- Invece alla polizia importa! Un uomo che indossa soltanto la biancheria intima può girare per le vie di Mosca in un unico caso: se è accompagnato dalla polizia, e in un'unica direzione: al commissariato! E tu, se sei portiere, devi sapere che, vedendo un uomo del genere, il tuo dovere è di fischiare senza perdere un secondo. Senti? Senti che cosa sta succedendo sulla veranda?
Qui il portiere, quasi fuori di senno, udí arrivare dalla veranda un rombo, un fracasso di piatti rotti e grida femminili.
- Che cosa ti meriteresti? - chiese il filibustiere.
La pelle del volto del portiere assunse il colore di un malato di tifo e i suoi occhi s'intorpidirono. Gli sembrò che i capelli neri divisi dalla scriminatura si coprissero di un fazzoletto di seta scarlatta. Scomparvero lo sparato e il frac, e dal cinturone di cuoio spuntò la pistola. Il portiere s'immaginò impiccato al pennone di coffa. Con i suoi occhi vide la propria lingua penzolare, e la testa, priva di vita, reclinata su una spalla; udí perfino lo sciacquio dell'acqua fuori bordo. Le ginocchia del portiere si piegarono. Allora il filibustiere ebbe pietà di lui e smorzò il suo sguardo tagliente.
- Sta' attento, Nikolaj, è l'ultima volta! Di portieri cosí, al ristorante, non li vogliamo neanche gratis! Vai a fare il sagrestano! - Dopo aver detto questo, il comandante ordinò preciso chiaro e veloce: - Chiama Pantelej dal buffet. Un poliziotto. Verbale. Una macchina. Alla clinica psichiatrica - E aggiunse: - Fischia!
Un quarto d'ora dopo, lo stupefatto pubblico, non solo del ristorante ma anche quello sul viale e alle finestre delle case che davano sul giardino del ristorante, vedeva questa scena: dal portone del Griboedov, Pantelej, il portiere, un poliziotto, un cameriere e il poeta Rjuchin portavano fuori un giovane fasciato come un bambolotto, che, piangendo a calde lacrime, sputava e cercava di colpire proprio Rjuchin, e urlava in modo da essere sentito per tutto il viale:
- Canaglia!... Canaglia!...
L'autista del camion, col volto adirato, avviava il motore. Vicino, un vetturino incitava il suo cavallo picchiandolo sulla groppa con le redini color lilla, e gridava:
- Guardate che cavallo da corsa! Ho già portato gente al manicomio, io!
Intorno rombava la folla, commentando l'inaudito avvenimento. Insomma, uno schifoso, lurido, allettante, immondo scandalo, che finí solo quando il camion portò via, dal portone del Griboedov, il povero Ivan Nikolaeviè, il poliziotto, Pantelej e Rjuchin.
CAPITOLO SESTO
La schizofrenia, come era stato detto
Quando nella sala di accettazione della celebre clinica psichiatrica costruita da poco presso Mosca, sulle rive del fiume, entrò un uomo con la barba a punta e con indosso un camice bianco, era l'una e mezza di notte. Tre infermieri non distoglievano gli occhi da Ivan Nikolaeviè, che era seduto su un divano. Si trovava lí anche il poeta Rjuchin, estremamente emozionato. Gli asciugamani, con i quali era stato legato Ivan Nikolaeviè, giacevano in un mucchio sullo stesso divano. Le braccia e le gambe di Ivan Nikolaeviè erano libere.
Vedendo il nuovo venuto, Rjuchin impallidí, tossicchiò e disse con timidezza:
- Buon giorno, dottore.
Il dottore salutò Rjuchin, ma intanto guardava non lui bensí Ivan Nikolaeviè. Questi sedeva del tutto immobile, col volto cattivo, le sopracciglia aggrottate, e non si mosse neppure all'ingresso del medico.
- Ecco, dottore, - cominciò Rjuchin, chi sa perché in un sussurro misterioso, voltandosi impaurito verso Ivan Nikolaeviè, - il noto poeta Ivan Bezdomnyj... Ecco, vede... Temiamo che si tratti di delirium tremens...
- Beveva molto? - chiese il dottore tra i denti.
- No. A volte beveva, ma non tanto da...
- Ha mai cercato di acchiappare scarafaggi, topi, diavoletti, o cani che corrono qua e là?
- No, - rispose Rjuchin trasalendo, - l'ho visto ieri e stamane... era perfettamente a posto.
- Perché ha solo le mutande? L'avete tirato giú dal letto?
- Vede, dottore, è venuto cosí al ristorante...
- Aha, aha, - disse il medico con aria profondamente soddisfatta, - e perché questi graffi? Ha litigato con qualcuno?
- E caduto da uno steccato, e poi al ristorante ha picchiato uno... e poi qualche altro...
- Bene, bene, bene, - disse il dottore, e voltandosi verso Ivan Nikolaeviè, aggiunse:
- Buon giorno!
- Salve, sabotatore! - rispose Ivan con voce forte e rabbiosa.
Rjuchin si vergognò al punto da non osare alzare gli occhi sul medico cortese. Ma questi non si offese affatto, e con gesto agile, abituale, si tolse gli occhiali, sollevò la falda del camice, li ripose nella tasca posteriore dei pantaloni, e chiese a Ivan:
- Quanti anni ha?
- Ma andate un po' tutti al diavolo! - gridò villanamente Ivan, e gli voltò la schiena.
- Perché si arrabbia? Le ho forse detto qualcosa di spiacevole?
- Ho ventitré anni, - disse eccitato Ivan, - e vi darò querela a tutti. E in particolare a te, verme! - disse, rivolto personalmente a Rjuchin.
- Perché vuole querelarci?
- Perché hanno preso me, che sono sano, e mi hanno portato di forza in un manicomio! - rispose Ivan pieno d’ira.
A questo punto Rjuchin fissò Ivan e si sentí gelare: nei suoi occhi non c'era neppure un'ombra di pazzia. Da torbidi che erano al Griboedov erano di nuovo tornati limpidi come sempre.
«Mamma mia! - pensò spaventato Rjuchin. - Ma è proprio normale! Che sciocchezza! Ma allora, perché lo abbiamo portato qui di peso? È normale, normalissimo solo la faccia è piena di graffi...»
- Lei, - disse con calma il dottore, sedendosi su uno sgabello bianco fissato su un lucido sostegno, - non è in un manicomio, ma in una clinica, dove nessuno la tratterrà senza bisogno.
Ivan Nikolaeviè lo sbirciò incredulo, però borbottò:
- Dio sia lodato! Finalmente trovo una persona normale tra tanti idioti, il primo dei quali è quel babbeo e quella nullità di Saška!
- Chi sarebbe, Saška il babbeo? - s'informò il medico.
- Eccolo qui, è Rjuchin, - rispose Ivan, e puntò il dito sporco in direzione di Rjuchin.
Quello arse di sdegno. «Che bella riconoscenza, - pensò con amarezza, - per la mia premura! È proprio un tipaccio!»
- Ha la psicologia del classico kulak 5 , - disse Ivan Nikolaeviè al quale, si vede, era saltato in mente di smascherare Rjuchin, - anzi del kulak che fa di tutto per camuffarsi da proletario.
1 comment