sulla bella pelle di Bagheera:

- Fratellino, quante volte ti ho ripetuto che Shere Khan è tuo nemico?

- Tante quante sono le noci su quella palma, - rispose Mowgli, che naturalmente non sapeva contare. - E con questo? Ho sonno, Bagheera, e Shere Khan è tutto coda e schiamazzi come Mao il Pavone.

- Ma non è tempo di dormire adesso. Baloo lo sa, io lo so e il branco lo sa, e anche i daini, che sono così stupidi, lo sanno e Tabaqui pure te l’ha detto.

- Oh! oh! - fece Mowgli, - Tabaqui è venuto a dirmi non molto tempo fa, e con certe parole poco gentili, che io ero un cucciolo d’uomo spelato incapace perfino di scavare radici, ma io l’ho afferrato per la coda e l’ho sbattuto due volte contro una palma per insegnargli a usare maniere migliori.

- Hai fatto malissimo perché, anche se Tabaqui è un maldicente, ti avrebbe dato alcune informazioni che ti riguardano da vicino. Apri gli occhi, fratellino, Shere Khan non osa ammazzarti nella jungla, ma ricordati che Akela è molto vecchio, e che arriverà ben presto il giorno in cui egli non avrà più la forza di uccidere il suo daino e allora non potrà essere più il capo. Molti dei lupi, che ti conobbero quando fosti presentato al Consiglio la prima volta, sono vecchi anche loro e i lupi giovani credono, come Shere Khan ha dato loro ad intendere, che un cucciolo d’uomo non ci stia bene nel branco. Fra poco tu sarai un uomo.

- E che cos’è un uomo che non può correre coi suoi fratelli? - disse Mowgli. - Io sono nato nella Jungla; io ho obbedito alla Legge della Jungla e non c’è lupo dei nostri al quale non abbia tolto qualche spina dalle zampe. Essi sono i miei fratelli, non c’è dubbio!

Bagheera si distese tutta lunga e socchiuse gli occhi.

- Fratellino, - disse - toccami sotto la mascella.

Mowgli alzò la sua forte mano bruna e proprio sotto il mento vellutato di Bagheera, dove i giganteschi muscoli masticatori erano completamente nascosti dal pelo lucido e morbido, trovò un piccolo spazio spelato.

- Nessuno nella jungla sa che io, Bagheera, porto questo marchio: il marchio del collare; eppure, fratellino, io sono nata fra gli uomini e mia madre è morta fra gli uomini, nelle gabbie del palazzo reale ad Oodeypore.